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Serbia: se il governo cede al ricatto per le sanzioni alla Russia, si spacca il paese e i Balcani entrano in piena destabilizzazione

di Enrico Vigna, 12 marzo 2023

Da quando il Parlamento europeo ha votato che la Serbia deve imporre sanzioni alla Russia o i negoziati dell’UE saranno interrotti, i ricatti e le pressioni NATO, legate alla situazione del Kosovo stanno arrivando a conclusione.

I Balcani occidentali sono un insieme di sei paesi, che comprende Albania, Bosnia ed Erzegovina, Montenegro, Kosovo, Macedonia del Nord e Serbia che i rappresentanti dell’Unione europea hanno ripetutamente affermato devono appartenere alla famiglia europea. La regione dell’Europa meridionale e orientale, abitata da circa 18 milioni di persone, è ormai nota come l’arena della rivalità geostrategica tra, Bruxelles, Washington e Mosca degli ultimi decenni.

La promessa di ammissione di questi paesi nell’Unione europea, oltreché nella NATO, è stato finora lo strumento più sottile dell’Occidente per assoggettare e integrare la regione, usando i leader filoeuropeisti da essi sponsorizzati e sostenuti.

Peter Stano, portavoce del capo della diplomazia europea ha dichiarato alla CNBC: “… Sicuramente, i Balcani occidentali sono il secondo campo di battaglia per la Russia in termini di strategia e… dopo l’Ucraina si sono intensificate le loro attività…”..

Anche la NATO ribadisce l’importanza strategica dei Balcani occidentali per l’Alleanza: “È chiaro che l’invasione russa dell’Ucraina influisce sulla stabilità dei nostri partner vulnerabili e li espone a un rischio maggiore di “influenza maligna”. Continueremo a lavorare insieme per mantenere la stabilità e sostenere le riforme e la resilienza nella regione perché la sicurezza e la stabilità nei Balcani occidentali sono importanti per la NATO e per la pace e la stabilità in Europa…”, ha poi affermato un funzionario della NATO citato dalla CNBC. Sappiamo cosa significano per la NATO le parole stabilità e sicurezza…

In risposta a una richiesta di commento, un portavoce del Dipartimento di Stato USA ha detto alla CNBC che: “… Washington rimane profondamente coinvolta nella regione, descrivendo il futuro dei Balcani occidentali come “esclusivamente all’interno dell’UE”…Non dobbiamo permettere al governo russo di frenare il progresso dei paesi dei Balcani occidentali“, ha detto il diplomatico americano.

Considerando il fatto che recentemente nei Balcani occidentali tutti gli esempi della cosiddetta “influenza maligna della Russia” si sono rivelati falsi e il livello di conflitto in Bosnia ed Erzegovina (BiH) e nella provincia autonoma serba del Kosovo è rimasto finora un problema locale e interno alle problematiche degli attori regionali, tali dichiarazioni dei media statunitensi suscitano sospetti e insidie. Queste dichiarazioni possono essere interpretate come una copertura per accrescere la campagna occidentale volta a costringere le autorità della Repubblica Serba della Bosnia-Erzegovina e della Serbia, a imporre sanzioni contro la Russia.

Casualmente, subito dopo queste ennesime dichiarazioni, l’11 febbraio il presidente serbo A. Vučić ha affermato che le autorità serbe stavano aspettando “il momento giusto” per imporre sanzioni contro la Russia, e “la questione non riguarda mesi” , e queste affermazioni hanno scatenato nella società serba proteste di piazza, fibrillazioni e accuse di tradimento al presidente serbo, il quale si è giustificato dicendo che ormai le pressioni sul paese sono al punto di insostenibilità.

Nell’ultima votazione di novembre scorso, il Parlamento Europeo, per la seconda volta ha chiesto ufficialmente che l’UE interrompa l’avanzamento dei negoziati con la Serbia fino a quando non soddisferà diversi requisiti di base, il più importante dei quali è il completo allineamento della politica estera e di sicurezza della Serbia con la politica estera e di sicurezza della UE. Il Parlamento europeo sottolinea l’importanza del pieno rispetto, in particolare della politica delle sanzioni contro i paesi terzi. Il PE esprime rammarico per il basso livello di conformità della Serbia alla politica estera e di sicurezza comune dell’UE, in particolare in relazione all’aggressione militare della Russia contro l’Ucraina. La risoluzione afferma che ulteriori capitoli negoziali dovrebbero essere aperti solo quando la Serbia rafforzerà il suo impegno per le riforme nel campo della democrazia e dello Stato di diritto e dimostrerà di essere pienamente allineata con la politica estera e di sicurezza comune dell’UE. Nel documento, il PE ricorda che la Serbia, in quanto paese che lotta per l’integrazione europea, deve aderire a valori comuni.

Il governo serbo già da alcuni mesi sta dando segnali di cedimento della sua storica politica (dai tempi della Jugoslavia socialista), di Non allineamento. UE, NATO, USA dall’armistizio, dopo l’aggressione del 24 marzo 1999, stanno cercando di piegare la politica serba ai diktat dell’egemonia occidentale, cercando di rompere la millenaria fratellanza del popolo serbo con quello russo e slavo. Ora sembra che siamo vicini a questo passaggio che sarebbe traumatico sia politicamente, che culturalmente e spiritualmente per i serbi, ma che avrebbe anche ripercussioni e destabilizzazioni in tutti i Balcani e i paesi vicini.

Secondo uno studio condotto dall’organizzazione britannica Henry Jackson Society (HJS) presso l’Università di Cambridge, la stragrande maggioranza dei cittadini serbi, il 78,7%, non sostiene l’imposizione di sanzioni anti-russe e l’armonizzazione della politica estera del Paese con l’Unione Europea, si oppone all’adesione alla NATO e non vuole perdere i suoi, storicamente buoni rapporti con la Russia. Mentre solo il 12,1% dei serbi è favorevole.

Secondo gli autori dello studio, nonostante le pressioni e i ricatti dell’UE sulla Serbia, il 53,3% dei suoi cittadini vuole rimanere neutrale rispetto al conflitto in Ucraina. Il 35,8% degli intervistati ritiene che la Serbia dovrebbe sostenere la Russia e solo il 4,4% ha dichiarato di sostenere l’Ucraina. Per i ricercatori inglesi, la reazione dei cittadini serbi al caso dell’uso del sistema “bastone e carota” da parte di Bruxelles e Washington si è rivelata scioccante.

Alla domanda se imporre sanzioni alla Russia per accelerare l’adesione della Serbia all’UE, solo il 6,4% ha risposto “sì”. Se l’UE fornisse un’assistenza finanziaria significativa alla Serbia, solo il 9,5% accetterebbe di imporre sanzioni. E se Bruxelles smetterà di fare pressioni su Belgrado affinché riconosca l’indipendenza dell’autoproclamata “Repubblica del Kosovo“, allora questa quota salirebbe solo al 13,6%.

Quando si tratta di possibili “fruste“, i risultati sono simili. Anche con la minaccia di sanzioni dell’UE contro la stessa Serbia, il 69,9% degli intervistati si è dichiarato contrario alle sanzioni anti-russe. Se l’Ue minaccia di chiudere i suoi fondi, solo il 12,4% è favorevole alle sanzioni. Il ritiro degli investimenti ha spaventato solo il 15,1% dei serbi.

Alla domanda su chi sia la colpa del conflitto in Ucraina, il 66,3% degli intervistati in Serbia ha risposto che è Kiev. Ma su questo argomento i maggiori “successi” sono stati ottenuti dagli Stati Uniti e dalla NATO: l’82,4% e l’84,8% degli intervistati li incolpa per la situazione attuale. Non a caso, in un ipotetico referendum sull’adesione della Serbia alla Nato, il 63,4% degli abitanti del Paese voterebbe “contro“. Solo l’1,2% sostiene fortemente questa idea. E se si tenesse un referendum sull’adesione della Serbia all’Unione europea, il 31,6% voterebbe “decisamente contro”, il 12,7% preferibilmente contro. Mentre il 23% dei serbi è favorevole all’adesione all’UE e solo il 15,1% è “decisamente favorevole”.

Per quanto riguarda una associazione alle potenze mondiali, il 54,1% degli intervistati in Serbia afferma che dovrebbe essere con laRussia, mentre il 22,6% vede un alleato nella UE, il 9,7% nellaCina. Gli Stati Uniti hanno ottenuto solo l’1,2% delle simpatie.

Gli autori dello studio sono giunti alla conclusione che ulteriori misure restrittive contro la Serbia potrebbero portare ad un allontanamento e contrarietà alla UE. Inoltre è stato rilevato che, foss’anche che le autorità serbe imponessero sanzioni anti-russe, i cittadini del Paese si allontanerebbero ancora di più dall’Occidente.

incontrati a Bruxelles per discutere il piano dell’Unione Europea per la normalizzazione tra Kosovo Lunedì 27 febbraio il presidente serbo A. Vucic e il premier kosovaro albanese A. Kurti si sono e Serbia. I due esponenti non hanno poi firmato nulla, l’accettazione del piano è solo verbale e mancano ancora da definire alcune riserve. Su queste nelle prossime settimane si andranno a concentrare nuovi negoziati,
Dopo l’aggressione NATO del 1998-99, il Kosovo ha proclamato nel 2008 la propria indipendenza, mai riconosciuta da Belgrado, che ha sempre goduto del sostegno della Russia per bloccare l’accesso di Pristina alle Nazioni Unite e in altre organizzazioni internazionali. La realizzazione di questo accordo sbloccherebbe questo status quo. Il 18 marzo i leader si incontreranno di nuovo, un incontro che potrebbe segnare l’inizio di nuovi scenari geopolitici e destabilizzazioni non solo in Serbia.

Il piano dell’UE è frutto di una proposta franco-tedesca, preparata mentre a livello locale crescevano le tensioni per via della cosiddetta “battaglia delle targhe” e della richiesta della realizzazione delle Comunità Autonome Serbe nella provincia, come previsto nella risoluzione ONU 1244.

Fino allo scorso 27 febbraio, questa proposta non era mai stata resa pubblica, se non da alcune indiscrezioni a mezzo stampa, il piano non prevede che Kosovo e Serbia si riconoscano ufficialmente, un truffaldino escamotage, che nasconde la resa dello stato serbo su tutti i fronti, mantenuti in questi 24 anni.

Si richiede di conseguenza l’impegno per Belgrado di smettere di ostacolare l’ingresso di Pristina nelle organizzazioni internazionali, promettendo l’avvio di “relazioni di buon vicinato sulla base di uguali diritti”: la Serbia deve riconoscere documenti, emblemi nazionali, passaporti e targhe automobilistiche emessi dal cosiddetto stato indipendente del Kosovo, si scambierebbero “missioni permanenti”; e rifiuterebbero l’uso della forza per la risoluzione delle controversie in conformità con la Carta delle Nazioni Unite. Disposizioni, quindi, che prevedono un riconoscimento de facto, anche se la terminologia impiegata evita questa espressione. Resta solo un aspetto non risolto in questo piano, ovvero l’istituzione di una Associazione/Comunità dei comuni a maggioranza serba, che nel 2015 fu giudicata incostituzionale dalla UE. Un ultimatum per la capitolazione della Serbia, il cui passo successivo sarebbe l’accettazione delle sanzioni alla Russia, con tutto ciò che comporterà nelle relazioni tra i due paesi.

Intanto nel paese la tensione sale di giorno in giorno, con proteste, arresti, scontri sia in Serba che in Kosovo; nelle manifestazioni il clima è infuocato e lo scontro sale pericolosamente, alcuni leader patriottici di queste proteste, dove ci sono già stati arresti e scontri violenti, hanno addirittura espresso negli slogan il monito/minaccia “chi firmerà questo tradimento sarà ucciso” o dichiarazioni durissime, come quelle dell’accademico serbo Dusan Kovacevic“Chi firmerà per l’indipendenza del Kosovo morirà prima che l’inchiostro si asciughi“.

Alcuni deputati, anche dello stesso partito del presidente Vucic, il Partito Progressista Serbo al governo, ribadiscono che sarebbe economicamente non conveniente per la Serbia imporre sanzioni, poiché metterebbe a repentaglio la sua sicurezza energetica e le relazioni fraterne secolari. Anche la “…Chiesa Ortodossa serba sembra pronta a scendere in campo contro la resa del governo, molti analisti prevedono la possibilità di manifestazioni di massa nel paese contro l’introduzione di restrizioni alla Russia” ha dichiarato ai media il deputato Kostic; che ha poi aggiunto”…La gente in Serbia è per la Russia e contro la NATO, quindi un tentativo di imporre sanzioni potrebbe essere la fine per Aleksandar Vučić e il suo governo“.

Anche i serbi del Kosovo resistono e rispondono alle quotidiane provocazioni e violenze, con manifestazioni di piazza e resistenza civile

Nella provincia continuano le proteste e le manifestazioni nelle aree abitate dai serbi, nel nord del Kosovo contro le violenze e il terrorismo delle “forze speciali” delle autorità separatiste di Pristina e contro le prospettive di svendita della provincia. Le parole d’ordine con cui i serbi scendono in piazza sono: “Kurti, non ti perdoneremo i nostri figli colpiti”,“Europa, di cosa sono colpevoli i nostri figli?”,“Vučić, prenditi cura dei serbi e della pace!”,“Vogliamo solo pace”, “Kosovo è Serbia”.

Nel contempo USA e NATO soffiano sul fuoco, probabilmente ritenendo che la destabilizzazione della Serbia, potrebbe aprireun secondo fronte di scontro tra occidente e Russia, con l’obiettivo di creare nuove contraddizioni e un indebolimento strategico della stessa.

A cura di Enrico Vigna, presidente di SOS Yugoslavia-SOS Kosovo Metohija e portavoce del Forum Belgrado Italia – 12 marzo 2023

Frei Betto: La guerra fredda si surriscalda

Gli Stati Uniti, l’impero più potente della storia, sono come il dio azteco Tezcatlipoca: si nutrono di vittime umane. Uno dei principali motori della sua economia in espansione è l’industria bellica. Le guerre sono necessarie a Wall Street per raccogliere enormi dividendi.

Per tutto il XX secolo, il nemico permanente è stato il comunismo. Combatterlo giustificava spese multimilionarie e persino colpi di stato in America Latina per instaurare dittature sanguinarie.
Con la caduta del Muro di Berlino e la scomparsa dell’Unione Sovietica, la Casa Bianca aveva bisogno di un nuovo obiettivo per evitare che la macchina bellica si fermasse. E non ci volle molto per trovarlo: il terrorismo. Con il vantaggio che non si trattava di un nemico che poteva essere localizzato geograficamente o sconfitto, come in una guerra tra Paesi. È un nemico da combattere permanentemente e che assicura la soddisfazione perenne dell’insaziabile appetito di Tezcatlipoca.

Nella seconda settimana del suo mandato, Trump ha dichiarato: “Ho firmato un ordine esecutivo per iniziare una grande ricostruzione delle agenzie militari degli Stati Uniti”. Il suo segretario alla Difesa, James “Mad Dog” Mattis, ha dichiarato al Washington Post che era necessario “esaminare come condurre operazioni contro non meglio identificati concorrenti vicini” (Chomsky 2022, p. 162). È ovvio che non si riferiva ai dischi volanti, ma alla Russia e alla Cina. Il 19 gennaio 2018 è stato più esplicito: “Mentre continueremo a promuovere la campagna contro i terroristi, nella quale siamo attualmente impegnati, la competizione tra grandi potenze, non il terrorismo, occupa ora il centro dell’attenzione della sicurezza nazionale statunitense”.

Secondo un rapporto del 2018 del Dipartimento della Difesa, gli Stati Uniti mantengono 625 basi militari ufficiali in Paesi stranieri. L’analista politico David Vine ha rivelato nel 2021 che, se si contano le basi clandestine, ci sono circa 750 basi militari statunitensi.

Quando era presidente dell’Ecuador, Rafael Correa chiese alla Casa Bianca il permesso di collocare una base militare ecuadoriana a Miami, nel caso in cui gli Stati Uniti avessero voluto continuare a mantenere la base aerea di Manta sulla costa del Pacifico (del suo Paese  ndt). Manta è stata chiusa. Il bilancio militare statunitense (2023) è di 858 miliardi di dollari, il 35% del totale mondiale. Qual è lo scopo di tanto denaro sperperato in un mondo in cui vivono 3 miliardi di persone in povertà, di cui 821 milioni soffrono di fame cronica? Proteggere il modello di democrazia made in USA, cioè l’appropriazione privata del capitale.

Secondo Chomsky, “Ogni volta che c’è stato un conflitto tra la democrazia e l’ordine, definito come la protezione dell’accumulazione di capitale da parte delle élite, gli Stati Uniti si sono schierati dalla parte di quest’ultimo” (2022, p. 153).
Questa ideologia perversa affonda le sue radici nel XIX secolo, quando James Madison, uno dei “padri fondatori della nazione”, dichiarò: “Nelle democrazie i ricchi devono essere preservati; non solo la loro proprietà non deve essere divisa, ma i loro redditi devono essere protetti”.

La difesa della proprietà privata (di pochi, ovviamente) e dell’accumulazione privata di capitale richiede anche una protezione interna. Da qui la principale arma ideologica del sistema: la paura! Paura del nero, paura dell’immigrato, paura di chi non è cristiano o ebreo, paura del povero.

Oggi, ciò che la Casa Bianca teme di più è che la Cina superi gli Stati Uniti nell’innovazione tecnologica e diventi egemone nel pianeta. Questo perché il gigante asiatico ha denaro sufficiente per investire nella ricerca, dal momento che non mantiene basi militari fuori dai suoi confini e spende solo 230 miliardi di dollari nel settore bellico. Ecco perché l’imperialismo sta provocando la Cina in tutti i modi possibili, cercando di costringerla a partecipare alla corsa agli armamenti, alla quale partecipano Russia e Stati Uniti.

Gli Stati Uniti non vogliono disperatamente perdere l’egemonia mondiale acquisita dopo la Seconda guerra mondiale, ma oggi, nel mondo multipolare, la Cina si impone come l’economia in grado di superare in un prossimo futuro gli Usa e l’arsenale nucleare della Russia supera quello degli Stati Uniti.

La Casa Bianca è indignata per l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Sostiene che mancava il consenso delle Nazioni Unite. Che cinismo! Gli Stati Uniti hanno invaso la Russia nel 1918, senza successo. E senza il consenso del Consiglio di Sicurezza dell’ONU hanno invaso Santo Domingo nel 1965; hanno invaso e bombardato i territori del Vietnam e della Cambogia per tutti gli anni ’60; hanno invaso il territorio della Somalia nel 1993 (300.000 morti); dell’Afghanistan nel 2001 (180.000 morti), dell’Iraq nel 2003 (300.000 morti); della Libia nel 2011 (40.000 morti); della Siria nel 2015 (600.000 morti); e infine dello Yemen, dove sono già morte circa 240.000 persone (Fiori, 2023).
Chi protesta contro l’occupazione statunitense di Porto Rico dal 1898, di Guantánamo a Cuba dal 1903 e contro il blocco di Cuba che dura da oltre 60 anni?

Per la Casa Bianca, la probabile sconfitta dell’Ucraina per mano della Russia sarà amara. Biden dovrà ingoiare duro, sapendo che ciò influirà sulla sua rielezione l’anno prossimo. Sa che l’unica reazione “all’altezza” sarebbe catastrofica per l’umanità: il confronto nucleare.

Anche i Paesi dell’Unione Europea, monitorati dagli Stati Uniti attraverso la NATO, sanno che la guerra della Russia contro l’Ucraina è un pantano in cui si sono cacciati. Non sanno come uscirne. E la cosa più grave: le sanzioni imposte alla Russia non hanno avuto alcun effetto sul Paese. Al contrario, il rublo si è rafforzato. E diversi Paesi europei, a partire dalla Germania, erano già irritati per le esplosioni che nel settembre 2022 hanno distrutto i gasdotti Nord Stream 1 e 2 nel Mar Baltico, che li rifornivano di gas naturale. Ora l’irritazione ha lasciato il posto alla furia: non sono stati i russi a interrompere la fornitura, ma la CIA è stata responsabile del sabotaggio.

Qui in Occidente conosciamo la narrazione del cacciatore, non della lepre. Le fantasie di Hollywood e di Walt Disney ci convincono che per la Casa Bianca la libertà non è solo il nome di una statua tra New York e il New Jersey. E moltissime persone credono ai discorsi falsi dello Zio Sam. Tra l’altro, perché in questo lato occidentale del mondo conosciamo poco la versione del lato orientale.

Frei Betto
Teologo, scrittore e politico brasiliano. E’ stato responsabile del Programma “Fame Zero” nel primo governo Lula. Come scrittore è stato insignito del Premio Jabuti e ha pubblicato più di 50 volumi, tra cui Paradiso perduto. Viene considerato uno degli esponenti della Teologia della Liberazione

https://it.wikipedia.org/wiki/Frei_Betto

FONTE: https://codice-rosso.net/la-guerra-fredda-si-riscalda-di-frei-betto/

Ad un anno dall’invasione russa i vertici politici Usa e dell’Ue continuano con la stessa ricetta a base di sanzioni e forniture militari a oltranza.

Crisi ucraina: solo la mobilitazione popolare può fermare la guerra

di Andrea Vento

Ad un anno dall’invasione russa i vertici politici Usa e dell’Ue continuano con la stessa ricetta a base di sanzioni e forniture militari a oltranza.

Quale il reale impatto delle sanzioni contro la Russia sulle economie occidentali alla luce dell’ultimo Outlook Fmi di gennaio e dove ci sta portando il recente corposo aumento delle forniture di armamenti sempre più potenti all’Ucraina?

A due mesi dal varo della nona tranche di sanzioni del 16 dicembre scorso, la presidente della Commissione europea Ursula von der Layen davanti al Parlamento di Strasburgo, mercoledì 15 febbraio, ha annunciato la decima tranche di misure sanzionatorie alla Russia per un valore di 11 miliardi di euro “di nuovi divieti commerciali e controlli sulle esportazioni di tecnologia verso la Russia, per mantenere forte la pressione” precisando che “noi cerchiamo di indebolire la capacità della Russia di mantenere la sua macchina da guerra. Con nove pacchetti di sanzioni già operativi, l’economia russa è in recessione1.

Siamo ormai giunti ad un anno dall’introduzione del primo pacchetto di sanzioni della Ue e degli Usa del 23 febbraio scorso, comminato a seguito del riconoscimento delle Repubbliche Popolari del Donbass che ha preceduto di un giorno l’Operazione Militare Speciale, nonostante i risultati sia tattico-operativi con Mosca passata ad una decisa controffensiva, sia economici col mancato tracollo dell’economia russa, continua a riecheggiare, dalle Cancellerie europee, lo stesso stanco ritornello che intona disastri nell’economia russa e la sconfitta dell’esercito di Mosca, sotto le imponenti forniture militari occidentali.

Procedendo alla verifica oggettiva delle dichiarazione dei vertici Ue in merito alla recessione causata alla Russia, tralasciandone altre iniziali che ne ventilavano il default2, rileviamo come dalla previsione ad aprile del Fmi di un pesante -8,5% per il 2022, si è ridotta al solo -2.2% nel World Economic Outlook del 30 gennaio della stessa istituzione3 (tab. 1).

A livello geopolitico invece, seppur oggetto di condanna da parte di una Risoluzione dell’Assemblea Generale dell’Onu del 3 marzo per l’invasione dell’Ucraina votata da 141 Paesi su 193, la Russia, appare tutt’altro che emarginata appurato che solo 37 Paesi dei 193 (pari al 19% del totale) dopo 7 settimane dal 24 febbraio4, avevano aderito alle sanzioni promosse dagli Stati Uniti e imposte da questi ultimi anche all’Ue (carta 1). Anzi isolata verso occidente, Mosca ha ridisegnato la propria carta geopolitica approfondendo le relazioni economiche, commerciali e politiche non solo con le potenze emergenti (Cina e India) e regionali asiatiche (Pakistan e Turchia), ma anche con i Paesi africani e latinoamericani, contrari all’adozione delle sanzioni (carta 2).

In particolare, rispetto all’Africa i rapporti si stanno intensificando come dimostrano, oltre a quello del luglio scorso, i 2 recentissimi viaggi compiuti nel continente fra gennaio e febbraio dal Ministro degli esteri russo, Sergei Lavrov, e l’annuncio del nuovo summit Russia – Africa per luglio 2023 a San Pietroburgo5. Nel processo di ampliamento della propria presenza, fra le varie strategie, la Russia sta subentrando alla Francia nella sua tradizionale zona d’influenza post-coloniale, la regione del Sahel, con la quale intesse sempre più fitte trame diplomatiche, soprattutto, con Mauritania, Mali e Burkina Faso, oltre alla Repubblica Centrafricana e all’ex colonia britannica Sudan.

Tabella 1: Previsioni economiche del Fmi per il 2022 degli World Economic Outlook di ottobre 2021 e gennaio, aprile, luglio, ottobre 2022 e gennaio 2023


Previsioni economiche del Fmi per il 2022

Ottobre 2021Gennaio 2022Aprile 2022Luglio 2022Ottobre 2022Gennaio 2023
Economia mondiale4,94,43,63,23,23,4
Russia
2,92,8-8.5-6,0-3,4-2,2

Sulla scorta del World Economic Outlook di ottobre del Fmi, nel mese successivo abbiamo pubblicato la ricerca “Crisi ucraina: un primo bilancio delle sanzioni alla Russia” al fine di indagare le ricadute delle stesse sull’economia russa e su quella dei Paesi che le hanno comminate disaggregando i dati fra gli Stati Uniti, deus ex machina dell’operazione e l’Ue nel complesso ed i singoli suoi Paesi, che le hanno supinamente adottate, dal quale sono emerse nitide evidenze in merito ai reali effetti rispetto sia alle intenzioni dei promotori, sia delle iniziali previsioni (inserire il link dell’articolo).

Nell’intento di comporre un quadro quanto più completo ed esaustivo possibile, abbiamo inizialmente analizzato in chiave comparativa l’entità dell’interscambio commerciale fra Ue e Russia quello fra Stati Uniti e Russia, ricavando come il primo risulti 9 volte superiore rispetto al secondo, oltre ad aver indagato approfonditamente quello fra Italia e Russia anche dal punto di vista merceologico. Inoltre, abbiamo preso in esame la complesso tematica degli effetti delle sanzioni sul mercato dell’energia dei Paesi Ue e del piano comunitario REPowerEu6 varato da Bruxelles con l’obiettivo di “ridurre rapidamente la nostra dipendenza dai combustibili fossili russi” che hanno prodotto, oltre a difficoltà di approvvigionamento, un eccezionale aumento del costo dei prodotti energetici, una forte impennata inflattiva, un aumento dei tassi da parte delle Banche centrali e un sensibile rallentamento del ciclo economico.

Procediamo di seguito all’analisi degli effetti economici delle misure restrittive sulla base dei dati economici relativi all’intero 2022 e per quanto l’interscambio commerciale fra Italia e Russia, sui primi 10 mesi dello stesso.

Le ricadute sull’interscambio commerciale Italia – Russia

Nell’intento di valutare l’effettiva ricaduta delle sanzioni rispetto al fine di sfiancare l’economia russa da parte dei Paesi che le hanno introdotte, risulta fondamentale, fra le varie, confrontare la variazione dell’interscambio commerciale con Mosca fra gennaio e ottobre 2021 con quello del corrispondente periodo del 2022, quest’ultimo influenzato dai provvedimenti restrittivi.

Per quanto riguarda il nostro Paese nel periodo gennaio-ottobre 2021, in condizioni di ristabilita normalità economica dopo la crisi del 2020, abbiamo esportato merci in Russia per un controvalore di 6,3 miliardi di euro, mentre ne abbiamo importati 13,9 miliardi con un saldo per noi negativo di circa 7,6 miliardi di euro, sostanzialmente in linea con i dati del 2019 (tab. 2). Nei primi 10 mesi dell’anno appena concluso, invece, a seguito delle sanzioni e del piano REPowerEU, tramite i quali ci siamo preclusi attività economiche significative con Mosca, il nostro export è diminuito del 22,9% a meno di 5 miliardi di euro, mentre il valore del nostro import ha subito un aumento del 79,3%, attestandosi a 24,9 miliardi di euro, affossando in tal modo il saldo negativo a 20 miliardi di euro, con un aggravio del disavanzo di circa 12,5 miliardi.

Tabella 2: valore in miliardi di euro dell’interscambio commerciale Italia-Russia fra 2019 e 2021 e confronto fra gennaio-ottobre 2021 e 2022.Fonte: infomercati esteri su dati Istituto del Commercio Estero (Ice)7

Export italiano verso la Russia201920202021Gen – ott 2021Gen – ott 2022
Totale (mld. €)7,8827,1017,6966,2884,848
Variazione periodo precedente (%)+4,2-9,9+8,8
-22,9

Import italiano dalla Russia
201920202021Gen – ott 2021Gen – ott 2022
Totale (mld. €)14,3249,32913,98413,86324,853
Variazione (%)-4,3-34,9+54,5
+79,3
Totale interscambio (mld. €)22,20616,43021,68012,52129,701
Saldo commerciale Italia (mld. €)-6,442-2,228-6,288-7,575-20,005

Il pesante deficit dell’interscambio del nostro Paese con la Russia, è stato determinato sia dall’aumento del valore dell’import, pur in una fase di minori acquisti in volume di prodotti energetici da Mosca8, sia dalla diminuzione del 22,9% dell’export verso la Russia.

Il vertiginoso aumento dei costi del gas e del petrolio hanno influito sul corposo deficit commerciale totale dell’Italia del 2022 (vedi tab. 4), il quale nel trimestre agosto-ottobre, rispetto a quello precedente, è andato aggravandosi, visto che in base ai dati Istat, l’export è diminuito dello 0,7% e l’import aumentato del 3,9%9. Inoltre, l’impennata dell’energia ha sospinto al rialzo, l’inflazione sia nel nostro Paese, fino al picco dell’11,9%10 di ottobre poi gradualmente ripiegata al 10,1% a gennaio11 e al 9,2%12 a febbraio, che nell’Eurozona, nella quale è stato stimato dall’Eurostat13 negli stessi mesi rispettivamente all’8,6%14 e all’8,5%, anche qui in diminuzione rispetto al 10,6% di ottobre. Inversione di tendenza della dinamica dei prezzi riconducibile alla flessione del costo dei prodotti energetici importati, gas in primis, quest’ultimo sul mercato TTF di Amsterdam disceso, dalla quotazione media mensile massima, raggiunta ad agosto, di 222,33 €/MWh (megawattora), a 118,55 €/MWh a dicembre 202215.

Gli effetti delle sanzioni sulla dinamica delle economie occidentali

I concomitanti fattori sopra riportati, sommati al rialzo dei tassi della Bce (ormai giunti al 3% con il quinto rialzo consecutivo entrato in vigore l’8 febbraio e con aumento analogo già annunciato per marzo 16), stanno creando un sensibile rallentamento delle economie occidentali per il 2023, come ci conferma l’ultimo Outlook del Fmi del 30 gennaio scorso, con il Regno Unito previsto addirittura in recessione. Per quanto riguarda Germania e Italia, non casualmente fino a febbraio 2022 due fra i Paesi maggiormente dipendenti dal gas russo17, il report indica la crescita più bassa fra le principali economie dell’Eurozona nel 2023, rispettivamente a +0,6% e +0,1%, mentre la stessa Area dell’euro subirà un rallentamento a +0,7% e gli Usa una crescita modesta del +1,4%. La Russia, infine, dopo aver ridotto la recessione a -2,2% nell’anno appena concluso il Fmi prevede che ne fuoriesca nel prossimo, nonostante nuove tranche di sanzioni continuino a stagliarsi all’orizzonte.

Per valutare l’impatto delle sanzioni sulle principali economie mondiali, risulta fondamentale confrontare le previsioni dello stesso Outlook per l’anno appena concluso, quindi molto vicine al dato definitivo, con quelle per il 2023 annunciate del Fmi ad ottobre. Non possiamo, infatti ritenere casuale che, nonostante la revisione al rialzo rispetto ai dati dell’autunno, i Paesi che hanno comminato le sanzioni alla Russia registreranno, secondo il Fmi, una sensibile diminuzione della crescita, mentre la Cina che non si è allineata ai dettami degli Usa, vedrà la propria economia espandersi nel 2023 in misura maggiore rispetto al 2022. Al contempo, la Russia dalla prevista contrazione del Pil del 2,3%, è passata ad una lievissima crescita dello 0,3%, in pratica un cambio di segno della dinamica economica inverso rispetto a quello del Regno Unito.

Tabella 3: previsioni variazione Pil per il 2023 e per il 2022. Fonte: World Economic Outlook Fmi gennaio 23 e previsioni Pil per il 2023. Fonte: World Economic Outlook Fmi ottobre 22


GermaniaItaliaFranciaRussiaEurozonaRegno U.UsaCina
Previsioni Pil 2022 gennaio 23
1,6%

1,9%

2,6%

-2-2%

3,5%

4,1%

2,0%

3,5%
Previsioni Pil 2023 gennaio 23
0,1%

0,6%

0,7%

0,3%

0,7%

-0,6%

1,4%

5,2%
Previsioni Pil 2023 ottobre 22
-0,3%

-0,2%

0,7%

-2,3%

0,5%

0,3%

1,0%

4,4%

Le decisioni assunte, su pressioni di Washington, dai Paesi europei e dall’Unione Europea verso Mosca, alla luce dei dati mostrano per il 2022 un impatto negativo, seppur ridotto a 1/4 rispetto alle prime catastrofiche previsioni, sull’andamento dell’economia russa, sortendo, invece, un effetto opposto sul saldo delle partite correnti che, secondo Bloomberg18, è più che triplicato sfiorando di 167 miliardi di dollari fra gennaio e giugno 2022, rispetto ai 50 del corrispondente periodo del 2021, a seguito dell’aumento dei ricavi dell’export dell’energia e delle materie prime, alla diminuzione delle importazioni a causa delle sanzioni e all’apertura di nuovi mercati di sbocco asiatici che hanno compensato l’impatto delle sanzioni.

Se i provvedimenti restrittivi occidentali sembrano aver raggiunto solo parzialmente gli obiettivi prefissati ai danni della Russia, di altra entità risultano, invece, gli impatti negativi causati alle proprie economie che stanno registrando pesanti effetti in termini di deficit commerciale, elevata inflazione, alti tassi di interesse non che rallentamento economico, come indicato dal Fmi.

Non ci è dato di sapere se l’Outlook del Fmi di gennaio scorso sia arrivato sui tavoli della Commissione Europea, ma ritenendo altamente improbabile il contrario, non possiamo esimerci dal domandarci se le dichiarazioni della sua Presidente rilasciate il 16 febbraio al Parlamento Europeo in merito al persistere dello stato di recessione dell’economia russa nel 2023, peraltro dopo il trend in attenuazione del 2022, siano frutto di studi di istituti di ricerca volutamente non rivelati o di mera propaganda politica finalizzata a camuffare il parziale fallimento delle sanzioni sulla Russia, non che la pesante ricaduta negativa sulle economie occidentali.

Le nove tranche di sanzioni comminate sino a questo momento dagli Stati europei sembrano, dunque, assumere, sulla scorta dei dati e delle previsioni economiche, connotato di boomerang ancor più clamoroso rispetto a quelle del 2014. Sorge pertanto il dubbio che le contraddittorie dichiarazioni della Presidente Ursula von der Layen, abbiano lo scopo di far digerire all’opinione pubblica europea il decimo pacchetto di sanzioni definitivamente approvato il 25 febbraio che, inevitabilmente, prolungherà lo stato di stagnazione dell’Eurozona, mentre la Russia è previsto che continuerà a subirne effetti limitati.

All’annuncio del decimo pacchetto da parte della Presidente von der Layen, l’unica voce sollevatasi in dissonanza è stata quella del ministro degli esteri ungherese, Peter Szijjartò, il quale ha eloquentemente affermato che ”le nuove misure si aggiungono a quelle già rivelatesi inutili”. In un nota lo stesso ministro ungherese ha ulteriormente specificato che: “hanno provato 9 volte e 9 volte hanno fallito: dovrebbero trarre la ragionevole conclusione di non provarci mai più, ma Bruxelles non è guidata dalla ragione19, evidentemente conscio del negativo impatto delle sanzioni sulle economie dell’Eurozona.

L’impatto delle sanzioni sull’economia e sul commercio del nostro Paese nel 2022

L’analisi comparativa della dinamica economica del nostro Paese in relazione al contesto europeo, si sta delineando maggiormente critica, in quanto la preannunciata, e sopra riportata, stagnazione per il 2023 prevista dal Fmi il 30 gennaio, è stata preceduta da una lieve recessione dello 0,1% nel quarto trimestre del 2022, peraltro prevista da diversi istituti già in autunno, mentre l’Area dell’euro ha registrato un +0,1%, con l’inflazione che si sta mantenendo ormai da diversi mesi su un livello più elevato di circa 2-3 punti percentuali rispetto alla media dell’Eurozona20.

In Italia, inoltre sempre a causa delle sanzioni e dei conseguenti effetti, anche la bilancia commerciale, nell’anno appena concluso, ha subito un tracollo: l’Istat (tab. 4) ci informa che da un surplus di +40,334 miliardi di euro del 2021 siamo passati ad un deficit di -31,011 nel 2022, a causa del pesante disavanzo della bilancia energetica sceso nell’anno appena concluso a ben -111,278 miliardi di euro dai -48,356 di quello precedente. Con il saldo dell’interscambio dei prodotti non energetici sceso da +88,690 miliardi di euro del 2021 a +80,267 del 2022, in pratica un arretramento in entrambi i comparti anche se di entità ben diversa21.

Tabella 4: variazione del saldo della bilancia commerciale, energetica, dei prodotti non energetici italiana fra 2021 e 2022 e della bilancia commerciale Italia-Russia fra gennaio e ottobre 2021 e 2022 in miliardi di €


Periodo
Saldo bilancia commerciale totaleSaldo bilancia energeticaSaldo bilancia prodotti non energeticiSaldo bilancia Italia – Russia gennaio – ottobre
2021+40,334-48,356+88,690-7,575
2022-31,011-111,278+80,267-20.005

I vertici politici comunitari e nazionali, e in particolare il governo Meloni, non possono, a nostro avviso esimersi, dal rendere conto all’opinione pubblica della scarsa efficacia della sanzioni sulla destinataria, non che dei costi sociali causati dal rallentamento economico che sta insabbiando la ripresa post-covid. Costi che inevitabilmente stanno ricadendo in maniera più gravosa sui ceti popolari e sui lavoratori a causa della perdita di potere d’acquisto di salari, stipendi e pensioni innescata dell’impennata inflazionistica (aumento di bollette, rate dei mutui, carrello della spesa ecc) con inevitabile incremento della divaricazione sociale e della povertà assoluta, nella quale è precipitata l’11% della popolazione nazionale a fine 2022, praticamente quasi raddoppiando rispetto al periodo pre-covid22.

L’escalation delle forniture militari all’Ucraina spingono la Ue al coinvolgimento diretto

La controffensiva lanciata a dicembre dalla Russia nell’intento di riconquistare il terreno perso nei mesi precedenti, sta allarmando i vertici occidentali, i quali nelle dichiarazioni continuano a sostenere i velleitari proclami di Zelensky di voler ricacciare oltre confine le truppe di Mosca e di riprendersi anche la Crimea.

I Paesi occidentali, sotto la poco avveduta regia del Segretario generale della Nato Jens Stoltemberg, portavoce di Washington e de facto artefice della politica estera e militare europea, non hanno vagliato alcuna possibilità di uscita negoziale dal conflitto, per continuare sulla pericolosa strada dell’aumento delle forniture militari e del conseguente escalation del conflitto che, a loro dire, dovrebbe portare alla sconfitta della Russia.

In tale ottica, al vertice di Ramstein in Germania, tenutosi all’interno della base militare Usa fra il 20-22 gennaio, i ministri degli esteri dei 40 Paesi del “Gruppo di contatto” hanno approvato una nuova consistente fornitura di armamenti pesanti soprattutto all’Ucraina, fra cui carri armati britannici Challanger 2, blindati da trasporto truppe Bradley e Stryker, sistemi antiaerei Patriot e Samp-T, sistemi antiaerei mobili Gepard, pezzi d’artiglieria M777 di grosso calibro ed altro materiale. In quel contesto, il nostro ministro degli esteri, Antonio Tajani, ha dichiarato che l’Italia farà la sua parte fornendo il sistema di difesa aerea avanzato Samp/T e nel complesso finanzierà un altro miliardo di euro per l’Ucraina23.

Stiamo vivendo il paradosso per il quale mentre continuiamo a gettare miliardi nella voragine ucraina senza impegnarci in alcuna strategia di risoluzione del conflitto, il nostro Servizio Sanitario Nazionale, definanziato di ben 37 miliardi di euro fra il 2010 e 2019, si trova ormai al collasso senza che i fondi per salvarlo vengano stanziati, come conferma la legge di bilancio 2023 del governo Meloni in perfetta continuità col piano finanziario sulla sanità 2022-2025 varato da Draghi24.

Nonostante le corpose forniture decise a Ramstein, Zelensky, evidentemente non soddisfatto, ha continuato a premere nei giorni successivi ottenendo, già il 24 gennaio25, la promessa di fornitura dei micidiali carro armati tedeschi Leopard 2 e di quelli statunitensi M1 Abrams, superando un’altra linea rossa ritenuta dagli occidentali fino a quel momento invalicabile e provocando il risentimento di Mosca che ha reagito intensificando ulteriormente gli attacchi militari26.

Ormai entrati in un irrefrenabile vortice, i Paesi occidentali al vertice Nato di Bruxelles del 14-15 febbraio, nel cui contesto i ministri della difesa dei Paesi membri, hanno in maggioranza espresso la posizione di aumentare le spese militari nazionali oltre la soglia prefissata del 2% del Pil, portandola addirittura al 3 o al 4%, confermando anche la loro determinazione a sostenere l’Ucraina con ulteriori, e tecnologicamente più avanzate, forniture di armamenti. In conclusione del vertice un gongolante Jens Stoltemberg ha annunciato che Stati Uniti, Francia, Germania, Norvegia e altri Stati membri hanno sottoscritto contratti con aziende del settore degli armamenti per incrementarne la produzione, precisando che “si stanno rafforzando sia le linee produttive esistenti che investendo in nuove fabbriche“. Nessun riferimento invece a soluzioni concordate del conflitto o quantomeno ad un cessate il fuoco.

Nel ben congegnato gioco delle parti, il Parlamento europeo, il giorno seguente al vertice di Bruxelles ha approvato a larghissima maggioranza, con 444 voti favorevoli, 26 contrari e 37 astensioni, una Risoluzione nella quale sollecita la Commissione a fornire all’Ucraina “aiuti militari per tutto il tempo necessario” invitando “a prendere in seria considerazione la fornitura di aerei da combattimento, elicotteri, sistemi missilistici (a più lunga gittata in grado di colpire anche il territorio russo, ndr) e un aumento delle munizioni27. Il testo approvato, fra le varie, chiede anche di rafforzare le sanzioni e di avviare i negoziati per l’adesione dell’Ucraina alla Nato. La richiesta di fornitura di aerei da combattimento, non solo va in direzione diametralmente opposta rispetto al sentire dell’opinione pubblica europea in maggioranza non favorevole a nuovi invii di armi e all’escalation militare, ma se recepita dalla Commissione comporterebbe di fatto l’entrata diretta nel conflitto dei Paesi comunitari, con tutte le gravi conseguenze che ne scaturirebbero.

Riteniamo, inoltre, opportuno effettuare una seria riflessione sulle politiche dell’Ue, la quale, da un lato, impone stringenti parametri ai bilanci pubblici degli Stati membri che si riflettono in cospicui tagli ai welfare nazionali a danno dei ceti sociali inferiori, mentre, dall’altro, non pone alcun limite alle spese per forniture di armi all’ Ucraina che a dicembre scorso avevano già raggiunto i 40 miliardi di euro28.

In base alla ricerca “Ucraina Support Tracker” dell’autorevole Kiel Institute of the world Economy (ifw), i trasferimenti avvenuti da parte di 40 governi, quasi in toto, occidentali al governo ucraino, fra il 24 gennaio e il 20 novembre 2022, in armamenti, aiuti umanitari e sostegno finanziario, ammontavano alla stratosferica cifra di 113 miliardi di euro, la quota principale dei quali, 52 miliardi, sostenuta dall’Ue, con gli Stati Uniti a breve distanza con 48 miliardi ed i restanti 38 Paesi che hanno coperto i residui 13 miliardi29.

Il perdurare della guerra ed il suo inasprimento sta sensibilmente alimentando i fatturati delle aziende produttrici di armamenti, le quali hanno chiuso i bilanci del 2022 in netta crescita: la nostra Leonardo, per il 30,2% a partecipazione pubblica, ha registrato un aumento degli ordinativi del 26%, la tedesca Rehinmetal del 32% e la franco-tedesca Airbus annuncia una crescita fra il 6 e il 21% a seconda del segmento dei prodotti.

Come uscire dalla spirale guerra – sanzioni – crisi economica e sociale?

Il proseguimento sine die del conflitto in Ucraina, iniziato nel 2014 come ha ammesso lo stesso Stoltemberg30, è frutto esclusivo di decisioni assunte dai vertici politici occidentali e da Zelensky, poiché dal punto di vista militare risulta evidente che sul terreno la situazione sia sostanzialmente impantanata in un sanguinoso stallo ormai da mesi. Nessuno dei due contendenti, pur registrando un numero molto elevato di vittime, non riesce a sfondare le linee avversarie e gli spostamenti del fronte, salvo l’avanzata iniziale russa e la controffensiva ucraina di autunno, risultano lenti e sovente a direzione alterna. Da settimane i media occidentali preannunciano una massiccia offensiva russa in primavera ma, ad oggi nonostante gli sforzi profusi da dicembre, l’unica recente vittoria riportata da Mosca è risultata la presa di Soledar mentre i combattimenti per Bakhmut infervorano ormai da settimane in quello che il comandante della Compagnia privata Wagner, Prigozhin, ha definito un “tritacarne”31.

Alla 59esima Conferenza sulla Sicurezza di Monaco di Baviera (MSC) del 17-19 febbraio, nel cui contesto si sono riuniti, escludendo la Russia, i vertici politici e militari di ben 96 Paesi, è stato riservato ampio spazio a Zelensky che ha aperto il summit chiedendo nuove forniture militari al fine di arrivare alla sconfitta della Russia. I Paesi europei ancora una volta non sono riusciti a ritagliarsi uno ruolo geopolitico adeguato al proprio rango economico, rimanendo schiacciati fra la volontà politica di Washington di proseguire la guerra fino alla sfiancamento della Russia e la retorica bellicista di Zelensky, come ha dovuto amaramente ammettere il presidente francese Macron, uno dei leader occidentali più propensi al negoziato, dichiarando che “non è ancora l’ora del dialogo32.

La linea politica della guerra ad oltranza è stata confermata anche durante la visita a sorpresa effettuata il 20 febbraio dal presidente statunitense Biden a Kiev, durante la quale, alimentando la consolidata retorica guerrafondaia, ha annunciato un nuovo pacchetto di forniture all’Ucraina comprensivo di missili Himers a più lungo raggio e del sistema di contraerea Patriot, oltre ad un sostegno finanziario di 18 miliardi.

Il pellegrinaggio dei leader occidentali nella capitale ucraina è proseguito il giorno seguente con l’arrivo del nostro Presidente del Consiglio Meloni, il quale ha esaltato le virtù dell’atlantismo, enfatizzato l’eroica resistenza ucraina e rassicurato Zelensky che “il governo italiano è al fianco dell’Ucraina fino alla vittoria“.

Come a Monaco, anche in queste due occasioni, nemmeno un accenno ad un cessate il fuoco e all’apertura di un dialogo per una soluzione diplomatica, sortendo come unico effetto la reazione di Mosca, la quale ha annunciato la sospensione dal Trattato New Start sulla limitazioni della armi nucleari strategiche sottoscritto con gli Usa nel 2010 ed entrato in vigore l’anno successivo. Anche se prossimi alla scadenza dello stesso prevista per il 2026, risulta evidente come ad ogni upgrade delle forniture occidentali all’Ucraina la Russia risponda da par suo, in un pericoloso avvitamento dai foschi orizzonti indefiniti33.

I connotati del conflitto in corso risultano quelli di una tradizionale e sanguinosa guerra d’attrito che alla luce delle forze in campo, da un lato, la Russia seconda potenza militare mondiale e, dall’altro, l’Ucraina sostenuta, armata e finanziata da ben 40 Paesi, difficilmente porterà ad una netta vittoria sul campo.

In tal senso risultano molto eloquenti le dichiarazioni rilasciate in una intervista al Financial time dal Capo di Stato maggiore Usa, generale Mark Milley in base alle quali “né la Russia, né l’Ucraina saranno in grado di vincere la guerra e che il conflitto terminerà solamente ad un tavolo negoziale“, perché “sarà praticamente impossibile per i russi raggiungere i loro obiettivi ed è improbabile che la Russia riesca a conquistare l’Ucraina. Non succederà. Ed molto, molto difficile che le forze di Kiev riescano a cacciare quelle di Putin nei loro territori”. E quella di Malley, fra i vertici militari occidentali, non risulta l’unica voce in tal senso.

Il conflitto viene quindi procrastinato ad oltranza, sulla pelle del popolo ucraino, per meri interessi geopolitici: la Russia non vuole basi militari a ridosso del proprio territorio ed dichiara di voler tutelare la propria sicurezza nazionale, dall’altra gli Stati Uniti e la Nato, i quali come ha dichiarato l’ex Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica militare, generale Antonio Tricarico “evidentemente non vogliono la pace e so quello che dico. Biden non vuole la pace e se non la vuole lui non la vogliono tutti gli altri”, specificando che Stoltemberg fa da “cassa di risonanza di Biden”. Tricarico conclude l’intervista a Tagadà su la 7 affermando che “Biden vuole vedere Putin nella polvere. Doveva restare a casa sua senza muoversi più [ ] invece questo attivismo in Siria e nel Mediterraneo ha dato fastidio perché ha riempito gli spazi che gli Stati Uniti hanno lasciato vuoti34.

Le inequivocabili affermazioni del generale Tricarico confortano la nostra analisi in merito alla genesi del conflitto in Ucraina che da tempo abbiamo inquadrato nella strategia Usa di affrontare separatamente le due potenze mondiali che la stanno insidiando, ognuno nel proprio settore di forza, al vertice del potere unipolare mondiale: la Russia in campo militare, impegnata ad ampliare la propria sfera d’influenza in Africa e Medio Oriente e riconquistare il ruolo di superpotenza che fu dell’Urss e la Cina, seconda potenza economica mondiale in rapida ascesa, a cui gli Usa cercano di rallentarne la crescita. A proposito del Gigante asiatico, in tale chiave va interpretata la guerra commerciale scatenata da Trump e quella di Biden sui microchip, come d’altronde le visite di alti esponenti politici Usa a Taiwan che stanno facendo salire la tensione diplomatica e militare nel Mar Cinese Meridionale.

La decisa escalation militare in cui si sta avvitando nelle ultime settimane la guerra in Ucraina sta destando forti preoccupazioni in vasti settori dell’opinione pubblica nazionale e internazionale, oltre che in alcune forze politiche di sinistra che si riconoscono nei valori della pace e si oppongono all’invio di armi. In particolare l’organizzazione politica spagnola Podemos si è fatta promotrice il 19 febbraio, in contemporanea con la Conferenza di Monaco, di una Conferenza per la pace europea a Madrid nella quale la sua leader, Iole Bellarra, ha dichiarato senza mezzi termini ai convenuti che “l’escalation bellica ci trascina tutti a fondo”. La stessa leader ha concluso il suo intervento, molto applaudito dai presenti e dagli esponenti di circa venti formazioni politiche di sinistra europee convenuti, affermando che “la Spagna può diventare parte della soluzione e smettere di essere parte del problema [..] Non vogliamo vedere Madrid mandare truppe per nessuna guerra pianificata dai potenti di altri Paesi, ed è proprio lì che ci sta portando l’irresponsabilità di alcuni”.

L’inequivocabile messaggio della leader di Podemos per riuscire a far cambiare rotta al governo di Sanchez, del quale è componente essenziale, in merito all’invio delle armi all’Ucraina ad oltranza, necessita di essere sostenuto da un significativo movimento popolare che porti avanti una visione alternativa e spinga alla soluzione negoziale del conflitto.

Crediamo sia assolutamente necessario che a 20 anni esatti dalle grandi manifestazioni nelle principali città mondiali, che portarono in piazza ben 110 milioni di persone e 3 milioni a Roma, in quella che è passata alla storia come la più imponente mobilitazione della storia contro la guerra, il movimento per la pace si mobiliti per contrastare la deriva militarista senza fine.

Occorre che la maggioranza dell’opinione pubblica europea, che è bene ricordarlo è contraria alla guerra e a nuovi invii delle armi, faccia sentire in modo chiaro e deciso la sua voce presso i propri governi per spingerli alla trattativa e alla ricerca di una via negoziale al conflitto, al cui scopo potrebbe risultare utile il Piano di pace diffuso il 24 febbraio dal ministero degli Esteri cinese, al termine del lungo tour europeo del capo della diplomazia del Partito Comunista Cinese, Wang Yi, durante il quale è stato richiesto da più parti alla Cina di farsi promotrice di un’azione diplomatica per porre fine alla guerra. Il documento articolato in 12 punti, fra le varie, propone il cessate il fuoco e una soluzione politica, precisando che il dialogo “è l’unico modo per risolvere” la crisi e che è necessario “prevenire la proliferazione nucleare ed evitare una crisi nucleare” e che la Cina si oppone “a qualsiasi sanzione unilaterale non autorizzata dall’Onu e allo sviluppo di armi biologiche e chimiche” da parte di qualsiasi Paese.

Quando i vertici politici sembrano aver smarrito il lume della ragione, è necessario che i popoli, veri vittime delle guerre, scendano in campo e si trasformino in soggetti politici in grado di indirizzare l’operato di governi che al di là dei proclami, risultano in realtà assoggettati ai dettami atlantisti e incapaci, non solo di arrestare la sempre più pericolosa escalation, ma anche di tutelare gli interessi delle proprie popolazioni.

Andrea Vento – 3 marzo 2023

Gruppo insegnanti di Geografia Autorganizzati

Carta 1: votazione dell’Assemblea Generale dell’Onu di condanna dell’invasione russa del 3 marzo 2022

Carta 2: gli stati applicano (in rosso) e che non applicano (in celeste) le sanzioni alla Russia

NOTE

1 https://www.adnkronos.com/ucraina-von-der-leyen-decimo-pacchetto-sanzioni-per-indebolire-macchina-guerra-russa_2RpWD7rqkyRoUHu0CYTsgs?refresh_ce

2 https://www.focus.it/comportamento/economia/default-Russia-putin-conseguenze-economia-mondiale

https://it.euronews.com/2022/03/03/russia-lo-spettro-del-default-rublo-sempre-ai-minimi-storici-e-debito-declassato-a-spazzat

3 https://www.imf.org/en/Publications/WEO/Issues/2023/01/31/world-economic-outlook-update-january-2023#Overview

4 https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/tutti-i-buchi-delle-sanzioni-alla-russia-34533

5 https://www.nigrizia.it/notizia/la-russia-espande-la-sua-influenza-in-africa

6 https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/?uri=COM%3A2022%3A230%3AFIN&qid=1653033742483

7 https://www.infomercatiesteri.it/scambi_commerciali.php?id_paesi=88#

8 Solo per il gas importato tramite il gasdotto che arriva al Tarvisio l’import dalla Russia è passato da 29,1 miliardi di m3 del 2021a 11,2 del 2022, una riduzione pari al 61%

9 https://www.istat.it/it/archivio/278879

10 https://www.istat.it/it/archivio/276683

11 https://www.istat.it/it/archivio/280321

12https://www.istat.it/it/archivio/281464

13 https://www.soldionline.it/notizie/macroeconomia/inflazione-europa-2022#:~:text=IL%20DATO%20DI%20OTTOBRE%202022,dello%20stesso%20mese%20del%202021.

14 https://www.agi.it/economia/news/2023-03-02/eurozona-inflazione-febbraio-in-leggero-calo-20324969/

15 https://luce-gas.it/guida/mercato/ttf-gas

16 https://www.milanofinanza.it/news/la-bce-alza-i-tassi-di-50-punti-pronto-un-altro-aumento-di-mezzo-punto-anche-a-marzo-202302021421332292

17 Secondo i dati dell’Agenzia dell’Ue per la cooperazione tra i regolatori dell’energia, al 24 febbraio 2022, la Germania importava il 49% del gas dalla Russia e l’Italia il 46%.

18 https://www.bloomberg.com/news/articles/2022-08-09/russia-more-than-triples-current-account-surplus-to-167-billion

19 https://www.rainews.it/maratona/2023/02/guerra-in-ucraina-la-cronaca-minuto-per-minuto-giorno-358-252f6161-3a2c-4097-ac75-204d39adc579.html

20 https://www.ansa.it/sito/notizie/economia/2023/02/14/pil-eurozona-01-nel-quarto-trimestre-in-italia-01_a0457ad0-ff9c-47c7-82c7-909795361405.html

21 https://www.borsaitaliana.it/borsa/notizie/radiocor/prima-pagina/dettaglio/bilancia-commerciale-istat-deficit-di-31-miliardi-nel-2022-rco-nRC_16022023_1020_228211763.html

22 https://www.tag24.it/433153-italiani-poverta-assoluta-poveri-2023-numeri-quanti-sono-statistiche/

23 https://www.affarinternazionali.it/vertice-ramstein-aiuti-militari-ucraina/

24 https://cambiailmondo.org/2023/01/30/la-crisi-della-sanita-italiana-dalla-riforma-del-titolo-v-alle-soglie-della-pandemia/

25 https://www.rainews.it/articoli/2023/01/media-gli-usa-inclini-ad-inviare-i-loro-potenti-carri-armati-abrams-in-ucraina-5c0300da-866f-444d-a351-b7ea5128259a.html

26 https://www.limesonline.com/notizie-mondo-oggi-26-gennaio-guerra-ucraina-russia-abrams-leopard-polonia-usa-cina-australia/130847#:~:text=I%2031%20carri%20armati%20americani,prevista%20nuova%20offensiva%20russa%20di

27 https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2023/02/16/nessuno-puo-vincere.-ne-e-convinto-il-capo-di-stato-maggiore-degli-usa_578c59ad-8c10-4cc2-ab51-0e15ee85b29a.html

28 https://www.analisidifesa.it/2022/12/la-guerra-logora-anche-chi-non-la-fa/

29 https://www-ifw–kiel-de.translate.goog/topics/war-against-ukraine/ukraine-support-tracker/?cookieLevel=not-set&_x_tr_sl=en&_x_tr_tl=it&_x_tr_hl=it&_x_tr_pto=sc

30 https://www.ilfattoquotidiano.it/2023/02/14/ucraina-stoltenberg-la-guerra-non-e-iniziata-a-febbraio-dal-2014-la-nato-ha-supportato-kiev-con-addestramenti-ed-equipaggiamenti/7065190/

31 https://www.ansa.it/sito/notizie/topnews/2023/02/14/prigozhin-bakhmut-non-sara-catturata-tanto-presto_bc0008bc-d55f-4abf-95fd-aa2b3c04b16d.html

32 https://www.limesonline.com/notizie-mondo-questa-settimana-guerra-ucraina-russia-monaco-ue-motori-india-bbc-kenya-sudafrica-usa-cina/131177

33 https://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2023/02/21/cosa-prevede-il-trattato-new-start-tra-usa-e-russia_79ca06d7-dd18-4763-9dd6-a908bf09af60.html

34 ltempo.it/attualita/2022/04/11/news/guerra-russia-ucraina-generale-tricarico-tagada-joe-biden-vuole-putin-nella-polvere-nato-stoltenberg-confine-est-ridicolo-31176551/

Sulla Moldavia soffiano forti venti di guerra. Qual è la situazione fattuale nell’area

a cura di Enrico Vigna

Dall’ascesa al potere della atlantista, antirussa e sorosiana Maia Sandu, un intreccio di provocazioni, minacce e politiche incendiarie, riguardanti, prima la contraddizione inerente la Pridnestrovie e ora l’arruolamento al fianco della NATO e del governo golpista di Kiev, stanno rendendo il paese una situazione esplosiva.

A giudicare dalla continua attivazione delle forze armate ucraine in direzione della Pridnestrovie, gli sponsor occidentali del regime golpista di Kiev hanno deciso di accelerare risolutivamente la questione con questa piccola Repubblica, cercando così di liquidare questa “anomalia” per Moldavia e Ucraina. Effettivamente, la decisione di liquidare la Repubblica Moldava Pridnestroviana (PMR) era stata presa negli Stati Uniti qualche tempo fa, come rilevato dall’inizio della preparazione militare delle Forze Armate dell’Ucraina. Ma con il discorso bellicista di Biden a Varsavia la scorsa settimana, le dinamiche militari stanno marciando.

La posizione di questa enclave sembra militarmente disperata, ma in determinate circostanze tutto può cambiare radicalmente. Sicuramente una simile dinamica allargherebbe la crisi ucraina portandola sempre più verso occidente, con tutto ciò che ne comporterebbe di conseguenza, in tutti i campi.

Stante la situazione incandescente nella regione, il 14 febbraio scorso l’attuale presidente dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE), il ministro degli Affari esteri della Macedonia del Nord, B. Osmani, si è recato a Chisinau e Tiraspol, per cercare di stemperare i toni di guerra, che ormai permeano, negli ultimi mesi le dichiarazioni del governo moldavo, tenendo riunioni ufficiali su entrambe le sponde del Dniester, ha invitato Moldavia e Pridnestrovie a riprendere i negoziati in formato bilaterale e nel formato internazionale 5 + 2 (Moldavia, Pridnestrovie, OSCE, Russia, Ucraina e osservatori degli Stati Uniti e dell’UE), che non si tiene dall’anno 2019, e ha anche espresso la disponibilità ad aiutare a organizzare un simile incontro a Skopje, pur dichiarandosi molto preoccupato per la provocante “legge sul separatismo” moldava, che complica ulteriormente i rapporti tra Chisinau e Tiraspol. Infatti è stata presentata al parlamento moldavo, una proposta di legge per inserire nel codice penale della Moldavia, un articolo “sul separatismo“, insieme ad altre appendici arroganti, direttoa non solo contro i pridnestroviani, ma anche contro la regione autonoma della Gagauzia, contro qualsiasi forza di opposizione e cittadini dissidenti, che attualmente vengono dati a quasi il 70% della popolazione in Moldavia (naturalmente esclusa la diaspora), la Sandu temporeggia per la firma la legge e nel dispiega un apparato repressivo, perché è cosciente che potrebbe essere un azzardo e trovarsi il paese contro.

Dopo le continue provocazioni e atti ostili delle autorità di Chisinau in questi mesi contro la Pridnestrovie, che sono indirizzati verso una guerra, la Russia ha approvato un decreto che annullava la decisione del 2012, che implicava, tra l’altro, “la partecipazione attiva alla ricerca di modi per risolvere il problema della Transnistria basati sul rispetto della sovranità, dell’integrità territoriale e dello status neutrale di la Repubblica di Moldavia nel determinare lo status speciale della Transnistria “, che fino ad oggi era stata mantenuta come posizione diplomatica e di compromesso per favorire forme negoziali e pacifiche.

E’ ormai evidente a tutti gli esperti e osservatori, anche occidentali, che le autorità moldave, sotto mandato della NATO, stanno deliberatamente fomentando un conflitto con la Transnistria per coinvolgervi la Russia. Il giorno prima di questo decreto, il presidente dell’Ucraina Zelensky aveva fatto l’ennesimo tentativo di coinvolgere la Moldavia in uno scontro militare con la Russia, rilasciando una serie di dichiarazioni sul un imminente colpo di stato armato in Moldavia “con la partecipazione di cittadini di Russia, Bielorussia, Serbia e Montenegro”, e sul desiderio di Mosca di sequestrare l’aeroporto di Chisinau e utilizzarlo come base di trasbordo, subito rilanciato dal governo europeista moldavo, creando anche il panico nella popolazione, tranne che poi nei giorni seguenti, la Sandu ha dovuto fare scuse ufficiali alle autorità di Serbia e Montenegro. L’opposizione del paese denuncia che la presidente Sandu e il nuovo primo ministro Dorin Recean, non sono politici sovrani, ma sono governati dagli Stati Uniti, e Washington cerca di indebolire la posizione della Russia aprendo un “secondo fronte” in Moldavia”, scrivono molti giornali e media russi.

Che tutto sia pronto per il braccio di ferro lo testimonia anche la dichiarazione del nuovo ministro dell’Energia della Moldavia, Viktor Parlikov, che ha annunciato l’intenzione del governo moldavo di rivedere tutti gli accordi con la russa Gazprom e la Moldavskaya GRES, situata in Pridnestrovie. La visita di 19 deputati del partito di governo Azione e Solidarietà all’ufficio dell’Alleanza NATO a Bruxelles è la dimostrazione che la dirigenza della Moldavia ha intrapreso con forza la rotta verso l’abbandono della neutralità e l’adesione alla NATO. Il deputato della fazione al potere, Mihai Popsoi, ha affermato che la maggioranza del popolo moldavo non vuole entrare nella NATO perché “avvelenato dalla propaganda russa “.

In questa fase si sta dipanando una situazione aggrovigliata, da un lato ci sono le strategie di Stati Uniti, NATO, UE e Russia, attori visibili della crisi locale, che a parole sostengono il formato 5 + 2, ma dietro le quinte sta lavorando l’intelligence britannica, che sta giocando una partita a sé, pur non facendo parte in alcun modo del format 5+2.

La domanda di ogni attento osservatore e conoscitore dell’area è: quanto è forte l’influenza di Londra nella regione. Si sa del potenziale della diplomazia americana, l’influenza della Germania che è sempre stata piuttosto forte e nel 2022 anche la Francia si è ricavato un ruolo significativo nella realtà moldava. Un dato è certo e da tenere in considerazione, gli inglesi lavorano in Moldavia da decenni. Inoltre, svolgono questo lavoro principalmente “sotto traccia” e non cercano pubblicità. Molti esperti hanno sottolineato che oggi l’interesse di Londra è l’espansione della zona di conflitto nella regione, perché questo indebolirebbe l’Europa e farebbe aumentare il peso della Gran Bretagna. In questo disegno ha due alleati chiave: Polonia e Ucraina, ed ora anche l’attuale governo di Chisinau, si è orientato verso questa prospettiva, che coincide pienamente con gli interessi degli inglesi. Anche se molti settori delle elite e potentati finanziari anche del partito PAS, non sembrano voler combattere con la Transnistria e la Russia. Ultimamente gli inglesi hanno visitato Chisinau, probabilmente per spingere fortemente la Sandu verso la guerra. 

Casualmente il nuovo Primo Ministro della Moldavia, Dorin Recean, ha più volte affermato la necessità della “smilitarizzazione” della Transnistria: “..questa regione ha bisogno di smilitarizzazione e la popolazione ha bisogno di integrazione sociale ed economica con la Moldavia. Non possiamo chiudere un occhio davanti al pericolo. Abbiamo bisogno della smilitarizzazione della Transnistria, della smilitarizzazione della popolazione locale…”.

Ma la domanda non retorica ma sostanziale, è possibile smilitarizzare la Transnistria con mezzi pacifici senza iniziare una guerra, come sostiene il nuovo capo del governo moldavo? 

Il problema principale di Chisinau, è che da sola non è in grado di svolgere tale compito. La sicurezza della RMP è fornita dalle proprie forze armate, oltreché da un contingente limitato di militari e caschi blu russi.

Ma teoricamente, è possibile, se si costringesse, magari corrompendola, la leadership della Pridnestrovie a una qualche forma di vergognosa capitolazione. Ma il popolo pridnestroviano non accetterà mai una simile capitolazione, forse a Washington e Kiev credono che la leadership della RMP possa imporre con la forza qualsiasi sua volontà al popolo, ma questa è un’illusione, data la coesione della popolazione locale. Inoltre, Tiraspol, come ormai nel resto del mondo, sanno bene che non ci si può fidare di nessuna promessa fatta in Occidente, avendo osservato le vicende del Donbass negli otto anni fino al 2022, sanno benissimo che con l’arrivo dei battaglioni neonazisti ucraini, non ci sarebbe pietà per nessuno, se fossero lasciati senza protezione di fronte ad essi, che ritengono, come in Ucraina, la popolazione filo-russa come “collaboratori”.

Ecco allora che si paventano alcuni scenari possibili, uno è quello indicato dal capo del dipartimento dell’Istituto dei Paesi della CSI, Kirill Frolov, secondo cui Mosca non avrebbe altra scelta che riconoscere immediatamente la Repubblica Moldava Pridnestroviana: “La minaccia di genocidio di oltre 200.000 cittadini russi che vivono in Transnistria è una realtà. Inoltre, la Russia non ha altra scelta dopo la pubblica dichiarazione di guerra alla Russia da parte di Biden, che ha annunciato il 21 febbraio di un processo a Putin e alla leadership della Russia. Ma ci sono forti motivi legali per riconoscere la RMP, come una serie di referendum già effettuati per la riunificazione con la Russia“, ha detto in un commento per i media.

La dimensione dell’esercito pridnestroviano è stimata in circa 10.000 militari, la riserva di mobilitazione civile è di circa 80mila persone. La base delle forze armate della Repubblica sono quattro brigate di mezzi motorizzati, tra cui una unità di elite, tre battaglioni di mezzi con mitragliatrici di quattro compagnie ciascuno, oltre a una batteria di mortai, un plotone del genio militare e altre unità speciali, con quattro battaglioni e varie unità di supporto.
Va sottolineato che l’armamento non è di livello modernizzato. Solo circa 20 carri armati sono di livello alto, poi ci sono da 100 a 200 autoblindo corazzati, alcune decine di cannoni trainati e semoventi, un gran numero di mortai e da circa 40 lanciarazzi multipli BM-21. La fanteria è dotata  di lanciagranate con propulsione a razzo e sistemi anticarro. Il sistema di difesa aerea è rappresentato da vecchie installazioni ZSU-23-4 e MANPADS, quindi si può dire abbastanza sorpassati.
Il numero del gruppo operativo delle Forze speciali russe di pace presenti in Transnistria è stimato in circa 2/3 mila militari.  Il contingente russo non dispone di capaci moderni sistemi di difesa aerea e armi da attacco pesante, la possibilità della loro consegna all’enclave, fu bloccata già molto tempo fa da Chisinau e Kiev. In caso di attacco con aerei d’attacco, con o senza equipaggio, nonché lanciarazzi MLRS a lungo raggio,


Con tale armamenti le forze di terra pridnestroviane, verrebbero spazzate via quasi senza rischi e grandi perdite dagli invasori ucraini. Mentre va sottolineato che la Moldavia non ha tali possibilità.
Infatti il problema vero è al confine della RMP con l’Ucraina, dove si sono concentrati in queste ultime settimane forze speciali d’urto delle forze armate ucraine con un numero stimato di oltre 20.000 militari, in gran parte formate dai neonazisti integrati nell’esercito ucraino e questo è osservato con forti preoccupazioni a Tiraspol e non solo. Ma per la Pridnetrovie esiste la possibilità di salvezza per i depositi della base militare di Kolbasna, di cui tratterò specificatamente.

Quali sono gli scenari possibili, secondo analisti ed esperti militari sul campo?

Sulla base della situazione indicata sopra, uno scenario è quello che le truppe locali e le forze di pace russe possono riescano ad organizzarsi con l’obiettivo di evitare perdite di civili, utilizzando la potenzialità distruttrice presente nei depositi di Kolbasna con ogni sorta di armamento lì accumulato dai tempi dell’URSS. Oppure resistere alle forze armate ucraine numericamente superiori, unificando il comando tra le forze russe e l’esercito pridnestroviano, che avrebbe costi umani elevatissimi. 
Nei fatti la domanda è, come in pratica sia possibile garantire la sicurezza della RMP, se l’Ucraina attacca realmente con l’obiettivo predominante di distruggerla. Secondo gli osservatori e militari, prima di tutto la Transnistria deve pensare alla propria salvezza contando sul coinvolgimento della Russia in caso di attacco ucraino. Per questo nelle analisi sui media di studi militari russi si ritiene che Tiraspol deve, in primo luogo  iniziare subito a mobilitarsi, chiamando sotto le armi chiunque sia in grado di combattere.
In secondo luogo, sempre secondo scenari ipotizzati dagli esperti militari, il Ministero della Difesa della Federazione Russa dovrebbe concentrarsi con attacchi preventivi contro il raggruppamento delle forze armate ucraine al confine con la Pridnestrovie, attaccandone i depositi e altre infrastrutture , per mettere fuori combattimento e disorganizzare il più possibile il colpo d’urto ucraino prima che attacchi la RMP.
In terzo luogo se il regime di Kiev decidesse comunque di intraprendere azioni aggressive contro Tiraspol , questa avrà il diritto di considerarsi in stato di guerra con l’Ucraina, con tutte le conseguenze che ne conseguono sul piano di alleanze ed accordi internazionali.

Un dato è certo dovesse concretizzarsi questa aggressione i costi in vite umane sul terreno, saranno altissimi, con il risultato che la Russia dovrà sicuramente forzare le sue strategie e dare priorità all’avanzata verso Odessa e la costa, per il semplice fatto che dal confine meridionale della RMP all’estuario del Dniestr nel Mar Nero, la distanza in linea retta è di soli 30 chilometri. 


Naturalmente resta la possibilità (…e la speranza) che NATO, USA e i paesi occidentali, veri attori della crisi ucraina, fermino questo scenario devastante di allargamento del conflitto, anche perché sia Chisinau che Kiev, stanno giocando con il fuoco e con la loro distruzione dispiegata.

Enrico Vigna – IniziativaMondo Multipolare/CIVG

1 marzo 2023

La liquidazione dell’eredità della rivoluzione come ideologia dell’invasione russa

di Andrij Movčan

21 febbraio 2023

Anno 1991, Leningrado. Ufficio personale del vicesindaco della città. Il corrispondente di un canale televisivo cittadino intervista un giovane funzionario della squadra di Anatolj Sobčak. Sullo schermo compare un uomo dal viso infantile in camicia bianca. Alle sue spalle si vedono le tapparelle, una TV, una lampada da tavolo, un telefono, cartelle aperte con documenti. Il tipico ambiente di un ufficio sovietico. Però manca qualcosa. La voce fuori campo del giornalista riferisce che ieri ha visto un busto di Lenin in questo ufficio, ma oggi non c’è più. Cos’è successo?

«Difficile dire cos’è successo. Perché dev’essere stato portato via da uno dei miei assistenti, — risponde il funzionario. — Se le interessa la mia opinione su quest’uomo, sulla dottrina che rappresentava, allora direi […] che tutto era solo una bella favola nociva. Nociva, perché la sua attuazione, o il tentativo di attuarla, nel nostro Paese ha causato danni enormi. A questo proposito, vorrei parlare della tragedia che stiamo vivendo oggi. Vale a dire, la tragedia del collasso del nostro stato. Non si può chiamarla in altro modo, se non tragedia. Penso che siano stati gli autori dell’ottobre 1917 a piazzare una bomba a orologeria sotto l’edificio di uno stato unitario, che si chiamava Russia. Cosa hanno fatto? Hanno diviso la nostra patria in feudi separati, che prima non apparivano affatto sulla carta geografica, hanno dotato questi feudi di governi e parlamenti, e ora abbiamo quello che abbiamo […] È in gran parte colpa di quelle persone, che lo volessero oppure no».

Il funzionario dell’ufficio del sindaco di San Pietroburgo che attaccava l’eredità della rivoluzione e la persona di Lenin con critiche così devastanti era il 39enne Vladimir Putin. In seguito, avendo già assunto la carica di Presidente della Federazione Russa, avrebbe ripetuto più volte nelle sue interviste e nei suoi discorsi l’idea che il crollo dell’Unione Sovietica sia stata “la più grande catastrofe geopolitica del XX secolo”, e che i colpevoli di questa catastrofe siano stati degli avventurieri rivoluzionari che sognavano di realizzare i loro progetti utopici a qualsiasi prezzo, o meglio, al prezzo dello smantellamento della preesistente statualità russa.

Putin ha ripetuto lo stesso concetto nel suo discorso programmatico del 21 febbraio 2022, in cui sono stati proclamati i fondamenti ideologici dell’invasione dell’Ucraina iniziata tre giorni dopo.

«Dunque, inizierò con il fatto che l’Ucraina moderna è stata interamente creata dalla Russia, e più precisamente dalla Russia bolscevica e comunista. Questo processo iniziò quasi immediatamente dopo la rivoluzione del 1917, e Lenin e la sua banda lo realizzarono in modo molto rude nei confronti della Russia stessa, strappando e separando dal paese parte dei suoi territori storici».

«I bolscevichi sacrificano la Russia all’Internazionale» — caricatura bianca (monarchica), 1918-1919

Perché è stato scelto il 1917 come punto di partenza di questa escursione storica? Perché non il lontano passato o, al contrario, alcuni eventi più vicini al presente? La rivoluzione è stata un punto di svolta che, secondo Putin, ha determinato le sfide che la Russia deve affrontare in questo momento. E Putin stesso si sente in qualche modo predestinato ad affrontarle.

Ma cosa ha significato la rivoluzione? Putin in seguito approfondisce questo argomento. La rivoluzione ha infranto un dato millenario ordine incrollabile delle cose: l’Impero russo «unito e indivisibile». Ha abolito improvvisamente le secolari conquiste territoriali dell’impero, dando ai popoli conquistati il diritto all’autodeterminazione. Ecco il suo principale «peccato».

«…Le idee di Lenin di un sistema statale confederale e la parola d’ordine sul diritto delle nazioni all’autodeterminazione fino alla secessione, sono state, infatti, la base della statualità sovietica, — dice Vladimir Putin. — … Molte domande sorgono immediatamente qui. E la prima, anzi la principale, è questa: era proprio necessario soddisfare le ambizioni nazionaliste illimitate che si andavano diffondendo alla periferia dell’ex impero? […] e ancora, dare persino alle repubbliche il diritto di separarsi dallo stato unitario senza alcuna condizione?»

Sembra che Putin non capisca, o finga di non capire, che il problema più acuto delle oppresse “periferie nazionali” dell’Impero russo è stato uno dei fattori trainanti di tutte e tre le rivoluzioni del primo Novecento. L’ordine della Russia imperiale era diventato obsoleto e le modifiche necessarie non potevano aggirare la questione nazionale, che richiedeva anch’essa una soluzione. Le contraddizioni che si erano accumulate nel 1917 non sollevavano affatto la questione di come e perché preservare lo stato «unito e indivisibile», ma sul fatto che l’impero si dovesse dividere in un certo numero di stati-nazione o dovesse pensare condizioni di convivenza tra le nazioni fondamentalmente nuove e molto più paritarie.

«Abbasso l’aquila!», dipinto di Ivan Vladimirov, 1917

I rivoluzionari di quei tempi credevano sinceramente nella possibilità di un nuovo mondo senza oppressione, ed anche senza oppressione imperiale da parte di alcuni popoli sugli altri, e con la loro lotta cercavano di avvicinare questo mondo. Per Putin invece il riconoscimento della soggettività dei popoli dell’ex impero rappresentava lo sperpero di territori conquistati in seguito a secoli di guerre di aggressione. Per i rivoluzionari si trattava di qualcosa di completamente opposto: la risoluzione delle urgenti contraddizioni nate in seguito a quelle stesse conquiste. La liberazione dei popoli dall’oppressione imperiale era per i rivoluzionari l’incarnazione delle loro idee e convinzioni su una nuova società libera dai resti del passato.

«…I principi di costruzione dello stato di Lenin si sono rivelati non solo un errore, ma, si può dire, molto peggio di un errore. Dopo il crollo dell’URSS nel 1991, questo è diventato assolutamente evidente, — dice Putin, — come risultato della politica bolscevica, è nata l’Ucraina sovietica, che ancora oggi può essere giustamente chiamata “Ucraina firmata Vladimir Il’ič Lenin”. Ne è stato l’autore e l’architetto».

Ovviamente Lenin non ha creato l’Ucraina. L’Ucraina, i suoi movimenti politici e di massa a quel tempo erano già diventati un fattore reale non solo nella politica russa ma anche internazionale. Riconoscendo all’Ucraina la sua soggettività e il diritto all’autodeterminazione, Lenin ha riconosciuto solo lo stato di cose effettivo, che era già impossibile ignorare. E Putin non può perdonare questo al leader dei bolscevichi.

Senza il riconoscimento della soggettività ucraina e il diritto all’autodeterminazione, difficilmente sarebbe stato possibile ricomporre i territori dell’ex impero in un’unica entità statale. Lenin lo capiva molto chiaramente. È significativo che nella sua bozza di un nuovo stato la stessa parola “Russia” non fosse nemmeno presente: la nuova associazione era chiamata unione delle repubbliche, dove alla repubblica russa era stato effettivamente assegnato lo stesso posto degli altri membri dell’unione. Niente doveva ricordare il passato imperiale. Senza concedere all’Ucraina ampi diritti nazionali, sarebbe stato possibile mantenerla in una sorta di «Grande Russia», che Putin sogna retrospettivamente, solo con la forza bruta. E sarebbe poi stato veramente possibile?

«La Russia zarista come prigione dei popoli. Le aspirazioni predatorie dell’imperialismo zarista», carta proveniente dai materiali dell’Istituto Izostat: « Album di diagrammi, carte, cartogrammi e schemi per l’insegnamento di Lenin sull’imperialismo». Izogiz, 1936

È interessante notare che nel suo discorso del 21 febbraio Putin attacca in modo più aggressivo proprio i primi anni del potere sovietico, quando le idee rivoluzionarie erano fresche, le persone erano piene di entusiasmo e la politica, come mai prima o dopo, era guidata da principi e ideali, e non da cinico calcolo. Allo stesso tempo, Putin accoglie in ogni modo possibile l’allontanamento dai principi proclamati dalla rivoluzione ai tempi di Stalin come un ritorno a un certo «ordine naturale delle cose»:

«…la vita stessa ha subito dimostrato che preservare un territorio così vasto e complesso, o gestirlo secondo i principi proposti, amorfi, appunto confederali, era semplicemente impossibile. […] [Gli eventi successivi hanno trasformato] in una semplice dichiarazione, in una formalità, i principi dichiarati, ma non funzionanti, della struttura statale. In realtà le repubbliche dell’Unione non possedevano alcun diritto sovrano, semplicemente questi non esistevano. Nella pratica è stato creato uno stato rigorosamente centralizzato, assolutamente unitario».

Successivamente alle idee rivoluzionarie dell’uguaglianza tra le nazioni, Putin vede un ritorno alla buona vecchia Russia «una e indivisibile», e ovviamente questo gli piace. Ma un ritorno completo non era ormai più possibile. La «peste rivoluzionaria» era stata posta da Lenin alle fondamenta stesse della nuova statualità.

«Ed è un peccato, è un peccato che dalle basi fondamentali, formalmente legali su cui è stata costruita la nostra intera statualità, non siano state eliminate in tempo le fantasie odiose e utopiche ispirate dalla rivoluzione, assolutamente distruttive per qualsiasi paese normale».

Raccolta di articoli di Vladimir Lenin sulla questione nazionale. Politizdat, 1969

È difficile capire cosa sia per Putin un «qualsiasi paese normale». Se si parla di imperi coloniali basati su sanguinose conquiste e sottomissione di altri popoli, allora tali stati difficilmente possono essere definiti normali o addirittura in grado di continuare a funzionare nelle attuali condizioni storiche.

La prima guerra mondiale pose fine a quattro grandi imperi: quello ottomano, quello austro-ungarico, quello tedesco e quello russo. Dopo la seconda guerra mondiale, tutti quelli che erano sopravvissuti cessarono di esistere (gli imperi britannico, francese, portoghese, belga, olandese e giapponese). No, l’imperialismo in senso leninista non è scomparso: la sua forma coloniale-imperiale è stata sostituita da forme più sofisticate di influenza e controllo non territoriali.

L’unico stato gigantesco che ha ereditato quasi tutte le conquiste territoriali del precedente impero è stata l’Unione Sovietica con il suo famoso ⅙ della superficie terrestre. Ma la possibilità di ricomporre e mantenere questa unità statale per altri 70 anni non è avvenuta grazie alla concezione imperiale, bensì, al contrario, grazie al suo rifiuto.

L’idea di un’unione di repubbliche socialiste consisteva proprio nel fatto che i lavoratori di popoli diversi si unissero volontariamente in tale alleanza per raggiungere insieme obiettivi comuni: costruire una nuova società senza sfruttamento e oppressione. Inoltre, il modello pensato da Lenin presupponeva la possibilità di espandere questa unione. Secondo la sua idea, le nuove repubbliche dove la rivoluzione avesse vinto, avrebbero potuto aderire all’unione, e la Russia storica non avrebbe dovuto necessariamente rimanere il perno dell’unione. La stessa Germania avrebbe potuto diventarne il centro, se vi avesse trionfato la rivoluzione proletaria. Come risultato, Lenin aspirava ad un’unione di repubbliche su scala mondiale.

Russia – URSS – URSS Mondiale: raccolta. Autori: soldati dell’Armata Rossa e lavoratori stranieri; Profizdat, 1932

Inoltre, la creazione dell’URSS nel formato del 1922 non era inclusa nei piani originali dei bolscevichi. La sua fondazione è stata il risultato del fallimento delle aspettative iniziali, ovvero la rivoluzione mondiale. Il fatto che la rivoluzione proletaria sia stata sconfitta in Europa e abbia avuto successo solo sul territorio dell’ex impero russo è la principale tragedia del progetto socialista del XX secolo. Infatti, insieme al territorio dell’ex impero, l’URSS ha ereditato molte contraddizioni e problemi di difficile soluzione insiti nel progetto politico statuale attivo precedentemente su queste terre.

La realizzazione del progetto socialista entro i confini dell’ex impero russo naturalmente, sebbene non inevitabilmente, portò al fatto che sia all’interno che all’esterno l’URSS cominciasse a essere percepita come una sorta di erede e continuazione dello stato russo. La conseguenza di ciò fu il ripetersi delle contraddizioni nazionali: ad un certo punto il governo centrale iniziò a percepire il rafforzamento delle culture nazionali e l’indipendenza delle repubbliche come una minaccia all’unità del progetto, e invece la cultura russa e la continuità statale come una sorta di solide fondamenta.

Queste tendenze si sarebbero verificate se i confini dello Stato socialista avessero preso forma in altre configurazioni e non fossero stati simili a quelli della preesistente Russia imperiale? Probabilmente sarebbe stata una storia completamente diversa. Ma nel caso dell’URSS, è accaduto che diverse generazioni di persone sia in patria che all’estero sono cresciute con la convinzione che «Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche» e «Russia» fossero praticamente sinonimi. Putin è uno di questi.

«Dopotutto, cos’è stato il crollo dell’Unione Sovietica? È stato il crollo della Russia storica, definita come Unione Sovietica» — ha dichiarato Vladimir Putin nel documentario «Russia. Storia recente» nel dicembre 2021.

Forse l’unico aspetto positivo che Putin vede nel progetto sovietico è che si è realizzato nei confini dell’ex impero russo e col tempo, allontanandosi dai principi «utopistici» originali, ha acquisito nuovamente alcune delle caratteristiche preesistenti, diventando l’erede della statualità russa. In altre parole, egli esalta proprio i tratti più reazionari acquisiti dall’URSS nel corso della sua complessa formazione. E critica proprio le idee su cui si basava l’unione: uguaglianza e fratellanza tra tutti i popoli, genuino internazionalismo, odio per l’autocrazia e il potere aristocratico, odio per le guerre di conquista e di predazione, un autentico spirito democratico che avrebbe dato accesso alla politica a masse di milioni di persone.

È interessante notare che la vittoria dell’Unione Sovietica sulla Germania nazista, nelle interpretazioni su cui è costruito il moderno mito nazionale russo, non sia per Putin una vittoria delle idee di umanesimo ed egualitarismo sulle idee di radicale anti egualitarismo ed anti umanesimo, non sia una vittoria della vittima dell’aggressione sull’aggressore. Nell’attuale mitologia dello stato, questa è la vittoria della «Russia storica» sulla Germania, sull’Europa, sull’Occidente. Un trionfo della statualità russa e l’espansione dei suoi confini. Proprio come la rivoluzione e l’uscita dalla prima guerra mondiale non rappresentano il rifiuto di partecipare al massacro imperialista, ma una vergognosa capitolazione della «Russia storica», un infido coltello nella schiena dello Stato da parte di fanatici utopisti. Un attentato contro lo stato russo, e la sua quasi distruzione.

«I bolscevichi durante la prima guerra mondiale volevano la sconfitta per la loro patria, e quando gli eroici soldati e ufficiali russi versavano sangue sui fronti della prima guerra mondiale, qualcuno scuoteva la Russia dall’interno e si arrivò al punto che la Russia come stato crollò e si dichiarò sconfitta da uno stato sconfitto [la Germania]. Sciocchezze, assurdità, ma intanto è successo, questo è stato un completo tradimento degli interessi nazionali! Ancora oggi tra noi ci sono persone del genere.», — ha detto Putin nell’agosto 2016 al campo giovanile di Seliger.

«La patria è in pericolo. Il sangue che abbiamo versato richiede la guerra per la vittoria. Compagni soldati, subito in trincea. Restituiamo Lenin a Guglielmo» — slogan di una manifestazione antibolscevica a Pietrogrado, aprile 1917

Da queste citazioni, non è difficile indovinare quanto sinceramente Putin incolpi per i guai della Russia la «maledizione della rivoluzione». Se nell’Ucraina contemporanea il progetto sovietico è accusato di portare «troppa Russia», al contrario Putin del progetto sovietico apprezza proprio questo [se non solo questo]. Se in Ucraina si dice che Lenin non ha dato agli ucraini una vera autodeterminazione, Putin lo accusa del contrario: di aver dato troppa libertà all’Ucraina.

Torniamo alla domanda che abbiamo posto all’inizio. Perché il discorso programmatico del presidente russo prima dell’invasione è diventato una vera e propria diffamazione della rivoluzione? Perché è proprio nella rivoluzione che egli vede la vera radice delle disavventure della Russia. Ma ormai non si limita più ad accusare Lenin di aver tradito la Russia e di crimini contro l’integrità imperiale del paese. Putin ha deciso che è arrivato il momento di correggere il «peggio degli errori» di Lenin e di revocare il diritto all’autodeterminazione degli ucraini: questa è l’eredità «tre volte maledetta» della rivoluzione.

«Volete la decomunizzazione? Beh, per noi va benissimo. Ma non è necessario, come si suol dire, fermarsi a metà. Siamo pronti a mostrarvi cosa significa la vera decomunizzazione per l’Ucraina»

Il 24 febbraio, i carri armati russi sono entrati nel territorio dell’Ucraina per privare il suo popolo della statualità, uno dei risultati più importanti delle rivoluzioni dell’inizio del secolo scorso.

Traduzione dal russo di Marco Ferrentino

FONTE: https://september.media/ru/articles/antirevolution-ru

Come gli USA hanno sabotato il Nord Stream: il ruolo di Sullivan, NATO e Norvegia.

Il giornalista statunitense premio Pulitzer Seymour Hersh afferma che le esplosioni del nord stream furono attivate dalla Norvegia su mandato diretto della Casa Bianca. Il consigliere per la sicurezza nazionale Sullivan partecipò alla preparazione del sabotaggio che avvenne sotto la copertina di un esercitazione Nato nella zona.

di Seymour Hersh (Traduzione dall’originale in inglese)

Il Diving and Salvage Center della Marina degli Stati Uniti si trova in un luogo oscuro come il suo nome, in quello che una volta era un viottolo di campagna nella zona rurale di Panama City, una città di villeggiatura ora in piena espansione nella parte sud-occidentale della penisola di Florida, 70 miglia a sud del confine con l’Alabama. Il complesso che ospita il centro è anonimo come la sua ubicazione: una struttura in cemento scialbo del secondo dopoguerra, che ha l’aspetto di una scuola superiore professionale nella zona ovest di Chicago. Una lavanderia a gettoni e una scuola di danza si trovano dall’altra parte di quella che ora è una strada a quattro corsie.

Il centro ha addestrato per decenni sommozzatori in acque profonde altamente qualificati che, una volta assegnati alle unità militari americane in tutto il mondo, sono in grado di effettuare immersioni tecniche per fare il bene – utilizzando esplosivi C4 per liberare porti e spiagge da detriti e ordigni inesplosi – e il male, come far saltare in aria piattaforme petrolifere straniere, sporcare le valvole di aspirazione delle centrali elettriche sottomarine, distruggere le chiuse di canali di navigazione cruciali. Il centro di Panama City, che vanta la seconda piscina coperta più grande d’America, era il luogo perfetto per reclutare i migliori, e più taciturni, diplomati della scuola di immersione che l’estate scorsa hanno fatto con successo ciò che erano stati autorizzati a fare a 80 metri sotto la superficie del Mar Baltico.

Lo scorso giugno, i sommozzatori della Marina, operando sotto la copertura di un’esercitazione NATO di metà estate ampiamente pubblicizzata, nota come BALTOPS 22, hanno piazzato gli esplosivi innescati a distanza che, tre mesi dopo, hanno distrutto tre dei quattro gasdotti di Nord Stream, secondo una fonte con conoscenza diretta della pianificazione operativa.

Due dei gasdotti, noti collettivamente come Nord Stream 1, hanno fornito alla Germania e a gran parte dell’Europa occidentale gas naturale russo a basso costo per più di un decennio. Una seconda coppia di gasdotti, chiamata Nord Stream 2, era stata costruita ma non era ancora operativa. Ora, con le truppe russe che si stanno ammassando al confine con l’Ucraina e con l’incombere della più sanguinosa guerra in Europa dal 1945, il presidente Joseph Biden vede i gasdotti come un veicolo per Vladimir Putin per armare il gas naturale per le sue ambizioni politiche e territoriali.

Alla richiesta di un commento, Adrienne Watson, portavoce della Casa Bianca, ha risposto in un’e-mail: “Questo è falso e completamente inventato“. Tammy Thorp, portavoce della Central Intelligence Agency, ha scritto allo stesso modo: “Questa affermazione è completamente e totalmente falsa“.

La decisione di Biden di sabotare gli oleodotti è arrivata dopo più di nove mesi di discussioni segretissime all’interno della comunità di sicurezza nazionale di Washington su come raggiungere al meglio l’obiettivo. Per gran parte di quel periodo, il problema non era se compiere o meno la missione, ma come portarla a termine senza alcun indizio evidente su chi fosse il responsabile.

C’era una ragione burocratica vitale per affidarsi ai diplomati della scuola di immersione del centro a Panama City. I sommozzatori erano solo della Marina e non facevano parte del Comando per le operazioni speciali americano, le cui operazioni segrete devono essere riferite al Congresso e comunicate in anticipo alla leadership del Senato e della Camera, la cosiddetta Gang of Eight. L’Amministrazione Biden stava facendo tutto il possibile per evitare fughe di notizie mentre la pianificazione si svolgeva tra la fine del 2021 e i primi mesi del 2022.

Il Presidente Biden e la sua squadra di politica estera – il Consigliere per la Sicurezza Nazionale Jake Sullivan, il Segretario di Stato Tony Blinken e Victoria Nuland, il Sottosegretario di Stato per la Politica – avevano manifestato in modo esplicito e coerente la loro ostilità ai due oleodotti, che si snodavano uno accanto all’altro per 750 miglia sotto il Mar Baltico, partendo da due porti diversi nel nord-est della Russia vicino al confine con l’Estonia, passando vicino all’isola danese di Bornholm prima di terminare nella Germania settentrionale.

Il percorso diretto, che evitava qualsiasi transito in Ucraina, era stato una manna per l’economia tedesca, che godeva di un’abbondanza di gas naturale russo a basso costo – sufficiente per far funzionare le fabbriche e riscaldare le case, consentendo ai distributori tedeschi di vendere il gas in eccesso, con profitto, in tutta l’Europa occidentale. Un’azione che potesse essere ricondotta all’amministrazione avrebbe violato le promesse degli Stati Uniti di ridurre al minimo il conflitto diretto con la Russia. La segretezza era essenziale.

Fin dai primi giorni, Nord Stream 1 è stato visto da Washington e dai suoi partner anti-russi della NATO come una minaccia al dominio occidentale. La holding che ne è alla base, la Nord Stream AG, è stata costituita in Svizzera nel 2005 in partnership con Gazprom, una società russa quotata in borsa che produce enormi profitti per gli azionisti ed è dominata da oligarchi noti per essere al soldo di Putin. Gazprom controllava il 51% della società, mentre quattro aziende energetiche europee, una francese, una olandese e due tedesche, condividevano il restante 49% delle azioni e avevano il diritto di controllare le vendite a valle del gas naturale a basso costo ai distributori locali in Germania e in Europa occidentale. I profitti di Gazprom sono stati condivisi con il governo russo e, secondo le stime, in alcuni anni le entrate statali di gas e petrolio sono state pari al 45% del bilancio annuale della Russia.

I timori politici dell’America erano reali: Putin avrebbe avuto un’ulteriore e necessaria fonte di reddito, e la Germania e il resto dell’Europa occidentale sarebbero diventati dipendenti dal gas naturale a basso costo fornito dalla Russia, diminuendo la dipendenza europea dall’America. In realtà, questo è esattamente ciò che è accaduto. Molti tedeschi vedevano il Nord Stream 1 come parte della realizzazione della famosa teoria della Ostpolitik dell’ex cancelliere Willy Brandt, che avrebbe permesso alla Germania del dopoguerra di riabilitare se stessa e le altre nazioni europee distrutte dalla Seconda Guerra Mondiale utilizzando, tra le altre iniziative, il gas russo a basso costo per alimentare un mercato e un’economia commerciale prospera in Europa occidentale.

La goccia che ha fatto traboccare il vaso

Il Nord Stream 1 era già abbastanza pericoloso, secondo la NATO e Washington, ma il Nord Stream 2, la cui costruzione è stata completata nel settembre del 2021, se approvato dalle autorità di regolamentazione tedesche, raddoppierebbe la quantità di gas a basso costo disponibile per la Germania e l’Europa occidentale. Il secondo gasdotto fornirebbe inoltre una quantità di gas sufficiente per oltre il 50% del consumo annuale della Germania. Le tensioni tra la Russia e la NATO, sostenute dalla politica estera aggressiva dell’amministrazione Biden, erano in costante aumento.

L’opposizione al Nord Stream 2 è esplosa alla vigilia dell’insediamento di Biden, nel gennaio 2021, quando i repubblicani del Senato, guidati da Ted Cruz del Texas, hanno ripetutamente sollevato la minaccia politica del gas naturale russo a basso costo durante l’udienza di conferma di Blinken come Segretario di Stato. A quel punto un Senato unificato aveva approvato con successo una legge che, come disse Cruz a Blinken, “ha fermato [il gasdotto] sul nascere“. Il governo tedesco, allora guidato da Angela Merkel, avrebbe esercitato enormi pressioni politiche ed economiche per mettere in funzione il secondo gasdotto.

Biden si sarebbe opposto ai tedeschi? Blinken ha risposto di sì, ma ha aggiunto di non aver discusso i dettagli delle opinioni del Presidente entrante. “So che è fermamente convinto che questa sia una cattiva idea, il Nord Stream 2“, ha detto. “So che vorrebbe che usassimo tutti gli strumenti di persuasione che abbiamo per convincere i nostri amici e partner, compresa la Germania, a non andare avanti“.

Pochi mesi dopo, mentre la costruzione del secondo gasdotto si avvicinava al completamento, Biden ha battuto ciglio. Nel maggio dello stesso anno, con un sorprendente dietrofront, l’amministrazione ha rinunciato alle sanzioni contro Nord Stream AG, mentre un funzionario del Dipartimento di Stato ha ammesso che il tentativo di fermare il gasdotto attraverso le sanzioni e la diplomazia era “sempre stato un azzardo“. Dietro le quinte, funzionari dell’amministrazione avrebbero esortato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, ormai alle prese con la minaccia di invasione russa, a non criticare la mossa.

Le conseguenze sono state immediate. I repubblicani del Senato, guidati da Cruz, annunciarono un blocco immediato di tutte le nomine di Biden in politica estera e ritardarono l’approvazione della legge annuale sulla difesa per mesi, fino all’autunno. In seguito Politico ha descritto il voltafaccia di Biden sul secondo gasdotto russo come “l’unica decisione, probabilmente più del caotico ritiro militare dall’Afghanistan, che ha messo a rischio l’agenda di Biden“.

L’amministrazione era in difficoltà, nonostante avesse ottenuto una tregua sulla crisi a metà novembre, quando i regolatori energetici tedeschi avevano sospeso l’approvazione del secondo gasdotto Nord Stream. I prezzi del gas naturale hanno subito un’impennata dell’8% nel giro di pochi giorni, tra i crescenti timori in Germania e in Europa che la sospensione del gasdotto e la crescente possibilità di una guerra tra Russia e Ucraina avrebbero portato a un inverno freddo molto indesiderato. A Washington non era chiaro quale fosse la posizione di Olaf Scholz, il cancelliere tedesco appena nominato. Mesi prima, dopo la caduta dell’Afghanistan, Scholtz aveva pubblicamente appoggiato l’appello del presidente francese Emmanuel Macron per una politica estera europea più autonoma in un discorso a Praga, suggerendo chiaramente una minore dipendenza da Washington e dalle sue azioni mercuriali.

In tutto questo, le truppe russe si sono costantemente e minacciosamente accumulate ai confini dell’Ucraina e alla fine di dicembre più di 100.000 soldati erano in grado di colpire dalla Bielorussia e dalla Crimea. A Washington cresceva l’allarme, compresa una valutazione di Blinken secondo cui il numero di truppe avrebbe potuto essere “raddoppiato in breve tempo”.

L’attenzione dell’amministrazione si concentrava ancora una volta sul Nord Stream. Finché l’Europa continuerà a dipendere dal gasdotto per ottenere gas naturale a basso costo, Washington temeva che Paesi come la Germania sarebbero stati riluttanti a fornire all’Ucraina il denaro e le armi necessarie per sconfiggere la Russia.

È stato in questo momento di incertezza che Biden ha autorizzato Jake Sullivan a riunire un gruppo di agenzie per elaborare un piano.

Tutte le opzioni dovevano essere messe sul tavolo. Ma solo una sarebbe emersa.

Il piano segreto

Nel dicembre del 2021, due mesi prima che i primi carri armati russi entrassero in Ucraina, Jake Sullivan convocò una riunione di una task force appena costituita – uomini e donne dello Stato Maggiore, della CIA, dei Dipartimenti di Stato e del Tesoro – e chiese raccomandazioni su come rispondere all’imminente invasione di Putin.

Sarebbe stata la prima di una serie di riunioni top-secret, in una stanza sicura all’ultimo piano dell’Old Executive Office Building, adiacente alla Casa Bianca, che era anche la sede del President’s Foreign Intelligence Advisory Board (PFIAB). Ci furono i soliti botta e risposta che alla fine portarono a una domanda preliminare cruciale: la raccomandazione trasmessa dal gruppo al Presidente sarebbe stata reversibile – come un altro strato di sanzioni e restrizioni valutarie – o irreversibile – cioè azioni cinetiche, che non avrebbero potuto essere annullate?

Secondo la fonte a conoscenza diretta del processo, ciò che è apparso chiaro ai partecipanti è che Sullivan intendeva che il gruppo elaborasse un piano per la distruzione dei due gasdotti Nord Stream e che stava realizzando i desideri del Presidente.

Nel corso delle successive riunioni, i partecipanti discussero le opzioni per un attacco. La Marina propose di utilizzare un sottomarino di recente costruzione per attaccare direttamente l’oleodotto. L’aeronautica discuteva di sganciare bombe con spolette ritardate che potessero essere innescate a distanza. La CIA sosteneva che qualsiasi cosa si facesse, avrebbe dovuto essere segreta. Tutti i partecipanti capirono la posta in gioco. “Non è roba da bambini“, ha detto la fonte. Se l’attacco fosse riconducibile agli Stati Uniti, “sarebbe un atto di guerra“.

All’epoca, la CIA era diretta da William Burns, un mite ex ambasciatore in Russia che era stato vice segretario di Stato nell’amministrazione Obama. Burns autorizzò rapidamente un gruppo di lavoro dell’Agenzia i cui membri ad hoc includevano, guarda caso, qualcuno che conosceva le capacità dei sommozzatori della Marina a Panama City. Nelle settimane successive, i membri del gruppo di lavoro della CIA iniziarono a elaborare un piano per un’operazione segreta che avrebbe utilizzato i sommozzatori per innescare un’esplosione lungo l’oleodotto.

Qualcosa di simile era già stato fatto in passato. Nel 1971, la comunità dei servizi segreti americani apprese da fonti ancora non rivelate che due importanti unità della Marina russa comunicavano attraverso un cavo sottomarino interrato nel Mare di Okhotsk, sulla costa dell’Estremo Oriente russo. Il cavo collegava un comando regionale della Marina al quartier generale continentale di Vladivostok.

Un gruppo scelto di agenti della Central Intelligence Agency e della National Security Agency fu riunito da qualche parte nell’area di Washington, sotto copertura, ed elaborò un piano, utilizzando sommozzatori della Marina, sottomarini modificati e un veicolo di salvataggio sottomarino, che riuscì, dopo molti tentativi ed errori, a localizzare il cavo russo. I sommozzatori hanno piazzato sul cavo un sofisticato dispositivo di ascolto che ha intercettato con successo il traffico russo e lo ha registrato su un sistema di registrazione.

L’NSA ha appreso che gli alti ufficiali della marina russa, convinti della sicurezza del loro collegamento, chiacchieravano con i loro colleghi senza crittografia. Il dispositivo di registrazione e il nastro dovevano essere sostituiti mensilmente e il progetto andò avanti allegramente per un decennio, finché non fu compromesso da un tecnico civile della NSA di quarantaquattro anni, Ronald Pelton, che parlava correntemente il russo. Pelton fu tradito da un disertore russo nel 1985 e condannato alla prigione. I russi gli pagarono solo 5.000 dollari per le sue rivelazioni sull’operazione, oltre a 35.000 dollari per altri dati operativi russi da lui forniti che non furono mai resi pubblici.

Quel successo subacqueo, chiamato in codice Ivy Bells, fu innovativo e rischioso e produsse informazioni preziose sulle intenzioni e sulla pianificazione della Marina russa.

Tuttavia, il gruppo interagenzie era inizialmente scettico sull’entusiasmo della CIA per un attacco segreto in acque profonde. C’erano troppe domande senza risposta. Le acque del Mar Baltico erano pesantemente pattugliate dalla marina russa e non c’erano piattaforme petrolifere che potessero essere usate come copertura per un’operazione subacquea. I sommozzatori sarebbero dovuti andare in Estonia, proprio al di là del confine con le banchine di carico del gas naturale della Russia, per addestrarsi alla missione? “Sarebbe un’errore catastrofico“, è stato detto all’Agenzia.

Nel corso di “tutti questi piani“, ha raccontato la fonte, alcuni funzionari della CIA e del Dipartimento di Stato dicevano: “Non fatelo. È stupido e sarà un incubo politico se verrà fuori“.

Tuttavia, all’inizio del 2022, il gruppo di lavoro della CIA riferì al gruppo interagenzie di Sullivan: “Abbiamo un modo per far saltare gli oleodotti“.

Pubblicità inaspettata?

Ciò che seguì fu sbalorditivo. Il 7 febbraio, meno di tre settimane prima dell’apparentemente inevitabile invasione russa dell’Ucraina, Biden incontrò nel suo ufficio alla Casa Bianca il cancelliere tedesco Olaf Scholz che, dopo qualche tentennamento, era ora saldamente nella squadra americana. Durante il briefing con la stampa che ne è seguito, Biden ha dichiarato con tono di sfida: “Se la Russia invade… non ci sarà più un Nord Stream 2. Metteremo fine a tutto questo“.

Venti giorni prima, il Sottosegretario Nuland aveva trasmesso essenzialmente lo stesso messaggio in un briefing del Dipartimento di Stato, con poca copertura da parte della stampa. “Voglio essere molto chiara con voi oggi“, ha detto in risposta a una domanda. “Se la Russia invade l’Ucraina, in un modo o nell’altro il Nord Stream 2 non andrà avanti“.

Molti di coloro che hanno partecipato alla pianificazione della missione del gasdotto sono rimasti sconcertati da quelli che hanno considerato come riferimenti indiretti all’attacco.

È stato come mettere una bomba atomica a Tokyo e dire ai giapponesi che la faremo esplodere“, ha detto la fonte. “Il piano prevedeva che le opzioni fossero eseguite dopo l’invasione e non pubblicizzate pubblicamente. Biden semplicemente non l’ha capito o l’ha ignorato“.

L’indiscrezione di Biden e della Nuland, se di questo si tratta, potrebbe aver frustrato alcuni dei pianificatori. Ma ha anche creato un’opportunità. Secondo la fonte, alcuni alti funzionari della CIA hanno stabilito che far saltare il gasdotto “non poteva più essere considerata un’opzione segreta perché il Presidente aveva appena annunciato che sapevamo come farlo“.

Il piano per far esplodere Nord Stream 1 e 2 è stato improvvisamente declassato da un’operazione segreta che richiedeva l’informazione del Congresso a un’operazione di intelligence altamente classificata con il supporto militare degli Stati Uniti. Secondo la legge, ha spiegato la fonte, “non c’era più l’obbligo legale di riferire l’operazione al Congresso. Tutto ciò che dovevano fare ora era farlo e basta, ma doveva essere ancora segreto. I russi hanno una sorveglianza superlativa del Mar Baltico“.

I membri del gruppo di lavoro dell’Agenzia non avevano contatti diretti con la Casa Bianca e non vedevano l’ora di scoprire se il Presidente intendesse davvero quello che aveva detto, cioè se la missione fosse ormai avviata. La fonte ha ricordato: “Bill Burns torna e dice: ‘Fatelo’“.

L’operazione sotto copertura

La Norvegia era il luogo perfetto per la missione.

Negli ultimi anni di crisi Est-Ovest, le forze armate statunitensi hanno ampliato notevolmente la loro presenza in Norvegia, il cui confine occidentale corre per 1.400 miglia lungo l’Oceano Atlantico settentrionale e si fonde sopra il Circolo Polare Artico con la Russia. Il Pentagono ha creato posti di lavoro e contratti molto remunerativi, tra qualche polemica locale, investendo centinaia di milioni di dollari per aggiornare ed espandere le strutture della Marina e dell’Aeronautica americane in Norvegia. Le nuove opere comprendevano, soprattutto, un radar ad apertura sintetica avanzato, in grado di penetrare in profondità in Russia, entrato in funzione proprio quando la comunità di intelligence americana ha perso l’accesso a una serie di siti di ascolto a lungo raggio all’interno della Cina.

Una base sottomarina americana recentemente ristrutturata, in costruzione da anni, è diventata operativa e più sottomarini americani sono ora in grado di lavorare a stretto contatto con i loro colleghi norvegesi per monitorare e spiare un’importante ridotta nucleare russa a 400 chilometri a est, nella penisola di Kola. L’America ha anche ampliato notevolmente una base aerea norvegese nel nord e ha consegnato alle forze aeree norvegesi una flotta di aerei da pattugliamento P8 Poseidon, costruiti dalla Boeing, per rafforzare lo spionaggio a lungo raggio di tutto ciò che riguarda la Russia.

In cambio, il governo norvegese ha fatto arrabbiare i liberali e alcuni moderati del suo parlamento lo scorso novembre, approvando l’Accordo supplementare di cooperazione per la difesa (SDCA). In base al nuovo accordo, in alcune “aree concordate” del Nord, il sistema giuridico statunitense avrà giurisdizione sui soldati americani accusati di crimini fuori dalla base, nonché sui cittadini norvegesi accusati o sospettati di interferire con il lavoro della base.

La Norvegia è stata uno dei firmatari originari del Trattato NATO nel 1949, agli inizi della Guerra Fredda. Oggi, il comandante supremo della NATO è Jens Stoltenberg, un convinto anticomunista, che è stato primo ministro norvegese per otto anni prima di passare alla sua alta carica alla NATO, con il sostegno americano, nel 2014. Si trattava di un duro su tutto ciò che riguardava Putin e la Russia, che aveva collaborato con la comunità di intelligence americana fin dai tempi della guerra del Vietnam. Da allora si è fidato completamente di lui. “È il guanto che si adatta alla mano americana“, ha detto la fonte.

A Washington i pianificatori sapevano che dovevano andare in Norvegia. “Odiavano i russi e la marina norvegese era piena di marinai e sommozzatori eccellenti, con generazioni di esperienza nell’esplorazione di petrolio e gas in acque profonde altamente redditizie“, ha detto la fonte. Inoltre ci si poteva fidare di loro per mantenere la missione segreta. (I norvegesi potrebbero aver avuto anche altri interessi. La distruzione di Nord Stream, se gli americani riuscissero a portarla a termine, permetterebbe alla Norvegia di vendere una quantità molto maggiore di gas naturale all’Europa).

A marzo, alcuni membri del team sono andati in Norvegia per incontrare i servizi segreti e la marina norvegese. Una delle domande chiave era dove esattamente nel Mar Baltico fosse il posto migliore per piazzare gli esplosivi. Nord Stream 1 e 2, ciascuno con due serie di condotte, erano separati per gran parte del percorso da poco più di un miglio, mentre si dirigevano verso il porto di Greifswald, nell’estremo nord-est della Germania.

La marina norvegese è stata rapida nel trovare il punto giusto, nelle acque poco profonde del Mar Baltico, a poche miglia dall’isola danese di Bornholm. Le condutture correvano a più di un miglio di distanza l’una dall’altra su un fondale profondo solo 80 metri. Si trattava di un’area ben raggiungibile dai sommozzatori che, operando da un cacciamine norvegese della classe Alta, si sarebbero immersi con una miscela di ossigeno, azoto ed elio che usciva dalle loro bombole e avrebbero piazzato cariche di C4 sagomate sulle quattro condutture con coperture protettive in cemento. Sarebbe stato un lavoro noioso, lungo e pericoloso, ma le acque al largo di Bornholm avevano un altro vantaggio: non c’erano grandi correnti di marea, che avrebbero reso il compito di immergersi molto più difficile.

Dopo un po’ di ricerche, gli americani erano tutti d’accordo.

I sommozzatori di Panama City

A questo punto entrò di nuovo in gioco l’oscuro gruppo di immersione profonda della Marina a Panama City. Le scuole d’altura di Panama City, i cui allievi hanno partecipato a Ivy Bells, sono viste come un’indesiderata zona d’ombra dall’élite dei diplomati dell’Accademia Navale di Annapolis, che di solito cercano la gloria di essere assegnati come Seal, piloti di caccia o sommergibilisti. Se uno deve diventare una “scarpa nera“, cioè un membro del meno desiderabile comando di navi di superficie, c’è sempre almeno un incarico su un cacciatorpediniere, un incrociatore o una nave anfibia. La meno affascinante di tutte è la guerra di mine. I suoi sommozzatori non appaiono mai nei film di Hollywood o sulle copertine delle riviste popolari.

I migliori sommozzatori con qualifiche di immersione profonda sono una comunità ristretta e solo i migliori vengono reclutati per l’operazione e viene detto loro di prepararsi a essere convocati dalla CIA a Washington“, ha detto la fonte.

I norvegesi e gli americani avevano il luogo e gli operatori, ma c’era un’altra preoccupazione: qualsiasi attività subacquea insolita nelle acque al largo di Bornholm avrebbe potuto attirare l’attenzione della marina svedese o danese, che avrebbe potuto segnalarla.

La Danimarca era stata anche uno dei primi firmatari della NATO ed era nota nella comunità dei servizi segreti per i suoi legami speciali con il Regno Unito. La Svezia aveva presentato domanda di adesione alla NATO e aveva dimostrato una grande abilità nel gestire i suoi sistemi di sensori sonori e magnetici sottomarini che riuscivano a rintracciare con successo i sottomarini russi che di tanto in tanto comparivano nelle acque remote dell’arcipelago svedese e venivano costretti a salire in superficie.

I norvegesi si sono uniti agli americani insistendo sul fatto che alcuni alti funzionari in Danimarca e Svezia dovevano essere informati in termini generali sulle possibili attività subacquee nell’area. In questo modo, qualcuno più in alto poteva intervenire e tenere un rapporto fuori dalla catena di comando, isolando così l’operazione del gasdotto. “Quello che veniva detto loro e quello che sapevano erano volutamente diversi“, mi ha detto la fonte (l’ambasciata norvegese, interpellata per commentare questa storia, non ha risposto).

I norvegesi sono stati fondamentali per risolvere altri ostacoli. Si sapeva che la marina russa possedeva una tecnologia di sorveglianza in grado di individuare e innescare le mine sottomarine. I dispositivi esplosivi americani dovevano essere camuffati in modo da apparire al sistema russo come parte dello sfondo naturale, cosa che richiedeva un adattamento alla salinità specifica dell’acqua. I norvegesi avevano una soluzione.

La copertura giusta al momento giusto

I norvegesi avevano anche una soluzione alla questione cruciale di quando l’operazione avrebbe dovuto avere luogo. Ogni giugno, negli ultimi 21 anni, la Sesta Flotta americana, la cui nave ammiraglia è basata a Gaeta, in Italia, a sud di Roma, ha sponsorizzato una grande esercitazione della NATO nel Mar Baltico che coinvolge decine di navi alleate in tutta la regione. L’esercitazione, che si sarebbe tenuta a giugno, era nota come Baltic Operations 22, o BALTOPS 22. I norvegesi hanno proposto che questa fosse la copertura ideale per piazzare le mine.

Gli americani hanno fornito un elemento fondamentale: hanno convinto i pianificatori della Sesta Flotta ad aggiungere al programma un’esercitazione di ricerca e sviluppo. L’esercitazione, come reso noto dalla Marina, coinvolgeva la Sesta Flotta in collaborazione con i “centri di ricerca e di guerra” della Marina. L’evento in mare si sarebbe svolto al largo delle coste dell’isola di Bornholm e avrebbe coinvolto squadre di sommozzatori della NATO che avrebbero piazzato mine, mentre le squadre concorrenti avrebbero utilizzato le più recenti tecnologie subacquee per trovarle e distruggerle.

Si trattava di un esercizio utile e di una copertura ingegnosa. I ragazzi di Panama City avrebbero fatto il loro dovere e gli esplosivi C4 sarebbero stati posizionati entro la fine di BALTOPS22, con un timer di 48 ore. Tutti gli americani e i norvegesi sarebbero spariti prima della prima esplosione.

I giorni erano contati. “Il tempo scorreva e ci stavamo avvicinando alla missione compiuta“, ha detto la fonte.

E poi: Washington ebbe un ripensamento. Le bombe sarebbero state comunque piazzate durante BALTOPS, ma la Casa Bianca temeva che una finestra di due giorni per la loro detonazione sarebbe stata troppo vicina alla fine dell’esercitazione e che sarebbe stato evidente il coinvolgimento dell’America.

La Casa Bianca ha invece avanzato una nuova richiesta: “I ragazzi sul campo possono trovare un modo per far esplodere gli oleodotti più tardi, a comando?”.

Alcuni membri del team di pianificazione erano irritati e frustrati dall’apparente indecisione del Presidente. I sommozzatori di Panama City si erano ripetutamente esercitati a piazzare il C4 sulle condutture, come avrebbero fatto durante BALTOPS, ma ora la squadra in Norvegia doveva trovare un modo per dare a Biden ciò che voleva: la possibilità di emettere un ordine di esecuzione di successo in un momento a sua scelta.

Essere incaricati di un cambiamento arbitrario dell’ultimo minuto era qualcosa che la CIA era abituata a gestire. Ma ha anche rinnovato le preoccupazioni di alcuni sulla necessità e la legalità dell’intera operazione.

Gli ordini segreti del Presidente evocavano anche il dilemma della CIA ai tempi della guerra del Vietnam, quando il Presidente Johnson, di fronte al crescente sentimento contrario alla guerra del Vietnam, ordinò all’Agenzia di violare il suo statuto – che le impediva specificamente di operare all’interno dell’America – spiando i leader contrari alla guerra per determinare se fossero controllati dalla Russia comunista.

L’Agenzia alla fine acconsentì, e nel corso degli anni Settanta divenne chiaro fino a che punto fosse disposta a spingersi. All’indomani degli scandali Watergate, i giornali rivelarono che l’Agenzia spiava i cittadini americani, era coinvolta nell’assassinio di leader stranieri e aveva minato il governo socialista di Salvador Allende.

Queste rivelazioni portarono a una drammatica serie di audizioni a metà degli anni ’70 al Senato, guidate da Frank Church dell’Idaho, che chiarirono che Richard Helms, l’allora direttore dell’Agenzia, accettava l’obbligo di fare ciò che il Presidente voleva, anche se ciò significava violare la legge.

In una testimonianza inedita e a porte chiuse, Helms ha spiegato con amarezza che “si ha quasi un’Immacolata Concezione quando si fa qualcosa” su ordine segreto di un Presidente. “Che sia giusto che sia così o che sia sbagliato che sia così, [la CIA] lavora secondo regole e norme di base diverse da qualsiasi altra parte del governo”. In sostanza, stava dicendo ai senatori che lui, come capo della CIA, aveva capito di lavorare per la Corona e non per la Costituzione.

Gli americani al lavoro in Norvegia operavano secondo la stessa dinamica e iniziarono doverosamente a lavorare sul nuovo problema: come far esplodere a distanza l’esplosivo C4 su ordine di Biden. Si trattava di un compito molto più impegnativo di quanto non avessero capito a Washington. La squadra in Norvegia non aveva modo di sapere quando il Presidente avrebbe premuto il pulsante. Sarebbe stato tra poche settimane, tra molti mesi o tra mezzo anno o più?

Il C4 collegato agli oleodotti sarebbe stato attivato da una boa sonar sganciata da un aereo con breve preavviso, ma la procedura richiedeva la più avanzata tecnologia di elaborazione dei segnali. Una volta posizionati, i dispositivi di temporizzazione ritardata attaccati a uno qualsiasi dei quattro gasdotti potrebbero essere accidentalmente attivati dalla complessa miscela di rumori di fondo dell’oceano in tutto il Mar Baltico, molto trafficato, provenienti da navi vicine e lontane, trivellazioni sottomarine, eventi sismici, onde e persino creature marine. Per evitare ciò, la boa sonar, una volta posizionata, emetterebbe una sequenza di suoni tonali unici a bassa frequenza – simili a quelli emessi da un flauto o da un pianoforte – che verrebbero riconosciuti dal dispositivo di temporizzazione e, dopo un ritardo di ore prestabilito, innescherebbero gli esplosivi. (“Si vuole un segnale abbastanza robusto, in modo che nessun altro segnale possa accidentalmente inviare un impulso che faccia esplodere gli esplosivi”, mi ha detto il dottor Theodore Postol, professore emerito di scienza, tecnologia e politica di sicurezza nazionale al MIT. Postol, che è stato consulente scientifico del capo delle operazioni navali del Pentagono, ha detto che il problema che il gruppo in Norvegia deve affrontare a causa del ritardo di Biden è una questione di probabilità: “Più a lungo gli esplosivi rimangono in acqua, maggiore è il rischio che un segnale casuale possa innescare le ordigni”).

Il 26 settembre 2022, un aereo di sorveglianza P8 della Marina norvegese effettuò un volo apparentemente di routine e sganciò una boa sonar. Il segnale si diffuse sott’acqua, inizialmente fino a Nord Stream 2 e poi fino a Nord Stream 1. Poche ore dopo, gli esplosivi C4 ad alta potenza sono stati innescati e tre dei quattro gasdotti sono stati messi fuori uso. Nel giro di pochi minuti, è stato possibile vedere le pozze di gas metano rimaste nelle condutture chiuse diffondersi sulla superficie dell’acqua e il mondo ha capito che era avvenuto qualcosa di irreversibile.

FALLOUT

All’indomani dell’attentato all’oleodotto, i media americani l’hanno trattato come un mistero irrisolto. La Russia è stata ripetutamente citata come probabile colpevole, spinta da calcolate fughe di notizie dalla Casa Bianca, ma senza mai stabilire un chiaro motivo per un tale atto di autosabotaggio, al di là della semplice vendetta. Pochi mesi dopo, quando è emerso che le autorità russe si erano procurate in sordina i preventivi di spesa per la riparazione degli oleodotti, il New York Times ha descritto la notizia come ” una complicazione delle teorie su chi ci fosse dietro” l’attacco. Nessun grande giornale americano ha approfondito le precedenti minacce agli oleodotti avanzate da Biden e dal sottosegretario di Stato Nuland.

Sebbene non sia mai stato chiaro il motivo per cui la Russia avrebbe cercato di distruggere il proprio lucroso oleodotto, una motivazione più eloquente per l’azione del Presidente è venuta dal Segretario di Stato Blinken.

Interrogato in una conferenza stampa dello scorso settembre sulle conseguenze dell’aggravarsi della crisi energetica in Europa occidentale, Blinken ha descritto il momento come potenzialmente positivo:

“È un’opportunità straordinaria per eliminare una volta per tutte la dipendenza dall’energia russa e quindi per togliere a Vladimir Putin la possibilità di usare l’energia come strumento per portare avanti i suoi progetti imperiali. Questo è molto significativo e offre un’enorme opportunità strategica per gli anni a venire, ma nel frattempo siamo determinati a fare tutto il possibile per assicurarci che le conseguenze di tutto questo non siano sopportate dai cittadini dei nostri Paesi o, se è per questo, di tutto il mondo”.

Più di recente, Victoria Nuland ha espresso soddisfazione per la scomparsa del più recente degli oleodotti. Alla fine di gennaio, in occasione di un’audizione della Commissione Esteri del Senato, ha dichiarato al senatore Ted Cruz: “Come lei, sono molto soddisfatta, e credo che lo sia anche l’Amministrazione, di sapere che Nord Stream 2 è ora, come lei ama dire, un pezzo di metallo in fondo al mare”.

La fonte aveva una visione molto più spicciola della decisione di Biden di sabotare più di 1500 miglia di gasdotto di Gazprom all’approssimarsi dell’inverno. “Beh”, ha detto, parlando del Presidente, “devo ammettere che il ragazzo ha un paio di palle. Ha detto che l’avrebbe fatto e l’ha fatto”.

Alla domanda sul perché pensasse che i russi non avessero risposto, ha risposto cinicamente: “Forse vogliono avere la capacità di fare le stesse cose che hanno fatto gli Stati Uniti”.

“Era una bella storia di copertura”, ha proseguito. “Dietro c’era un’operazione segreta che prevedeva la presenza di esperti sul campo e di apparecchiature che operavano su un segnale segreto.

“L’unico difetto era la decisione di farlo”.

FONTE ORIGINALE: https://seymourhersh.substack.com/p/how-america-took-out-the-nord-stream


How America Took Out The Nord Stream Pipeline

The New York Times called it a “mystery,” but the United States executed a covert sea operation that was kept secret—until now

by Seymour Hersh

The U.S. Navy’s Diving and Salvage Center can be found in a location as obscure as its name—down what was once a country lane in rural Panama City, a now-booming resort city in the southwestern panhandle of Florida, 70 miles south of the Alabama border. The center’s complex is as nondescript as its location—a drab concrete post-World War II structure that has the look of a vocational high school on the west side of Chicago. A coin-operated laundromat and a dance school are across what is now a four-lane road.

The center has been training highly skilled deep-water divers for decades who, once assigned to American military units worldwide, are capable of technical diving to do the good—using C4 explosives to clear harbors and beaches of debris and unexploded ordinance—as well as the bad, like blowing up foreign oil rigs, fouling intake valves for undersea power plants, destroying locks on crucial shipping canals. The Panama City center, which boasts the second largest indoor pool in America, was the perfect place to recruit the best, and most taciturn, graduates of the diving school who successfully did last summer what they had been authorized to do 260 feet under the surface of the Baltic Sea.

Last June, the Navy divers, operating under the cover of a widely publicized mid-summer NATO exercise known as BALTOPS 22, planted the remotely triggered explosives that, three months later, destroyed three of the four Nord Stream pipelines, according to a source with direct knowledge of the operational planning.

Two of the pipelines, which were known collectively as Nord Stream 1, had been providing Germany and much of Western Europe with cheap Russian natural gas for more than a decade. A second pair of pipelines, called Nord Stream 2, had been built but were not yet operational. Now, with Russian troops massing on the Ukrainian border and the bloodiest war in Europe since 1945 looming, President Joseph Biden saw the pipelines as a vehicle for Vladimir Putin to weaponize natural gas for his political and territorial ambitions.

Asked for comment, Adrienne Watson, a White House spokesperson, said in an email, “This is false and complete fiction.” Tammy Thorp, a spokesperson for the Central Intelligence Agency, similarly wrote: “This claim is completely and utterly false.”

Biden’s decision to sabotage the pipelines came after more than nine months of highly secret back and forth debate inside Washington’s national security community about how to best achieve that goal. For much of that time, the issue was not whether to do the mission, but how to get it done with no overt clue as to who was responsible.

There was a vital bureaucratic reason for relying on the graduates of the center’s hardcore diving school in Panama City. The divers were Navy only, and not members of America’s Special Operations Command, whose covert operations must be reported to Congress and briefed in advance to the Senate and House leadership—the so-called Gang of Eight. The Biden Administration was doing everything possible to avoid leaks as the planning took place late in 2021 and into the first months of 2022.

President Biden and his foreign policy team—National Security Adviser Jake Sullivan, Secretary of State Tony Blinken, and Victoria Nuland, the Undersecretary of State for Policy—had been vocal and consistent in their hostility to the two pipelines, which ran side by side for 750 miles under the Baltic Sea from two different ports in northeastern Russia near the Estonian border, passing close to the Danish island of Bornholm before ending in northern Germany.

The direct route, which bypassed any need to transit Ukraine, had been a boon for the German economy, which enjoyed an abundance of cheap Russian natural gas—enough to run its factories and heat its homes while enabling German distributors to sell excess gas, at a profit, throughout Western Europe. Action that could be traced to the administration would violate US promises to minimize direct conflict with Russia. Secrecy was essential.

From its earliest days, Nord Stream 1 was seen by Washington and its anti-Russian NATO partners as a threat to western dominance. The holding company behind it, Nord Stream AG, was incorporated in Switzerland in 2005 in partnership with Gazprom, a publicly traded Russian company producing enormous profits for shareholders which is dominated by oligarchs known to be in the thrall of Putin. Gazprom controlled 51 percent of the company, with four European energy firms—one in France, one in the Netherlands and two in Germany—sharing the remaining 49 percent of stock, and having the right to control downstream sales of the inexpensive natural gas to local distributors in Germany and Western Europe. Gazprom’s profits were shared with the Russian government, and state gas and oil revenues were estimated in some years to amount to as much as 45 percent of Russia’s annual budget.

America’s political fears were real: Putin would now have an additional and much-needed major source of income, and Germany and the rest of Western Europe would become addicted to low-cost natural gas supplied by Russia—while diminishing European reliance on America. In fact, that’s exactly what happened. Many Germans saw Nord Stream 1 as part of the deliverance of former Chancellor Willy Brandt’s famed Ostpolitik theory, which would enable postwar Germany to rehabilitate itself and other European nations destroyed in World War II by, among other initiatives, utilizing cheap Russian gas to fuel a prosperous Western European market and trading economy.

Nord Stream 1 was dangerous enough, in the view of NATO and Washington, but Nord Stream 2, whose construction was completed in September of 2021, would, if approved by German regulators, double the amount of cheap gas that would be available to Germany and Western Europe. The second pipeline also would provide enough gas for more than 50 percent of Germany’s annual consumption. Tensions were constantly escalating between Russia and NATO, backed by the aggressive foreign policy of the Biden Administration.

Opposition to Nord Stream 2 flared on the eve of the Biden inauguration in January 2021, when Senate Republicans, led by Ted Cruz of Texas, repeatedly raised the political threat of cheap Russian natural gas during the confirmation hearing of Blinken as Secretary of State. By then a unified Senate had successfully passed a law that, as Cruz told Blinken, “halted [the pipeline] in its tracks.” There would be enormous political and economic pressure from the German government, then headed by Angela Merkel, to get the second pipeline online.

Would Biden stand up to the Germans? Blinken said yes, but added that he had not discussed the specifics of the incoming President’s views. “I know his strong conviction that this is a bad idea, the Nord Stream 2,” he said. “I know that he would have us use every persuasive tool that we have to convince our friends and partners, including Germany, not to move forward with it.”

A few months later, as the construction of the second pipeline neared completion, Biden blinked. That May, in a stunning turnaround, the administration waived sanctions against Nord Stream AG, with a State Department official conceding that trying to stop the pipeline through sanctions and diplomacy had “always been a long shot.” Behind the scenes, administration officials reportedly urged Ukrainian President Volodymyr Zelensky, by then facing a threat of Russian invasion, not to criticize the move.

There were immediate consequences. Senate Republicans, led by Cruz, announced an immediate blockade of all of Biden’s foreign policy nominees and delayed passage of the annual defense bill for months, deep into the fall. Politico later depicted Biden’s turnabout on the second Russian pipeline as “the one decision, arguably more than the chaotic military withdrawal from Afghanistan, that has imperiled Biden’s agenda.” 

The administration was floundering, despite getting a reprieve on the crisis in mid-November, when Germany’s energy regulators suspended approval of the second Nord Stream pipeline. Natural gas prices surged 8% within days, amid growing fears in Germany and Europe that the pipeline suspension and the growing possibility of a war between Russia and Ukraine would lead to a very much unwanted cold winter. It was not clear to Washington just where Olaf Scholz, Germany’s newly appointed chancellor, stood. Months earlier, after the fall of Afghanistan, Scholtz had publicly endorsed French President Emmanuel Macron’s call for a more autonomous European foreign policy in a speech in Prague—clearly suggesting less reliance on Washington and its mercurial actions.

Throughout all of this, Russian troops had been steadily and ominously building up on the borders of Ukraine, and by the end of December more than 100,000 soldiers were in position to strike from Belarus and Crimea. Alarm was growing in Washington, including an assessment from Blinken that those troop numbers could be “doubled in short order.”

The administration’s attention once again was focused on Nord Stream. As long as Europe remained dependent on the pipelines for cheap natural gas, Washington was afraid that countries like Germany would be reluctant to supply Ukraine with the money and weapons it needed to defeat Russia.

It was at this unsettled moment that Biden authorized Jake Sullivan to bring together an interagency group to come up with a plan. 

All options were to be on the table. But only one would emerge.

PLANNING

In December of 2021, two months before the first Russian tanks rolled into Ukraine, Jake Sullivan convened a meeting of a newly formed task force—men and women from the Joint Chiefs of Staff, the CIA, and the State and Treasury Departments—and asked for recommendations about how to respond to Putin’s impending invasion.

It would be the first of a series of top-secret meetings, in a secure room on a top floor of the Old Executive Office Building, adjacent to the White House, that was also the home of the President’s Foreign Intelligence Advisory Board (PFIAB). There was the usual back and forth chatter that eventually led to a crucial preliminary question: Would the recommendation forwarded by the group to the President be reversible—such as another layer of sanctions and currency restrictions—or irreversible—that is, kinetic actions, which could not be undone?

What became clear to participants, according to the source with direct knowledge of the process, is that Sullivan intended for the group to come up with a plan for the destruction of the two Nord Stream pipelines—and that he was delivering on the desires of the President.

THE PLAYERS Left to right: Victoria Nuland, Anthony Blinken, and Jake Sullivan.

Over the next several meetings, the participants debated options for an attack. The Navy proposed using a newly commissioned submarine to assault the pipeline directly. The Air Force discussed dropping bombs with delayed fuses that could be set off remotely. The CIA argued that whatever was done, it would have to be covert. Everyone involved understood the stakes. “This is not kiddie stuff,” the source said. If the attack were traceable to the United States, “It’s an act of war.”

At the time, the CIA was directed by William Burns, a mild-mannered former ambassador to Russia who had served as deputy secretary of state in the Obama Administration. Burns quickly authorized an Agency working group whose ad hoc members included—by chance—someone who was familiar with the capabilities of the Navy’s deep-sea divers in Panama City. Over the next few weeks, members of the CIA’s working group began to craft a plan for a covert operation that would use deep-sea divers to trigger an explosion along the pipeline.

Something like this had been done before. In 1971, the American intelligence community learned from still undisclosed sources that two important units of the Russian Navy were communicating via an undersea cable buried in the Sea of Okhotsk, on Russia’s Far East Coast. The cable linked a regional Navy command to the mainland headquarters at Vladivostok.

A hand-picked team of Central Intelligence Agency and National Security Agency operatives was assembled somewhere in the Washington area, under deep cover, and worked out a plan, using Navy divers, modified submarines and a deep-submarine rescue vehicle, that succeeded, after much trial and error, in locating the Russian cable. The divers planted a sophisticated listening device on the cable that successfully intercepted the Russian traffic and recorded it on a taping system.

The NSA learned that senior Russian navy officers, convinced of the security of their communication link, chatted away with their peers without encryption. The recording device and its tape had to be replaced monthly and the project rolled on merrily for a decade until it was compromised by a forty-four-year-old civilian NSA technician named Ronald Pelton who was fluent in Russian. Pelton was betrayed by a Russian defector in 1985 and sentenced to prison. He was paid just $5,000 by the Russians for his revelations about the operation, along with $35,000 for other Russian operational data he provided that was never made public.

That underwater success, codenamed Ivy Bells, was innovative and risky, and produced invaluable intelligence about the Russian Navy’s intentions and planning.

Still, the interagency group was initially skeptical of the CIA’s enthusiasm for a covert deep-sea attack. There were too many unanswered questions. The waters of the Baltic Sea were heavily patrolled by the Russian navy, and there were no oil rigs that could be used as cover for a diving operation. Would the divers have to go to Estonia, right across the border from Russia’s natural gas loading docks, to train for the mission? “It would be a goat fuck,” the Agency was told.

Throughout “all of this scheming,” the source said, “some working guys in the CIA and the State Department were saying, ‘Don’t do this. It’s stupid and will be a political nightmare if it comes out.’”

Nevertheless, in early 2022, the CIA working group reported back to Sullivan’s interagency group: “We have a way to blow up the pipelines.”

What came next was stunning. On February 7, less than three weeks before the seemingly inevitable Russian invasion of Ukraine, Biden met in his White House office with German Chancellor Olaf Scholz, who, after some wobbling, was now firmly on the American team. At the press briefing that followed, Biden defiantly said, “If Russia invades . . . there will be no longer a Nord Stream 2. We will bring an end to it.”

Twenty days earlier, Undersecretary Nuland had delivered essentially the same message at a State Department briefing, with little press coverage. “I want to be very clear to you today,” she said in response to a question. “If Russia invades Ukraine, one way or another Nord Stream 2 will not move forward.”

Several of those involved in planning the pipeline mission were dismayed by what they viewed as indirect references to the attack.

“It was like putting an atomic bomb on the ground in Tokyo and telling the Japanese that we are going to detonate it,” the source said. “The plan was for the options to be executed post invasion and not advertised publicly. Biden simply didn’t get it or ignored it.”

Biden’s and Nuland’s indiscretion, if that is what it was, might have frustrated some of the planners. But it also created an opportunity. According to the source, some of the senior officials of the CIA determined that blowing up the pipeline “no longer could be considered a covert option because the President just announced that we knew how to do it.”

The plan to blow up Nord Stream 1 and 2 was suddenly downgraded from a covert operation requiring that Congress be informed to one that was deemed as a highly classified intelligence operation with U.S. military support. Under the law, the source explained, “There was no longer a legal requirement to report the operation to Congress. All they had to do now is just do it—but it still had to be secret. The Russians have superlative surveillance of the Baltic Sea.”

The Agency working group members had no direct contact with the White House, and were eager to find out if the President meant what he’d said—that is, if the mission was now a go. The source recalled, “Bill Burns comes back and says, ‘Do it.’”

“The Norwegian navy was quick to find the right spot, in the shallow water a few miles off Denmark’s Bornholm Island . . .”

THE OPERATION 

Norway was the perfect place to base the mission.

In the past few years of East-West crisis, the U.S. military has vastly expanded its presence inside Norway, whose western border runs 1,400 miles along the north Atlantic Ocean and merges above the Arctic Circle with Russia. The Pentagon has created high paying jobs and contracts, amid some local controversy, by investing hundreds of millions of dollars to upgrade and expand American Navy and Air Force facilities in Norway. The new works included, most importantly, an advanced synthetic aperture radar far up north that was capable of penetrating deep into Russia and came online just as the American intelligence community lost access to a series of long-range listening sites inside China.

A newly refurbished American submarine base, which had been under construction for years, had become operational and more American submarines were now able to work closely with their Norwegian colleagues to monitor and spy on a major Russian nuclear redoubt 250 miles to the east, on the Kola Peninsula. America also has vastly expanded a Norwegian air base in the north and delivered to the Norwegian air force a fleet of Boeing-built P8 Poseidon patrol planes to bolster its long-range spying on all things Russia.

In return, the Norwegian government angered liberals and some moderates in its parliament last November by passing the Supplementary Defense Cooperation Agreement (SDCA). Under the new deal, the U.S. legal system would have jurisdiction in certain “agreed areas” in the North over American soldiers accused of crimes off base, as well as over those Norwegian citizens accused or suspected of interfering with the work at the base.

Norway was one of the original signatories of the NATO Treaty in 1949, in the early days of the Cold War. Today, the supreme commander of NATO is Jens Stoltenberg, a committed anti-communist, who served as Norway’s prime minister for eight years before moving to his high NATO post, with American backing, in 2014. He was a hardliner on all things Putin and Russia who had cooperated with the American intelligence community since the Vietnam War. He has been trusted completely since. “He is the glove that fits the American hand,” the source said.

Back in Washington, planners knew they had to go to Norway. “They hated the Russians, and the Norwegian navy was full of superb sailors and divers who had generations of experience in highly profitable deep-sea oil and gas exploration,” the source said. They also could be trusted to keep the mission secret. (The Norwegians may have had other interests as well. The destruction of Nord Stream—if the Americans could pull it off—would allow Norway to sell vastly more of its own natural gas to Europe.)

Sometime in March, a few members of the team flew to Norway to meet with the Norwegian Secret Service and Navy. One of the key questions was where exactly in the Baltic Sea was the best place to plant the explosives. Nord Stream 1 and 2, each with two sets of pipelines, were separated much of the way by little more than a mile as they made their run to the port of Greifswald in the far northeast of Germany.

The Norwegian navy was quick to find the right spot, in the shallow waters of the Baltic sea a few miles off Denmark’s Bornholm Island. The pipelines ran more than a mile apart along a seafloor that was only 260 feet deep. That would be well within the range of the divers, who, operating from a Norwegian Alta class mine hunter, would dive with a mixture of oxygen, nitrogen and helium streaming from their tanks, and plant shaped C4 charges on the four pipelines with concrete protective covers. It would be tedious, time consuming and dangerous work, but the waters off Bornholm had another advantage: there were no major tidal currents, which would have made the task of diving much more difficult.

After a bit of research, the Americans were all in.

At this point, the Navy’s obscure deep-diving group in Panama City once again came into play. The deep-sea schools at Panama City, whose trainees participated in Ivy Bells, are seen as an unwanted backwater by the elite graduates of the Naval Academy in Annapolis, who typically seek the glory of being assigned as a Seal, fighter pilot, or submariner. If one must become a “Black Shoe”—that is, a member of the less desirable surface ship command—there is always at least duty on a destroyer, cruiser or amphibious ship. The least glamorous of all is mine warfare. Its divers never appear in Hollywood movies, or on the cover of popular magazines.

“The best divers with deep diving qualifications are a tight community, and only the very best are recruited for the operation and told to be prepared to be summoned to the CIA in Washington,” the source said.

The Norwegians and Americans had a location and the operatives, but there was another concern: any unusual underwater activity in the waters off Bornholm might draw the attention of the Swedish or Danish navies, which could report it.  

Denmark had also been one of the original NATO signatories and was known in the intelligence community for its special ties to the United Kingdom. Sweden had applied for membership into NATO, and had demonstrated its great skill in managing its underwater sound and magnetic sensor systems that successfully tracked Russian submarines that would occasionally show up in remote waters of the Swedish archipelago and be forced to the surface.

The Norwegians joined the Americans in insisting that some senior officials in Denmark and Sweden had to be briefed in general terms about possible diving activity in the area. In that way, someone higher up could intervene and keep a report out of the chain of command, thus insulating the pipeline operation. “What they were told and what they knew were purposely different,” the source told me. (The Norwegian embassy, asked to comment on this story, did not respond.)

The Norwegians were key to solving other hurdles. The Russian navy was known to possess surveillance technology capable of spotting, and triggering, underwater mines. The American explosive devices needed to be camouflaged in a way that would make them appear to the Russian system as part of the natural background—something that required adapting to the specific salinity of the water. The Norwegians had a fix.

The Norwegians also had a solution to the crucial question of when the operation should take place. Every June, for the past 21 years, the American Sixth Fleet, whose flagship is based in Gaeta, Italy, south of Rome, has sponsored a major NATO exercise in the Baltic Sea involving scores of allied ships throughout the region. The current exercise, held in June, would be known as Baltic Operations 22, or BALTOPS 22. The Norwegians proposed this would be the ideal cover to plant the mines.

The Americans provided one vital element: they convinced the Sixth Fleet planners to add a research and development exercise to the program. The exercise, as made public by the Navy, involved the Sixth Fleet in collaboration with the Navy’s “research and warfare centers.” The at-sea event would be held off the coast of Bornholm Island and involve NATO teams of divers planting mines, with competing teams using the latest underwater technology to find and destroy them.

It was both a useful exercise and ingenious cover. The Panama City boys would do their thing and the C4 explosives would be in place by the end of BALTOPS22, with a 48-hour timer attached. All of the Americans and Norwegians would be long gone by the first explosion. 

The days were counting down. “The clock was ticking, and we were nearing mission accomplished,” the source said.

And then: Washington had second thoughts. The bombs would still be planted during BALTOPS, but the White House worried that a two-day window for their detonation would be too close to the end of the exercise, and it would be obvious that America had been involved.

Instead, the White House had a new request: “Can the guys in the field come up with some way to blow the pipelines later on command?”

Some members of the planning team were angered and frustrated by the President’s seeming indecision. The Panama City divers had repeatedly practiced planting the C4 on pipelines, as they would during BALTOPS, but now the team in Norway had to come up with a way to give Biden what he wanted—the ability to issue a successful execution order at a time of his choosing.  

Being tasked with an arbitrary, last-minute change was something the CIA was accustomed to managing. But it also renewed the concerns some shared over the necessity, and legality, of the entire operation.

The President’s secret orders also evoked the CIA’s dilemma in the Vietnam War days, when President Johnson, confronted by growing anti-Vietnam War sentiment, ordered the Agency to violate its charter—which specifically barred it from operating inside America—by spying on antiwar leaders to determine whether they were being controlled by Communist Russia.

The agency ultimately acquiesced, and throughout the 1970s it became clear just how far it had been willing to go. There were subsequent newspaper revelations in the aftermath of the Watergate scandals about the Agency’s spying on American citizens, its involvement in the assassination of foreign leaders and its undermining of the socialist government of Salvador Allende.

Those revelations led to a dramatic series of hearings in the mid-1970s in the Senate, led by Frank Church of Idaho, that made it clear that Richard Helms, the Agency director at the time, accepted that he had an obligation to do what the President wanted, even if it meant violating the law.

In unpublished, closed-door testimony, Helms ruefully explained that “you almost have an Immaculate Conception when you do something” under secret orders from a President. “Whether it’s right that you should have it, or wrong that you shall have it, [the CIA] works under different rules and ground rules than any other part of the government.” He was essentially telling the Senators that he, as head of the CIA, understood that he had been working for the Crown, and not the Constitution.

The Americans at work in Norway operated under the same dynamic, and dutifully began working on the new problem—how to remotely detonate the C4 explosives on Biden’s order. It was a much more demanding assignment than those in Washington understood. There was no way for the team in Norway to know when the President might push the button. Would it be in a few weeks, in many months or in half a year or longer?

The C4 attached to the pipelines would be triggered by a sonar buoy dropped by a plane on short notice, but the procedure involved the most advanced signal processing technology. Once in place, the delayed timing devices attached to any of the four pipelines could be accidentally triggered by the complex mix of ocean background noises throughout the heavily trafficked Baltic Sea—from near and distant ships, underwater drilling, seismic events, waves and even sea creatures. To avoid this, the sonar buoy, once in place, would emit a sequence of unique low frequency tonal sounds—much like those emitted by a flute or a piano—that would be recognized by the timing device and, after a pre-set hours of delay, trigger the explosives. (“You want a signal that is robust enough so that no other signal could accidentally send a pulse that detonated the explosives,” I was told by Dr. Theodore Postol, professor emeritus of science, technology and national security policy at MIT. Postol, who has served as the science adviser to the Pentagon’s Chief of Naval Operations, said the issue facing the group in Norway because of Biden’s delay was one of chance: “The longer the explosives are in the water the greater risk there would be of a random signal that would launch the bombs.”)

On September 26, 2022, a Norwegian Navy P8 surveillance plane made a seemingly routine flight and dropped a sonar buoy. The signal spread underwater, initially to Nord Stream 2 and then on to Nord Stream 1. A few hours later, the high-powered C4 explosives were triggered and three of the four pipelines were put out of commission. Within a few minutes, pools of methane gas that remained in the shuttered pipelines could be seen spreading on the water’s surface and the world learned that something irreversible had taken place.

FALLOUT

In the immediate aftermath of the pipeline bombing, the American media treated it like an unsolved mystery. Russia was repeatedly cited as a likely culprit, spurred on by calculated leaks from the White House—but without ever establishing a clear motive for such an act of self-sabotage, beyond simple retribution. A few months later, when it emerged that Russian authorities had been quietly getting estimates for the cost to repair the pipelines, the New York Times described the news as “complicating theories about who was behind” the attack. No major American newspaper dug into the earlier threats to the pipelines made by Biden and Undersecretary of State Nuland.

While it was never clear why Russia would seek to destroy its own lucrative pipeline, a more telling rationale for the President’s action came from Secretary of State Blinken.

Asked at a press conference last September about the consequences of the worsening energy crisis in Western Europe, Blinken described the moment as a potentially good one:

“It’s a tremendous opportunity to once and for all remove the dependence on Russian energy and thus to take away from Vladimir Putin the weaponization of energy as a means of advancing his imperial designs. That’s very significant and that offers tremendous strategic opportunity for the years to come, but meanwhile we’re determined to do everything we possibly can to make sure the consequences of all of this are not borne by citizens in our countries or, for that matter, around the world.”

More recently, Victoria Nuland expressed satisfaction at the demise of the newest of the pipelines. Testifying at a Senate Foreign Relations Committee hearing in late January she told Senator Ted Cruz, “​Like you, I am, and I think the Administration is, very gratified to know that Nord Stream 2 is now, as you like to say, a hunk of metal at the bottom of the sea.”

The source had a much more streetwise view of Biden’s decision to sabotage more than 1500 miles of Gazprom pipeline as winter approached. “Well,” he said, speaking of the President, “I gotta admit the guy has a pair of balls.  He said he was going to do it, and he did.”

Asked why he thought the Russians failed to respond, he said cynically, “Maybe they want the capability to do the same things the U.S. did.

“It was a beautiful cover story,” he went on. “Behind it was a covert operation that placed experts in the field and equipment that operated on a covert signal.

“The only flaw was the decision to do it.”

FONTE: https://seymourhersh.substack.com/p/how-america-took-out-the-nord-stream

Germania: il “Manifesto per la pace” di Alice Schwarzer e Sara Wagenknecht raccoglie oltre 300mila firme in due giorni

Schwarzer e Wagenknecht mettono in guardia da una terza guerra mondiale. Chiedono di porre fine alla fornitura di armi all’Ucraina. Chiamano a una manifestazione a Berlino il 25 febbraio.

di Maximilian Beer (dal Berliner Zeitung)

La politica di sinistra Sahra Wagenknecht e la pubblicista Alice Schwarzer hanno scritto un “Manifesto per la pace”. “Oggi è il 352° giorno di guerra in Ucraina”, si legge all’inizio del testo, pubblicato sulla piattaforma di petizione Change.org. “Se i combattimenti continuano così, l’Ucraina sarà presto un Paese spopolato e distrutto”.

Nel testo, Wagenknecht e Schwarzer parlano di “oltre 200.000 soldati e 50.000 civili” che sarebbero già morti nei combattimenti. Le donne sono state violentate, i bambini spaventati e “un intero popolo traumatizzato”. In tutta Europa, molti temono un’espansione della guerra.

Negli ultimi mesi, il deputato del Bundestag e la giornalista si erano ripetutamente espressi contro le forniture di armi all’Ucraina e a favore di maggiori sforzi diplomatici per porre fine alla guerra di aggressione russa.

La popolazione ucraina è stata “brutalmente” invasa dalla Russia, scrivono Schwarzer e Wagenknecht, e ha bisogno della “nostra solidarietà”. Agli occhi dei due autori, tuttavia, questo non può ovviamente consistere in ulteriori forniture di armi al Paese.

“Il presidente Zelenskyj non fa mistero del suo obiettivo”, affermano Wagenknecht e Schwarzer a proposito del presidente ucraino. “Dopo i carri armati promessi, ora chiede anche jet da combattimento, missili a lungo raggio e navi da guerra – per sconfiggere la Russia su tutta la linea?”.

Secondo Schwarzer e Wagenknecht, si teme che il Presidente russo Vladimir Putin “lancerà un contrattacco durissimo al più tardi in caso di attacco alla Crimea”. La Russia aveva già annesso la penisola ucraina nel 2014, in violazione del diritto internazionale.

Nel loro “Manifesto”, ora pubblicato, Schwarzer e Wagenknecht chiedono anche al Cancelliere tedesco di “fermare l’escalation di consegne di armi”. Olaf Scholz dovrebbe “guidare una forte alleanza per il cessate il fuoco e i negoziati di pace a livello tedesco ed europeo”.

Gli autori concludono dicendo: “Perché ogni giorno perso costa fino a 1000 vite in più – e ci avvicina a una terza guerra mondiale”.

Alice #Schwarzer e io abbiamo scritto un “Manifesto per la pace”. Per i #negoziati invece che per i #carri armati. A partire da oggi, tutti possono partecipare: https://t.co/UD8JGBXsVl Per il 25 febbraio, alle 14.00, vi invitiamo a una manifestazione alla Porta di Brandeburgo. #AufstandfuerFrieden pic.twitter.com/qCiAtUhjYO
– Sahra Wagenknecht (@SWagenknecht) 10 febbraio 2023

FONTE: https://www.berliner-zeitung.de/politik-gesellschaft/aufruf-zu-demo-schwarzer-und-wagenknecht-veroeffentlichen-manifest-fuer-frieden-li.316259


TESTO in ITALIANO della PETIZIONE LANCIATA IERI IN GERMANIA DA SARA WAGENKNECHT e ALICE SCHWARZER

Alice Schwarzer, Sahra Wagenknecht e il generale di brigata in pensione Erich Vad hanno indetto una giornata di protesta per il 25 febbraio: una manifestazione presso la Porta di Brandeburgo a Berlino.

LINK per firmare la petizione: https://www.change.org/p/manifest-f%C3%BCr-frieden

“Oggi è il 352° giorno di guerra in Ucraina. Finora sono stati uccisi oltre 200.000 soldati e 50.000 civili. Le donne sono state violentate, i bambini spaventati, un intero popolo traumatizzato. Se i combattimenti continuano così, l’Ucraina sarà presto un Paese spopolato e distrutto. E anche molte persone in tutta Europa temono un’espansione della guerra. Temono per il loro futuro e per quello dei loro figli.

Il popolo ucraino, brutalmente invaso dalla Russia, ha bisogno della nostra solidarietà. Ma cosa sarebbe ora la solidarietà? Per quanto tempo ancora si dovrà combattere e morire sul campo di battaglia dell’Ucraina? E qual è ora, un anno dopo, l’obiettivo di questa guerra? Il ministro degli Esteri tedesco ha recentemente parlato di “noi” che conduciamo una “guerra contro la Russia”. Sul serio?

Il Presidente Zelenskyj non fa mistero del suo obiettivo. Dopo i carri armati promessi, ora chiede jet da combattimento, missili a lungo raggio e navi da guerra – per sconfiggere la Russia su tutta la linea? Il cancelliere tedesco assicura ancora di non voler inviare né jet da combattimento né “truppe di terra”. Ma quante “linee rosse” sono già state superate negli ultimi mesi?

C’è da temere che Putin lanci al più tardi un massiccio contrattacco se viene attaccata la Crimea. Ci stiamo quindi dirigendo inesorabilmente verso un pendio scivoloso che porta alla guerra mondiale e alla guerra nucleare? Non sarebbe la prima grande guerra iniziata in questo modo. Ma potrebbe essere l’ultima.

L’Ucraina può vincere singole battaglie – con il sostegno dell’Occidente. Ma non può vincere una guerra contro la più grande potenza nucleare del mondo. Lo dice anche il più alto ufficiale militare degli Stati Uniti, il generale Milley. Parla di una situazione di stallo in cui nessuna delle due parti può vincere militarmente e la guerra può essere conclusa solo al tavolo dei negoziati. Allora perché non ora? Immediatamente!

Negoziare non significa arrendersi. Negoziare significa scendere a compromessi, da entrambe le parti. Con l’obiettivo di prevenire altre centinaia di migliaia di morti e peggio. Lo pensiamo anche noi, lo pensa anche metà della popolazione tedesca. È ora di ascoltarci!

Noi cittadini tedeschi non possiamo influenzare direttamente l’America e la Russia o i nostri vicini europei. Ma possiamo e dobbiamo chiedere conto al nostro governo e al Cancelliere e ricordargli il suo giuramento: “Evitare danni al popolo tedesco”.

Chiediamo al Cancelliere di fermare l’escalation di consegne di armi. Ora! Dovrebbe guidare una forte alleanza per il cessate il fuoco e i negoziati di pace sia a livello tedesco che europeo. Ora! Perché ogni giorno perso costa fino a 1.000 vite in più – e ci avvicina a una terza guerra mondiale.”

Alice Schwarzer e Sahra Wagenknecht

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I 69 SOSTENITORI

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Sergej Lavrov: Conferenza stampa di inizio anno (Video con traduzione in Italiano)

Conferenza stampa di inizio anno – 2023 – con i giornalisti stranieri. Mosca, 18 gennaio 2023

Conferenza stampa di Sergej Lavrov, ministro degli esteri della Federazione Russa, 18 gennaio 2023. Traduzione simultanea in italiano, versione integrale a cura di Mark Bernardini)

Guerra in Ucraina, profili strategici e divisioni valoriali

di Alberto Bradanini

In un acuto articolo reperibile sulla rete[1], l’antropologo francese Emmanuel Todd ha sviluppato alcune riflessioni sugli accadimenti ucraini che andrebbero valutate da chi dispone del potere di evitare che questa guerra ci conduca nel baratro.

Di seguito i punti cruciali delle riflessioni di Todd, con commenti a margine di chi scrive, quando non diversamente indicato, tenendo a mente che le rappresentazioni della narrazione dominante non sorgono da quel ramo del Lago di Como come i monti manzoniani, essendo fabbricate a tavolino da coloro che muovono i fili della manipolazione, per interesse o sudditanza[2].

L’antropologo citato rileva che all’avvio del conflitto due erano i postulati che gli eventi successivi hanno poi smentito: a) l’Ucraina non resisterà alla pressione militare russa; b) la Russia verrà schiacciata dalle sanzioni occidentali e il suo sistema produttivo, commerciale e finanziario sarà messo in ginocchio.

Inizialmente il conflitto aveva una dimensione territoriale, con un rischio espansivo limitato, sebbene i propositi di Nato-Usa erano stati prefabbricati e avessero obiettivi più estesi. Col passare dei mesi, l’obiettivo dell’Occidente è emerso nella sua evidenza, il dissanguamento della Russia e a caduta l’indebolimento della Cina. In parallelo, da una dimensione circoscritta la guerra è diventata mondiale, seppure con proprie caratteristiche e una bassa intensità militare rispetto a quelle precedenti.

All’avvio delle ostilità, la narrazione mediatica esaltava la forza dell’esercito russo, ben armato e strutturato. Dell’economia russa veniva invece rimarcata la fragilità di fondo, che l’avrebbe fatta crollare sotto il peso delle sanzioni. L’Ucraina, in buona sostanza, sarebbe stata travolta sul piano militare, mentre la Russia su quello economico. Le carte si sono invece ribaltate, una doppia sorpresa che conferma l’azzardo di ogni previsione e l’inattendibilità della macchina manipolatoria, quando i destinatari trovano tempo per approfondire.

Gli analisti dotati di pensiero critico – non certo i funzionari politici e mediatici di sistema, o i partigiani ideologici – restano convinti che sarà la Russia a prevalere, anche se la forma non è prevedibile. L’Ucraina, tuttavia, non è stata schiacciata sul piano militare, pur avendo perso (gennaio 2023) il 16 per cento del territorio. Sul fronte opposto, l’economia regge, non è andata in rovina, il commercio con i paesi non-occidentali è sostenuto e, dalla vigilia della guerra, il rublo ha guadagnato l’8 per cento sul dollaro e il 18 per cento sull’euro.

Sul piano militare l’Occidente non intende esporsi (lo fa con il sangue e il territorio ucraini) per evitare rappresaglie ed escalation, pur fornendo finanziamenti e armamenti che tengono in piedi lo stato ucraino e uccidono soldati russi. In Europa, la guerra danneggia la struttura industriale, causa inflazione e scarsità di energia, aggrava la sua irrilevanza e la sudditanza all’alleato-padrone.

Secondo alcuni, con questa operazione militare speciale Putin avrebbe commesso un errore storico-sociale, avendo rivitalizzato la morente società ucraina. Fino all’avvio delle ostilità l’Ucraina aveva il profilo di un paese fallito, in decomposizione. Dal giorno dell’indipendenza (24 agosto 1991) il paese aveva perso 15 milioni di abitanti, sebbene manchino dati ufficiali perché il censimento è vietato dal 2001, quale riflesso di un’élite che vorrebbe cancellare persino l’esistenza della minoranza russa o russofona.

Secondo le iniziali valutazioni del Cremlino, un paese così fragile sotto il profilo identitario sarebbe facilmente crollato, spalancando le porte a santa madre Russia, dopo essersi liberato delle bande nazionaliste e para-naziste insediatesi nei suoi apparati politici e militari. Ma ciò non è avvenuto. Anzi, lo sviluppo degli eventi ha validato l’assunto che una società in caduta libera come quella ucraina può trovare nella guerra un orizzonte identitario che sembrava perso nelle nebbie del tempo, facendo affidamento su risorse esterne, finanziarie e militari. Persino i russi avevano sottovalutato il collante del sentimento nazionalista, oltre che l’impatto degli aiuti occidentali.

Va rilevato che tra i diversi protagonisti della guerra, la Russia è il paese più facilmente intellegibile, e a ragione. Todd condivide l’analisi del politologo americano di scuola realista, John Mearsheimer, quando osserva che l’esercito ucraino era già di fatto un esercito della Nato (addestrato da statunitensi, britannici e polacchi molto prima del 2014) anche senza la formale adesione di Kiev al Blocco Atlantico. Uno scenario che – come da Putin affermato fino al giorno precedente l’attacco – la Russia non avrebbe tollerato. Le mosse di Mosca sono chiare, essendo motivate da ragioni difensive e preventive. Mearsheimer aggiunge tuttavia che le difficoltà dell’esercito russo non dovrebbero indurre a rallegrarsi, poiché questa guerra ha per Mosca un valore esistenziale. Se crescono le sofferenze, cresce in parallelo l’intensità della sua reazione, e dunque una possibile escalation[3] persino nucleare (un rischio su cui gli incoscienti generali/governo/produttori di armi americani, che manovrano dietro il sipario, sorvolano distrattamente, mentre i paesi europei si eclissano sotto il velo di un’umiliante omertà): qualora vedesse profilarsi la sconfitta, l’esercito russo procederebbe innanzitutto alla sistematica distruzione delle città ucraine, a partire dalla capitale, per poi considerare attacchi convenzionali con missili ipersonici fors’anche contro un paese Nato, fino all’uso di un ordigno nucleare tattico (al quale difficilmente gli Usa reagirebbero, per non rischiare a loro volta di diventare bersagli della controreazione russa).

Si tratta di un’analisi che Todd considera corretta, sebbene le riflessioni di Mearsheimer meritino un’aggiunta: questo conflitto aveva inizialmente caratteristiche esistenziali solo per Mosca. Esso è ora diventato tale anche per Washington, sebbene per ragioni diverse, imprigionando i due antagonisti in una spirale senza apparente via d’uscita. La Russia, come rilevato, non può essere sconfitta, se non scatenando l’Armageddon. Ora, anche la disfatta dell’Occidente-Ucraina verrebbe percepita dagli Stati Uniti, che ne sono la guida, come una ferita esistenziale. Per Washington le sofferenze non comporterebbero sacrifici territoriali o il rischio di un cambio di regime (come in Russia), poiché la struttura del corporativismo americano non ne verrebbe comunque scalfita. Le conseguenze sarebbero di natura geostrategica. Se la Russia dovesse prevalere, l’icona di onnipotenza della superpotenza atlantica ne risentirebbe pesantemente, con riflessi diretti sulla sua influenza nel mondo. Gli Usa, infatti, non intendono certo rinunciare allo status imperiale unipolare – la sola nazione indispensabile, B. Clinton, 1999 – per tornare ad essere una nazione normale e contribuire con onestà alla soluzione dei problemi del mondo. Decisamente no.

In caso di sconfitta dell’Ucraina, dunque, il sistema di potere americano potrebbe scoprirsi esposto e magari percepire i primi cedimenti di quel trono di privilegi sul quale è seduto. La guerra non presenta vie d’uscita bilanciate per le due parti. La torta sarà divisa in modo ineguale, con riflessi imprevedibili sul resto del mondo.

Secondo le dichiarazioni ufficiali, Francia e Germania erano convinte che la Russia mai avrebbe trovato il coraggio d’invadere l’Ucraina, mentre americani, inglesi e polacchi stavano lavorando proprio perché ciò avvenisse. Non ne abbiamo evidenza, ma è presumibile, riflette Todd, che i due paesi non abbiano considerato seriamente tale ipotesi, sebbene le recenti dichiarazioni (comode e tardive) di Hollande e Merkel (i quali nel 2014 guidavano i rispettivi governi) – che gli accordi di Minsk (che avrebbero sancito l’autonomia linguistica nel Donbass sotto sovranità ucraina) erano solo un espediente per guadagnare tempo[4] e consentire all’Ucraina di armarsi in vista di un conflitto con la Russia – lascerebbero supporre il contrario. A tale riguardo, è amaro prendere atto della fredda violazione del diritto internazionale da parte di un paese, la Francia, membro del Consiglio di Sicurezza (CdS) delle Nazioni Unite con diritto di veto, poiché gli accordi di Minsk erano stati approvati dalle Nazioni Unite con apposita Risoluzione del CdS[5]. Analogo sentimento di riprovazione andrebbe manifestato verso la Germania, a cui piace presentarsi quale campione di integrità morale e rispetto delle leggi. Un altro plateale inganno.

D’altra parte, essendo da tempo schiacciate sulle strategie Nato-Usa, le due nazioni non dispongono della libertà necessaria di gestire gli eventi in autonomia: il destino del conflitto (e dei suoi riflessi sistemici) si trova dunque nelle mani del tetra-potere Washington (Nato)-Londra-Varsavia-Kiev: il primo guida le danze, gli altri sono attori non protagonisti.

Todd rileva poi che su un punto le riflessioni di Mearsheimer sono meno convincenti, poiché da buon americano sopravvaluta il suo paese quando spiega che gli Stati Uniti potrebbero digerire anche questa sconfitta, dopo quelle in Vietnam, Afghanistan e per certi versi Iraq e Siria, e che dunque – come menzionato – il conflitto in Ucraina abbia un valore esistenziale solo per Mosca, mentre per Washington non sarebbe altro che un divertissement utile a riempire ancor più le tasche dei produttori di armi, già ricchi per conto loro. I rapporti cruciali di potere, conclude Mearsheimer, non verrebbero sconvolti nemmeno da tale eventuale sconfitta. A suo avviso, in buona sostanza, il postulato della geopolitica americana è basato sull’assunto seguente: gli Stati Uniti possono fare quel che vogliono perché sono al sicuro, geograficamente lontani da ogni minaccia, protetti da due oceani. Dunque, non succederà mai nulla, poiché agli occhi dell’impero nulla è davvero esistenziale. Secondo Todd tale asserzione è erronea, e sarebbe sbagliato per gli Stati Uniti (qui intesi come apparati militari-industriali e la cuspide corporativa, non i 330 milioni di cittadini, affetti da un diffuso analfabetismo politico) perseverare nell’autoconvincimento d’onnipresenza. Essi dovrebbero invece cambiare registro e prendere atto, tra le altre cose, della solidità dell’economia materiale russa (gas, petrolio e materie prime indispensabili al mondo) e della fragilità di quella immateriale fondata in parte eccessiva su valori cartacei.

Se Mosca resistesse all’impianto sanzionatorio dell’Occidente, generando benefici anche per il mondo emergente, sempre più infastidito dal costo di guerre occidentali che non lo riguardano, essendo alle prese con altre priorità (lotta a povertà e sottosviluppo), e se anche l’economia europea uscisse strutturalmente deteriorata dal conflitto, la capacità dell’America di controllare monete e finanza ne risentirebbe drammaticamente. Con la difficoltà a sostenere un’economia di carta e l’enorme deficit commerciale, gli Usa potrebbero dover fronteggiare l’inizio di un declino economico/politico/militare, mentre il mondo vedrebbe l’affermarsi di un crescente multipolarismo. Il terreno perso dall’uno verrebbe conquistato dall’altro, nel tragico gioco a somma zero. Su tale palcoscenico, cinesi, indiani e sauditi, tra gli altri, nascondono a malapena la loro esultanza.

Putin e il passato

L’esercito russo è stato forse sopravvalutato, ma esso resta tuttavia solido e ben equipaggiato. Putin d’altro canto può contare anche su altro. Gli anni ’90 furono un periodo d’inenarrabili sofferenze. Con la presidenza Putin, uno dei pochi collaboratori non corrotti si cui Yeltsin poteva contare, il paese è tornato alla stabilità e alla crescita, recuperando sicurezza e benessere. Sono scesi i tassi di suicidi e omicidi, insieme alla mortalità infantile, oggi sotto quella americana. Nella mente e nella prassi del popolo, Putin incarna tale percorso di recupero. Nel paese non manca chi giudica sbagliata la scelta della guerra, ma la maggioranza concorda con il presidente che questa operazione militare speciale sia un conflitto di natura difensiva. Inoltre, la buona tenuta del sistema economico accresce la fiducia di poter fronteggiare egregiamente l’Occidente collettivo, ovvero Stati Uniti e vassalli europei.

I russi, rileva Todd, hanno rispetto per il popolo e l’esercito ucraini, la cui resistenza avrebbe una spiegazione semplice: essi sono coraggiosi come i russi, mai gli occidentali combatterebbero così bene! Putin punta alla vittoria, ma mira anche al mantenimento della stabilità sociale, e la prima ne è il presupposto. La Russia combatte con uno sguardo al principio del risparmio, di uomini innanzitutto, perché il paese è alle prese con un drammatico calo demografico, la fertilità per donna essendo di 1,5 figli (2,1 è quella minima per non far scendere la popolazione). Se la guerra durerà cinque anni, una durata normale per un conflitto mondiale, occorre allora preservare al massimo la vita dei soldati, futuri padri-famiglia. Sorprende che al governo ucraino tale aspetto importi meno, mandando i soldati allo sbaraglio con scarsa considerazione: il ripiegamento russo a Kherson, dopo quelli a Kharkiv e Kiev, città non strategiche, trova spiegazione anche in questa logica.

Il governo di Mosca non nasconde l’auspicio che le economie europee vengano esaurite, poiché esse sono fragili, esposte sull’energia e guidate da governi non sovrani. La strategia russa è dunque intellegibile perché basata su una logica razionale, seppure dura, per usare l’aggettivo di Todd, mentre le incognite sarebbero altrove. Secondo alcuni critici, Mosca non avrebbe ragione a definire il conflitto ucraino come una guerra difensiva, poiché nessun paese ha tentano d’invadere la Russia. Secondo Todd, tuttavia, uno sguardo alla mappa del mondo evidenzia l’accerchiamento al quale la Federazione deve far fronte. Basi militari, dispiegamento di missili, navi, sommergibili Nato-Usa, tutti convergono sul territorio russo, un assedio iniziato ben prima del 24 febbraio 2022. Mentre le trincee dei due eserciti in guerra si trovano a 8400 chilometri da Washington, esse sono invece a soli 130 chilometri dal confine russo.

La dimensione mondiale

Il 75% dei paesi membri delle Nazioni Unite non applica le sanzioni dell’Occidente a guida Usa (rappresentanti 6,5 miliardi di persone i primi, 1,5 miliardi i secondi). I media occidentali si mostrano al riguardo tragicamente diversivi, oltre che divertenti, quando fanno rimarcare l’isolamento della Russia sul piano internazionale.

Jaishankar, ex-ministro indiano degli Affari Esteri (nel suo libro The India Way), pubblicato poco prima del febbraio 2022, ritiene che il confronto Cina-Stati Uniti, sulla scorta della debolezza di questi ultimi, darà più spazio a paesi come l’India e altri, ma non gli europei. Molti paesi hanno preso atto del pur relativo declino statunitense, ma non Europa e Giappone. Ciò avviene, riflette Todd, perché un riflesso del ritracciamento imperiale è la necessità di rafforzare la presa sui paesi-colonie. Ne La Grande Scacchiera Brzezi?ski ripercorre le tappe della formazione dell’impero americano al termine del secondo conflitto mondiale con la sconfitta/conquista di Germania e Giappone, divenuti da allora protettorati (questi dispongono di governi formalmente autonomi, diversamente dalle colonie, che sono invece guidate da governatori nominati). I primi a perdere l’autonomia furono inglesi e australiani (e ancor prima i canadesi). All’interno dell’anglosfera l’intreccio funzionale è tale che le loro élite politiche, mediatiche e accademiche sono ormai integrate nell’universo valoriale americano. Il continente europeo è parzialmente protetto dalle lingue nazionali, ma la sua cessione di sovranità è stata comunque profonda e nelle condizioni date è irreversibile. Solo pochi anni orsono, valutando l’inopportunità della guerra in Iraq, a Chirac, Schröder e Putin era consentito organizzare conferenze-stampa congiunte, esprimendosi in modo critico. Un tale scenario è oggi fantascienza.

Alcuni analisti fanno notare che il Pil (Prodotto interno lordo) della Russia è inferiore a quello della Spagna e dunque potere economico e capacità di resistenza sono sopravvalutate. Anche a tale riguardo, annota Todd, la guerra è un grande rivelatore. Il Pil combinato di Russia e Bielorussia rappresenta solo il 3,3% di quello dei paesi occidentali (Stati Uniti, Anglosfera, Europa, Giappone, Corea del Sud), sulla carta dunque incomparabile. Ciò induce a chiedersi come possa la Russia far fronte a un conflitto così gravoso, continuando a produrre armi sofisticate senza ridurre il benessere dei cittadini.  La spiegazione è legata alla struttura materiale dell’economia russa, la cui natura è messa in ombra dalla narrazione occidentale. Il Pil è una misura fittizia della produzione. Se a quello degli Stati Uniti si sottrae l’enorme spesa sanitaria, la ricchezza prodotta da avvocati, il costo dei penitenziari (i più affollati al mondo), i servizi pagati con carta-moneta, il prodotto di 20.000 accademici-economisti con stipendi di 120.000 dollari, emerge all’evidenza che una parte cospicua del Pil statunitense è solo vapore acqueo.

La guerra in Ucraina ci obbliga a guardare con maggior attenzione all’economia reale, secondo la quale la vera ricchezza di una nazione è costituita dalla capacità di produrre. Sulla base di tale postulato, l’economia russa è quanto mai solida. Nel 2014, sono state adottate le prime serie sanzioni contro la Russia. Da allora, la produzione di grano è passata da 40 milioni di tonnellate a 90 nel 2020. Negli Stati Uniti, grazie alle politiche neoliberiste, dal 1980 al 2020 la produzione di grano è scesa da 80 a 40 milioni di tonnellate. La Russia è diventata anche il più grande esportatore di centrali nucleari. Nel 2007, secondo gli americani, la Russia era in tale stato di disfacimento che anche la sua forza militare e nucleare ne avrebbe risentito profondamente. Oggi Mosca dispone di missili ipersonici, anche nucleari, più potenti di quelli americani e mostra una straordinaria capacità di crescere e adattarsi. Quando si vuole irridere alle economie centralizzate, se ne enfatizza la rigidità, e quando si vuol glorificare il capitalismo, se ne loda la flessibilità. Bene. Per garantire flessibilità a un sistema economico sono necessari adeguati meccanismi di mercato, finanziari e monetari. Ma prima ancora è necessario disporre di forza lavoro e competenze. La popolazione degli Stati Uniti è oltre il doppio di quella della Russia (2,2 volte nelle fasce di età studentesche). Tuttavia, con percentuali comparabili di giovani nell’istruzione superiore, negli Stati Uniti il 7% studia ingegneria, in Russia il 25%. Con un numero 2,2 volte inferiore di studenti, i russi formano il 30% in più di ingegneri. Gli Stati Uniti cercano di attrarre studenti stranieri, che sono per lo più indiani o cinesi, un numero peraltro in diminuzione. Uno dei dilemmi paradossali della loro economia riguarda la competizione strategica con la Repubblica Popolare Cinese, che viene affrontata importando professionisti qualificati proprio dalla Cina. Quanto alla Russia, essa riproduce sotto tale profilo il modello cinese, poiché i settori fondamentali della sua economia sono controllati dallo stato, che tiene a bada in tal modo la pervasività del corporativismo internazionale (e dunque americano-centrico). In buona sostanza, Putin accetta le regole del mercato, ma si riserva la facoltà d’intervento dello stato a garanzia degli interessi collettivi e dunque anche, per quanto riguarda la guerra, della formazione professionale di maestranze essenziali allo sviluppo industriale, civile e militare del paese.

Alcuni in Russia reputano che V. Putin abbia fatto cattivo uso delle risorse disponibili, perché l’economia resterebbe debole e dipendente dall’esterno. Se così fosse, invero, la guerra non sarebbe nemmeno iniziata, elabora Todd. Ciò che rende incerto l’esito del conflitto è semmai il rapporto tra tecnologie militari avanzate e produzioni di massa. Certo, gli Stati Uniti dispongono di armi sofisticate, che sono poi quelli che consentono all’esercito ucraino di resistere. Tuttavia, in una guerra di logoramento che coinvolge ampie risorse umane e materiali, la differenza si misurerà sulla maggiore disponibilità di armamenti di fascia medio-bassa. Nell’attuale globalizzazione fondata sul profitto a ogni costo, l’Occidente ha delocalizzato molte attività industriali, comprese quelle militari o legate alla sicurezza. L’esito della guerra dunque si giocherà sulla capacità di produrre armamenti in quantità costante ed elevata.

Epilogo

In Occidente il conflitto viene presentato anche come una battaglia per la difesa di valori politici (democrazia contro autocrazia), mentre per la Russia, e non solo, esso ha una valenza antropologica, oltre che geopolitica. La Russia si è formata su strutture e valori centrati sul comunitarismo e la famiglia, che sopravvivono tuttora, sebbene in forma moderna. Il patriottismo russo sorge dal subconscio di una nazione che s’identifica con la struttura famigliare, in prevalenza di tipo patri-lineare, dove il genere maschile copre un ruolo centrale. Essa fa fatica ad aderire a quelle innovazioni di genere accettate in Occidente (la Duma ha approvato una legislazione assai restrittiva in merito). Se sotto il profilo della tolleranza sociologica si tratta di una postura discutibile, il 75% del pianeta condivide però tale centralità patri-lineare ed è dunque simpatetica con le posizioni russe. Per il non-Occidente, la Russia esprime valori conservatori, ma rassicuranti.

Sul piano geopolitico contano molto le disponibilità di energia, il potere militare, la produzione industriale e di armamenti, e via dicendo. Ad essa va tuttavia abbinata la dimensione ideologica e culturale, il soft power. L’Urss è stata una formidabile calamita per tutela politica, militare e ideologica, influenzando numerosi paesi, anche occidentali, italiani, francesi, cinesi, vietnamiti, sudamericani, e via dicendo. Il comunismo era però osteggiato nel mondo musulmano per il suo ateismo e ispirava scarsa simpatia in un paese come l’India (a parte il Bengala occidentale e il Kerala), che avrebbe dovuto essere attratto dalla calamita socialista. Ecco, al confronto, la Russia odierna, erede della statualità sovietica, sembrerebbe disporre di armi di seduzione più efficaci, perché si è riposizionata quale grande potenza anticolonialista, ma allo stesso tempo patri-lineare e conservatrice.

Gli americani accusano di tradimento l’Arabia Saudita perché contraria ad aumentare la disponibilità di petrolio diminuita a causa del conflitto, schierandosi di fatto con Mosca. Nella Russia odierna, invero, i sauditi vedono non solo cointeressenze, ma anche una possibile condivisione di valori conservatori. La guerra in Ucraina, in definitiva, ha accelerato l’affermarsi di un multipolarismo sia politico-economico che culturale. Essa ha aperto la strada ad accostamenti di natura antropologica tra nazioni resistenti all’impero unipolare, con riflessi ora poco intellegibili, ma che allargheranno ancor più il fossato da un Occidente destinato a non essere più il cuore del mondo.


[1] https://www.lefigaro.fr/vox/monde/emmanuel-todd-la-troisieme-guerre-mondiale-a-commence-20230112

[2] https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-alberto_bradanini__come_opera_la_macchina_della_propaganda/39602_48347/

[3] Konstantin Gavrilov, capo della delegazione russa ai negoziati di Vienna sulla sicurezza militare e il controllo degli armamenti, ha dichiarato all’Osce (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa): Sappiamo che i carri armati Leopard 2, così come i veicoli da combattimento blindati Bradley e Marder, possono utilizzare proiettili all’uranio impoverito[3] in grado di contaminare il terreno, proprio come era accaduto in Jugoslavia e in Iraq. Se Kiev dovesse essere rifornita di tali munizioni per l’utilizzo in mezzi militari pesanti occidentali, lo considereremmo come un attacco con ‘bombe nucleari sporche’ contro la Russia, con tutte le conseguenze del caso. Il governo statunitense e la Nato hanno stoccato in Europa munizioni al berillio e all’uranio impoverito. Il cannone M-242 montato sui Bradley, che secondo Voice of America, arriveranno presto in Ucraina, utilizza munizioni all’uranio impoverito (UI), così come i carri britannici Challenger. L’UI è stato utilizzato in Afghanistan e in Iraq, nelle munizioni per aerei, carri armati e veicoli da combattimento[3], come riporta Iraq Veterans Against the War.Durante l’invasione di quel paese, il governo statunitense aveva autorizzato l’uso dei proiettili all’UI anche nei quartieri civili. Il gruppo pacifista olandese Pax ha ottenuto le coordinate dei siti iracheni dove jet e carri armati statunitensi avevano scaricato 10.000 proiettili all’UI nel solo 2003,” (The Guardian, 2014). Se si tenta di verificare tali informazioni sul sito dell’IKV Pax Christi, una pagina avverte che il sito è pericoloso e potrebbe essere hackerato. In altre parole, le notizie sull’UI in Iraq e Afghanistan, comprese quelle riguardanti gravi danni alla salute delle persone e  malformazioni neonatali, non possono essere di dominio pubblico. Gavrilov, il Ministro degli Esteri Sergey Lavrov e il presidente della Duma, Vyacheslav Volodin, hanno segnalato che la consegna di missili a lunga gittata all’Ucraina porterà ad un disastro globale e misure di ritorsione da parte di Mosca con l’uso di armi più potenti. Nelle parole di Gavrilov Mosca intraprenderà dure azioni di ritorsione se il governo statunitense persisterà nel consegnare a Kiev missili a lungo raggio e munizioni all’uranio impoverito, che la Russia considera alla stregua di bombe nucleare sporche.

[4] https://contropiano.org/news/internazionale-news/2022/12/11/angela-merkel-ricordi-e-bugie-sugli-accordi-di-minsk-0155287

[5] https://press.un.org/en/2015/sc11785.doc.htmAlberto Bradanini

Alberto Bradanini

Alberto Bradanini è un ex-diplomatico. Tra i molti incarichi ricoperti, è stato anche Ambasciatore d’Italia a Teheran (2008-2012) e a Pechino (2013-2015). È attualmente Presidente del Centro Studi sulla Cina Contemporanea.

Ucraina: Tutte le maschere sono cadute

Nel gennaio 2023, tutte le maschere sono state gettate via. Le élite euro-atlantiche, motivate dopo gli incontri di Davos, hanno capito che non c’era più bisogno di coprire le loro vere intenzioni con appelli ipocriti a “salvare la giovane democrazia ucraina per il bene della pace nel mondo”. Sempre più rappresentanti del cosiddetto “miliardo d’oro” dell’Occidente riconoscono i veri obiettivi della politica bellicosa che conducono da decenni contro la Russia, ossia la distruzione dell’integrità della Federazione Russa come Stato e la privazione del popolo russo della statualità per ottenere il controllo su enormi risorse che “per qualche ingiustizia storica appartengono ai barbari russi”. Il destino dello Stato ucraino e la vita della sua popolazione sono di scarso interesse per loro, perché in caso di vittoria, il suo territorio fertile diventerà un piacevole bonus.

Le élite euro-atlantiche hanno scatenato e stanno conducendo una guerra aggressiva contro la Federazione Russa per i loro interessi personali. Inoltre, il continuo sviluppo del conflitto militare, la mancanza di volontà politica dell’Occidente di risolverlo e il rafforzamento della retorica bellicosa con il riconoscimento dei veri obiettivi della guerra indicano che queste élite sono pronte a intensificare il conflitto fino alla terza guerra mondiale, e nemmeno la minaccia nucleare li fermerà.

Il 20 gennaio, in occasione di una cerimonia a Madrid, Josep Borrel ha ricordato le grandi vittorie della Russia su Hitler e Napoleone, da cui ha concluso che è necessario continuare ad aumentare la pressione militare su di essa. Con la sua dichiarazione, il capo della diplomazia dell’UE ha messo l’Occidente collettivo moderno sullo stesso piano dell'”Occidente collettivo creato da Hitler” e dell'”Occidente collettivo di Napoleone”, entrambi sconfitti dalla Russia.

“La Russia è un grande Paese, è abituata a combattere fino alla fine, è abituata quasi a perdere e poi a ripristinare tutto. Lo hanno fatto con Napoleone, lo hanno fatto con Hitler. Sarebbe assurdo pensare che la Russia abbia perso la guerra o che i suoi militari siano incompetenti. Pertanto, è necessario continuare ad armare l’Ucraina”.

Le dichiarazioni di Borrel non hanno fatto scalpore. Non è stato il primo a esprimere tali minacce alla Russia. Tuttavia, la recente dichiarazione è diventata una delle più esplicite. Ha espresso il vero obiettivo della compagnia militare dell’Occidente, che è la distruzione della Russia e il sequestro dei suoi territori, come Hitler e Napoleone avevano già tentato di fare.

Tra le rivelazioni dei leader occidentali, le parole del vice primo ministro e ministro delle Finanze canadese Chrystia Freeland sono sembrate particolarmente interessanti al forum di Davos. Anche lei ha sostenuto la posizione di Borrel, specificando che la sconfitta della Russia “sarebbe un’enorme spinta per l’economia globale”. La Freeland, il cui nonno era membro del gruppo nazionalista OUN-UPA di Andrei Melnik, è salita alla ribalta più volte negli ultimi anni parlando a sostegno dei nazisti ucraini e facendo dichiarazioni russofobe.

La vittoria dell’Ucraina nella guerra contro la Russia di quest’anno “sarebbe un’enorme spinta per l’economia globale”, afferma Chrystia Freeland, vice premier di Trudeau e membro del consiglio di amministrazione del WEF.

“Questa è la guerra per le risorse del XXI secolo, in scala reale e semplice”. Così la portavoce del Ministero degli Esteri russo ha commentato le sue affermazioni.

Tra la retorica bellicosa dell’Occidente e la continua sconfitta dell’esercito ucraino sul campo di battaglia, l’inizio dell’anno 2023 è stato segnato anche dal rafforzamento del sostegno militare al regime fantoccio di Kiev.

Mentre l’Europa cerca nei magazzini i carri armati per i soldati ucraini, Washington ha già annunciato un nuovo pacchetto di aiuti militari da 2,5 miliardi di dollari.

La NATO e Washington non nascondono più che non solo mantengono l’esercito ucraino, ma forniscono anche le informazioni di intelligence necessarie, comandano le truppe ucraine sul campo di battaglia e hanno assunto il controllo del processo decisionale militare. I principali media statunitensi riportano spesso che “gli Stati Uniti hanno raccomandato all’esercito ucraino di ritirarsi da Bakhmut” o che “gli Stati Uniti stanno aiutando a pianificare operazioni di controffensiva in Ucraina”. Secondo quanto riportato, gli Stati Uniti aiuteranno l’Ucraina a pianificare controffensive per riprendere i “territori occupati, compresa la Crimea”.

“La Russia non ha cercato di inasprire il conflitto, ma i Paesi occidentali, guidati dagli Stati Uniti, hanno oltrepassato le linee rosse e hanno iniziato a rappresentare una minaccia per i nostri interessi nazionali. Ora gli Stati Uniti parlano di sostenere l’aggressione ucraina contro la Crimea e i nuovi territori russi. Ma il regime di Kiev deve rendersi conto che il sostegno dei Paesi occidentali si ritorcerà contro di lui e contro l’Ucraina. Più i Paesi occidentali interferiscono negli affari dell’Ucraina, più il confine della nostra operazione speciale si sposterà per creare una zona cuscinetto e proteggere il nostro Paese dai vicini nemici”. Così il deputato della Duma di Stato della Federazione Russa proveniente dalla regione della Crimea Mikhail Sheremet ha commentato la questione.

Le azioni degli Stati Uniti e dei loro alleati europei stanno portando il mondo verso una catastrofe globale. Se Washington e i Paesi della NATO forniscono armi che saranno utilizzate per attaccare città pacifiche e tentare di impadronirsi dei territori russi, questo porterà a misure di ritorsione da parte dell’esercito russo che utilizzerà armi più potenti. Con le loro decisioni, Washington e Bruxelles stanno portando il mondo verso una guerra che sarà completamente diversa dalle ostilità in corso oggi, quando gli attacchi vengono effettuati esclusivamente su strutture militari e infrastrutture strategiche utilizzate dal regime di Kiev.

Le argomentazioni secondo cui non esiste una minaccia nucleare, poiché le potenze nucleari non hanno mai usato armi di distruzione di massa in conflitti locali, sono insostenibili perché questi Stati non hanno mai affrontato una minaccia alla sicurezza dei propri cittadini e all’integrità territoriale, come invece fa oggi la NATO minacciando la Russia.

L’inasprimento della retorica occidentale, fino a vere e proprie minacce di guerra e distruzione dello Stato russo, è stato chiaramente percepito a Mosca.

La leadership politica russa, che fino a poco tempo fa cercava di mantenere un dialogo con i “partner occidentali” basato sui principi della politica reale o almeno del diritto internazionale di base, sembra aver cambiato posizione.

Dopo un anno di ostilità in Ucraina, è diventato chiaro che l’attuale conflitto è stato orchestrato dall’Occidente collettivo non solo negli ultimi 8 anni, ma decenni fa, quando già nel 2004 era diventato evidente che la Russia stava cercando di uscire dalle catene neocoloniali del periodo post-sovietico. Di conseguenza, Mosca ha finalmente accettato le regole del gioco imposte dall’Occidente e chiarisce che, da parte sua, non vede più il modo di risolvere pacificamente le contraddizioni accumulate con i Paesi della NATO ed è pronta a entrare in una guerra su larga scala.

La recente conferenza stampa del ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov, che ha riassunto i risultati della diplomazia russa nel 2022, ne è stata un chiaro esempio. Il ministro russo ha descritto la situazione attuale con estrema durezza:

Quello che sta accadendo ora in Ucraina è il risultato dei preparativi degli Stati Uniti e dei loro satelliti per l’inizio di una guerra ibrida globale contro la Federazione Russa. Nessuno nasconde questo fatto. Lo dimostrano le dichiarazioni di politologi, scienziati e politici occidentali imparziali. In un suo recente articolo, Ian Bremmer, professore di scienze politiche alla Columbia University, ha scritto: “Non siamo in una guerra fredda con la Russia. Siamo in una guerra calda con la Russia. Ora è una guerra per procura. E la NATO non la sta combattendo direttamente. La stiamo combattendo attraverso l’Ucraina”. Questa ammissione è franca e questa conclusione è in superficie. È strano che alcuni cerchino di confutarla. Recentemente, il Presidente della Croazia Zoran Milanovic ha affermato che questa è una guerra della NATO. Una dichiarazione aperta e onesta. Diverse settimane fa, Henry Kissinger (prima di esortare la NATO ad accettare l’Ucraina nel suo recente articolo) ha scritto a chiare lettere che gli eventi in Ucraina sono uno scontro, una rivalità tra due potenze nucleari per il controllo di quel territorio. È abbastanza chiaro cosa intendesse.

I nostri partner occidentali sono astuti e cercano con veemenza di dimostrare che non stanno combattendo la Russia, ma stanno solo aiutando l’Ucraina a rispondere a un'”aggressione” e a ripristinare la sua integrità territoriale. L’entità del loro sostegno rende chiaro che l’Occidente ha puntato molto sulla sua guerra contro la Russia; questo è ovvio.

Gli eventi che circondano l’Ucraina hanno portato alla luce la spinta implicita degli Stati Uniti ad abbandonare i tentativi di rafforzare la propria posizione globale con mezzi legittimi e ad adottare metodi illegittimi per garantire il proprio dominio. Tutto è lecito. I meccanismi e le istituzioni un tempo venerati, creati dall’Occidente guidato dagli Stati Uniti, sono stati scartati (e non per quello che stiamo vedendo in Ucraina). Il libero mercato, la concorrenza leale, la libera impresa, l’inviolabilità della proprietà e la presunzione di innocenza, in una parola, tutto ciò su cui si basava il modello di globalizzazione occidentale è crollato da un giorno all’altro. Sono state imposte sanzioni alla Russia e ad altri Paesi discutibili che non rispettano questi principi e meccanismi. È chiaro che le sanzioni possono essere imposte in qualsiasi momento a qualsiasi Paese che, in un modo o nell’altro, si rifiuta di seguire pedissequamente gli ordini americani.

L’Unione Europea è stata completamente assorbita da questa dittatura statunitense (non ha senso parlarne a lungo)…

Come Napoleone, che mobilitò quasi tutta l’Europa contro l’Impero russo, e Hitler, che occupò la maggior parte dei Paesi europei e li scagliò contro l’Unione Sovietica, gli Stati Uniti hanno creato una coalizione di quasi tutti gli Stati europei membri della NATO e dell’UE e stanno usando l’Ucraina per condurre una guerra per procura contro la Russia con il vecchio obiettivo di risolvere definitivamente la “questione russa”, come Hitler, che cercava una soluzione definitiva alla “questione ebraica”. …

(Conferenza stampa del ministro degli esteri russo Lavrov del 18 gennaio 2023)

Recentemente sono stati segnalati alcuni cambiamenti nella leadership politica e militare russa. In particolare, sono stati cambiati alcuni funzionari che occupano posizioni di vertice in organismi politici chiave come l’amministrazione presidenziale, il Consiglio di sicurezza, i servizi speciali, ecc. Sono state avviate ispezioni per chiarire la conformità di diversi funzionari di alto rango alle loro posizioni, i loro legami con l’estero e la verifica di eventuali azioni di corruzione.

Cambiamenti sono avvenuti anche nel Ministero della Difesa russo. Il generale dell’esercito Valery Gerasimov è stato nominato comandante del gruppo di truppe russe nella zona dell’operazione militare speciale (SVO) in Ucraina. Ha combattuto i militanti ceceni alla testa dell’esercito, ha organizzato un’operazione in Siria e dal novembre 2012 è a capo dello Stato Maggiore delle Forze Armate russe. I cambiamenti nel comando militare russo potrebbero indicare la nuova fase delle ostilità in Ucraina. Inoltre, nuovi generali sono stati nominati in una serie di altre posizioni chiave del Ministero della Difesa.

A gennaio, le forze armate russe hanno iniziato a rafforzare in modo risoluto il sistema di difesa aerea nella capitale. Negli ultimi giorni sono stati ampiamente condivisi online filmati di nuovi sistemi di difesa aerea dispiegati vicino ai centri decisionali, come il Cremlino di Mosca e l’edificio del Ministero della Difesa.

Tutto ciò riflette un cambiamento nella visione del Cremlino dei processi in corso e la sua disponibilità ad affrontare la sfida dell’Occidente. La perseveranza delle élite euro-atlantiche è stata finalmente recepita dalla Russia e ha ricevuto una degna risposta. Purtroppo, la posizione dell’Occidente significa che il mondo non può più sperare in una rapida fine della guerra in Europa. Inoltre, il conflitto rischia di aggravarsi.

FONTE: https://southfront.org/all-masks-thrown-off/

(Traduzione: Cambiailmondo.org)

PER APPROFONDIMENTI:

Ucraina, era tutto scritto nel piano della Rand Corp. “Il piano degli Stati Uniti contro la Russia è stato formulato 3 anni fa”.

Come gli Stati Uniti ottengono nuovi membri della NATO con la sovversione, seguita da un colpo di stato, seguito da una pulizia etnica

Ucraina: La guerra sbagliata

Il sostegno della NATO alla guerra in Ucraina, progettata per degradare l’esercito russo e cacciare Vladimir Putin dal potere, non sta andando secondo i piani. Il nuovo sofisticato hardware militare non aiuterà.

Di Chris Edges (da The Chris Edges Report)

Everything Must Go – Mr. Fish

Gli imperi in declino terminale passano da un fiasco militare all’altro. La guerra in Ucraina, un altro tentativo malriuscito di riaffermare l’egemonia globale degli Stati Uniti, rientra in questo schema. Il pericolo è che, più la situazione si aggrava, più gli Stati Uniti inaspriscono il conflitto, provocando potenzialmente un confronto aperto con la Russia. Se la Russia effettuerà attacchi di rappresaglia alle basi di rifornimento e addestramento nei Paesi NATO vicini, o utilizzerà armi nucleari tattiche, la NATO risponderà quasi certamente attaccando le forze russe. Avremo scatenato la Terza Guerra Mondiale, che potrebbe sfociare in un olocausto nucleare.

Il sostegno militare degli Stati Uniti all’Ucraina è iniziato con le basi: munizioni e armi d’assalto. L’amministrazione Biden, tuttavia, ha presto superato diverse linee rosse autoimposte per fornire un’ondata di macchinari bellici letali: Sistemi antiaerei Stinger; sistemi anti-corazza Javelin; obici trainati M777; razzi GRAD da 122 mm; lanciarazzi multipli M142, o HIMARS; missili Tube-Launched, Optically-Tracked, Wire-Guided (TOW); batterie di difesa aerea Patriot; National Advanced Surface-to-Air Missile Systems (NASAMS); M113 Armored Personnel Carriers; e ora 31 M1 Abrams, come parte di un nuovo pacchetto da 400 milioni di dollari. A questi carri armati si aggiungeranno 14 carri tedeschi Leopard 2A6, 14 carri britannici Challenger 2 e carri armati di altri membri della NATO, tra cui la Polonia. La prossima lista è quella delle munizioni perforanti all’uranio impoverito (DU) e dei jet da combattimento F-15 e F-16.

Dall’invasione russa del 24 febbraio 2022, il Congresso ha approvato oltre 113 miliardi di dollari in aiuti all’Ucraina e alle nazioni alleate che sostengono la guerra in Ucraina. Tre quinti di questi aiuti, 67 miliardi di dollari, sono stati destinati alle spese militari. Sono 28 i Paesi che trasferiscono armi all’Ucraina. Tutti, ad eccezione di Australia, Canada e Stati Uniti, sono in Europa.

Il rapido aggiornamento di hardware militare sofisticato e gli aiuti forniti all’Ucraina non sono un buon segno per l’alleanza NATO. Ci vogliono molti mesi, se non anni, di addestramento per far funzionare e coordinare questi sistemi d’arma. Le battaglie con i carri armati – come reporter ho partecipato all’ultima grande battaglia con i carri armati fuori Kuwait City durante la prima guerra del Golfo – sono operazioni altamente coreografiche e complesse. I carri armati devono lavorare in stretta collaborazione con il potere aereo, le navi da guerra, la fanteria e le batterie di artiglieria. Ci vorranno molti mesi, se non anni, prima che le forze ucraine ricevano un addestramento adeguato per far funzionare queste attrezzature e coordinare le diverse componenti di un campo di battaglia moderno. In effetti, gli Stati Uniti non sono mai riusciti ad addestrare gli eserciti iracheno e afghano alla guerra di manovra ad armi combinate, nonostante due decenni di occupazione.

Nel febbraio 1991 ero con le unità del Corpo dei Marines che hanno spinto le forze irachene fuori dalla città saudita di Khafji. Dotati di un equipaggiamento militare superiore, i soldati sauditi che tenevano Khafji opponevano una resistenza inefficace.

Quando siamo entrati in città, abbiamo visto truppe saudite su autopompe requisite, che scappavano verso sud per sfuggire ai combattimenti. Tutto l’hardware militare di lusso, che i sauditi avevano acquistato dagli Stati Uniti, si è rivelato inutile perché non sapevano come usarlo.

I comandanti militari della NATO sono consapevoli che l’infusione di questi sistemi di armamento nella guerra non modificherà quello che è, nella migliore delle ipotesi, uno stallo, definito in gran parte da duelli di artiglieria su centinaia di chilometri di linea del fronte. L’acquisto di questi sistemi d’arma – un carro armato M1 Abrams costa 10 milioni di dollari se si includono l’addestramento e la manutenzione – aumenta i profitti dei produttori di armi. L’uso di queste armi in Ucraina permette di testarle in condizioni da campo di battaglia, rendendo la guerra un laboratorio per i produttori di armi come Lockheed Martin. Tutto questo è utile alla NATO e all’industria degli armamenti. Ma non è molto utile all’Ucraina.

L’altro problema dei sistemi d’arma avanzati come l’M1 Abrams, che ha motori a turbina da 1.500 cavalli che funzionano con il carburante dei jet, è che sono capricciosi e richiedono una manutenzione altamente qualificata e quasi costante. Non sono indulgenti con chi li utilizza e commette errori; anzi, gli errori possono essere letali. Lo scenario più ottimistico per il dispiegamento dei carri armati M1-Abrams in Ucraina è di sei-otto mesi, più probabilmente di più. Se la Russia lancia una grande offensiva in primavera, come ci si aspetta, gli M1 Abrams non faranno parte dell’arsenale ucraino. Anche quando arriveranno, non modificheranno in modo significativo l’equilibrio di potere, soprattutto se i russi saranno in grado di trasformare i carri armati, gestiti da equipaggi inesperti, in relitti carbonizzati.

Allora perché tutta questa infusione di armi ad alta tecnologia? Possiamo riassumerlo in una parola: panico.

Dopo aver dichiarato una guerra de facto alla Russia e aver chiesto apertamente la rimozione di Vladimir Putin, i protettori della guerra neoconservatori guardano con terrore l’Ucraina che viene martoriata da un’implacabile guerra di logoramento russa. L’Ucraina ha subito quasi 18.000 vittime civili (6.919 morti e 11.075 feriti). Ha inoltre visto distrutto o danneggiato circa l’8% del totale delle sue abitazioni e il 50% delle sue infrastrutture energetiche ha subito un impatto diretto con frequenti interruzioni di corrente. L’Ucraina ha bisogno di almeno 3 miliardi di dollari al mese di aiuti esterni per mantenere a galla la sua economia, ha dichiarato recentemente il direttore generale del Fondo Monetario Internazionale. Quasi 14 milioni di ucraini sono stati sfollati – 8 milioni in Europa e 6 milioni internamente – e fino a 18 milioni di persone, ovvero il 40% della popolazione ucraina, avranno presto bisogno di assistenza umanitaria. L’economia ucraina si è contratta del 35% nel 2022 e, secondo le stime della Banca Mondiale, il 60% degli ucraini vive con meno di 5,5 dollari al giorno. Nove milioni di ucraini sono senza elettricità e acqua a temperature sotto lo zero, ha dichiarato il presidente ucraino. Secondo le stime dello Stato Maggiore degli Stati Uniti, a partire dallo scorso novembre sono stati uccisi in guerra 100.000 soldati ucraini e 100.000 russi.

“La mia sensazione è che ci troviamo in un momento cruciale del conflitto, in cui lo slancio potrebbe spostarsi a favore della Russia se non agiamo con decisione e rapidità”, ha dichiarato l’ex senatore statunitense Rob Portman al World Economic Forum in un post del Consiglio Atlantico. “È necessario un aumento”.

Ribaltando la logica, i sostenitori della guerra affermano che “la più grande minaccia nucleare che abbiamo di fronte è una vittoria russa”. L’atteggiamento cavilloso nei confronti di un potenziale confronto nucleare con la Russia da parte dei sostenitori della guerra in Ucraina è molto, molto spaventoso, soprattutto alla luce dei fallimenti che hanno supervisionato per vent’anni in Medio Oriente.

Gli appelli quasi isterici a sostenere l’Ucraina come baluardo di libertà e democrazia da parte dei mandarini di Washington sono una risposta al palpabile marciume e al declino dell’impero statunitense. L’autorità globale dell’America è stata decimata da crimini di guerra ben pubblicizzati, dalla tortura, dal declino economico, dalla disintegrazione sociale – tra cui l’assalto alla capitale il 6 gennaio scorso, la risposta fallimentare alla pandemia, il calo delle aspettative di vita e la piaga delle sparatorie di massa – e da una serie di debacle militari dal Vietnam all’Afghanistan. I colpi di Stato, gli assassinii politici, i brogli elettorali, la propaganda nera, i ricatti, i rapimenti, le brutali campagne di contro-insurrezione, i massacri sanzionati dagli Stati Uniti, le torture nei siti neri globali, le guerre per procura e gli interventi militari condotti dagli Stati Uniti in tutto il mondo dalla fine della Seconda guerra mondiale non hanno mai portato all’instaurazione di un governo democratico.

Invece, questi interventi hanno causato oltre 20 milioni di morti e hanno generato una repulsione globale per l’imperialismo statunitense.

Nella disperazione, l’impero pompa somme sempre maggiori nella sua macchina da guerra. L’ultima legge di spesa da 1.700 miliardi di dollari include 847 miliardi di dollari per le forze armate; il totale sale a 858 miliardi di dollari se si considerano i conti che non rientrano nella giurisdizione dei comitati per i servizi armati, come il Dipartimento dell’energia, che sovrintende alla manutenzione delle armi nucleari e alle infrastrutture che le sviluppano. Nel 2021, quando gli Stati Uniti avevano un bilancio militare di 801 miliardi di dollari, costituivano quasi il 40% di tutte le spese militari globali, più di quanto i nove Paesi successivi, tra cui Russia e Cina, spendessero per i loro eserciti messi insieme.

Come osservò Edward Gibbon a proposito della fatale brama di guerra infinita dell’Impero Romano: “Il declino di Roma fu l’effetto naturale e inevitabile di una grandezza smodata. La prosperità maturò il principio della decadenza; le cause della distruzione si moltiplicarono con l’estensione delle conquiste; e, non appena il tempo o il caso rimossero i sostegni artificiali, lo stupendo tessuto cedette alla pressione del suo stesso peso. La storia della rovina è semplice e ovvia; e invece di chiedersi perché l’Impero Romano sia stato distrutto, dovremmo piuttosto stupirci che sia esistito così a lungo”.

Uno stato di guerra permanente crea burocrazie complesse, sostenute da politici, giornalisti, scienziati, tecnocrati e accademici compiacenti, che servono ossequiosamente la macchina bellica. Questo militarismo ha bisogno di nemici mortali – gli ultimi sono la Russia e la Cina – anche quando coloro che vengono demonizzati non hanno alcuna intenzione o capacità, come nel caso dell’Iraq, di danneggiare gli Stati Uniti. Siamo ostaggio di queste strutture istituzionali incestuose.

All’inizio di questo mese, le commissioni per i servizi armati di Camera e Senato, ad esempio, hanno nominato otto commissari per rivedere la Strategia di Difesa Nazionale (NDS) di Biden per “esaminare i presupposti, gli obiettivi, gli investimenti nella difesa, la posizione e la struttura delle forze, i concetti operativi e i rischi militari della NDS”. La commissione, come scrive Eli Clifton del Quincy Institute for Responsible Statecraft, è “in gran parte composta da individui con legami finanziari con l’industria degli armamenti e con gli appaltatori del governo degli Stati Uniti, sollevando dubbi sul fatto che la commissione avrà un occhio critico nei confronti degli appaltatori che ricevono 400 miliardi di dollari degli 858 miliardi di dollari del bilancio della difesa per l’anno fiscale 2023”. Il presidente della commissione, osserva Clifton, è l’ex rappresentante Jane Harman (D-CA), che “siede nel consiglio di amministrazione di Iridium Communications, un’azienda di comunicazioni satellitari che si è aggiudicata un contratto settennale da 738,5 milioni di dollari con il Dipartimento della Difesa nel 2019”.

Le notizie sulle interferenze russe nelle elezioni e sui bot russi che manipolano l’opinione pubblica – che il recente reportage di Matt Taibbi sui “Twitter Files” smaschera come un elaborato pezzo di propaganda nera – sono state amplificate acriticamente dalla stampa. Ha sedotto i Democratici e i loro sostenitori liberali a vedere la Russia come un nemico mortale. Il sostegno quasi universale a una guerra prolungata con l’Ucraina non sarebbe stato possibile senza questa truffa.

I due partiti al potere in America dipendono dai fondi per le campagne elettorali dell’industria bellica e subiscono le pressioni dei produttori di armi dei loro Stati o distretti, che danno lavoro ai loro elettori, per approvare bilanci militari mastodontici. I politici sanno bene che sfidare l’economia di guerra permanente significa essere attaccati come antipatriottici e di solito è un atto di suicidio politico.

“L’anima schiava della guerra grida di essere liberata”, scrive Simone Weil nel suo saggio “L’Iliade o il poema della forza”, “ma la liberazione stessa le appare come un aspetto estremo e tragico, l’aspetto della distruzione”.

Gli storici definiscono “micro-militarismo” il tentativo donchisciottesco degli imperi in declino di riconquistare l’egemonia perduta attraverso l’avventurismo militare. Durante la Guerra del Peloponneso (431-404 a.C.) gli Ateniesi invasero la Sicilia, perdendo 200 navi e migliaia di soldati. La sconfitta scatenò una serie di rivolte di successo in tutto l’impero ateniese. L’Impero romano, che al suo apice durò due secoli, divenne prigioniero del suo esercito di un solo uomo che, come l’industria bellica statunitense, era uno Stato nello Stato. Le legioni di Roma, un tempo potenti, nell’ultima fase dell’impero subirono una sconfitta dopo l’altra, estraendo sempre più risorse da uno Stato fatiscente e impoverito. Alla fine, l’élite della Guardia Pretoriana mise all’asta l’impero al miglior offerente. L’Impero britannico, già decimato dalla follia militare suicida della Prima Guerra Mondiale, esalò il suo ultimo respiro nel 1956, quando attaccò l’Egitto in una disputa sulla nazionalizzazione del Canale di Suez. La Gran Bretagna si ritirò umiliata e divenne un’appendice degli Stati Uniti. Una guerra decennale in Afghanistan segnò il destino di un’Unione Sovietica ormai decrepita.

“Mentre gli imperi in ascesa sono spesso accorti, persino razionali, nell’uso della forza armata per la conquista e il controllo dei domini d’oltremare, gli imperi in declino sono inclini ad esibizioni di potere sconsiderate, sognando audaci capolavori militari che possano in qualche modo recuperare il prestigio e il potere perduti”, scrive lo storico Alfred W. McCoy nel suo libro “In the Shadows of the American Century: The Rise and Decline of US Global Power”. “Spesso irrazionali anche da un punto di vista imperiale, queste micro-operazioni militari possono produrre un’emorragia di spese o umilianti sconfitte che non fanno altro che accelerare il processo già in atto”.

Il piano di rimodellare l’Europa e l’equilibrio di potere globale degradando la Russia si sta rivelando simile al piano fallito di rimodellare il Medio Oriente. Sta alimentando una crisi alimentare globale e devastando l’Europa con un’inflazione quasi a due cifre. Sta mettendo a nudo l’impotenza, ancora una volta, degli Stati Uniti e la bancarotta degli oligarchi al potere. Come contrappeso agli Stati Uniti, nazioni come la Cina, la Russia, l’India, il Brasile e l’Iran si stanno staccando dalla tirannia del dollaro come valuta di riserva mondiale, una mossa che scatenerà una catastrofe economica e sociale negli Stati Uniti. Washington sta fornendo all’Ucraina sistemi di armamento sempre più sofisticati e aiuti per miliardi e miliardi nel futile tentativo di salvare l’Ucraina ma, soprattutto, di salvare se stessa.

(Traduzione Cambiailmondo.org)

FONTE: https://chrishedges.substack.com/p/ukraine-the-war-that-went-wrong?utm_source=twitter&utm_campaign=auto_share&r=1afom

Il generale tedesco Vad: L’est ucraino vuole stare coi russi. Gli Usa mettano fine a questa follia.

Erich Vad: Quali sono gli obiettivi di guerra?

Erich Vad è un ex generale di brigata. Dal 2006 al 2013 è stato consigliere per la politica militare del cancelliere tedesco Angela Merkel. È una delle rare voci che si è pronunciata pubblicamente contro le forniture di armi all’Ucraina fin dall’inizio, senza strategie politiche e sforzi diplomatici. Anche ora sta dicendo una verità scomoda.

di Annika Ross (dalla rivist Emma.de)

Signor Vad, cosa ne pensa della consegna dei 40 Marder all’Ucraina appena annunciata dal Cancelliere Scholz?
Si tratta di un’escalation militare, anche nella percezione dei russi – anche se il Marder, vecchio di oltre 40 anni, non è un’arma miracolosa. Stiamo scendendo su una china scivolosa. Questo potrebbe sviluppare una dinamica che non possiamo più controllare. Naturalmente era ed è giusto sostenere l’Ucraina e naturalmente l’invasione di Putin non è conforme al diritto internazionale – ma ora bisogna finalmente considerare le conseguenze!

E quali potrebbero essere queste conseguenze?
L’intenzione è quella di ottenere la disponibilità a negoziare fornendo carri armati? Vogliono riconquistare il Donbass o la Crimea? O vogliono sconfiggere del tutto la Russia? Non esiste una definizione realistica di stato finale. E senza un concetto politico e strategico generale, le consegne di armi sono puro militarismo.

Che cosa significa?
Abbiamo una situazione di stallo militare che non possiamo risolvere militarmente. Per inciso, questa è anche l’opinione del Capo di Stato Maggiore americano, Mark Milley. Ha affermato che non ci si può aspettare una vittoria militare per l’Ucraina e che i negoziati sono l’unica strada possibile. Qualsiasi altra cosa significherebbe un dispendio insensato di vite umane.

La dichiarazione del generale Milley ha provocato molta rabbia a Washington ed è stata anche pesantemente criticata pubblicamente.
Ha detto una verità scomoda. Una verità, tra l’altro, che non è stata quasi per nulla pubblicata dai media tedeschi. L’intervista a Milley da parte della CNN non è apparsa da nessuna parte, eppure è il Capo di Stato Maggiore della principale potenza occidentale. Quella che si sta conducendo in Ucraina è una guerra di logoramento. È una guerra di logoramento, con quasi 200.000 soldati uccisi e feriti da entrambe le parti, 50.000 morti tra i civili e milioni di rifugiati. Milley ha così tracciato un parallelo con la Prima guerra mondiale che non potrebbe essere più azzeccato. Nella Prima Guerra Mondiale, il cosiddetto “Mulino di sangue di Verdun”, concepito come una battaglia di logoramento, portò alla morte di quasi un milione di giovani francesi e tedeschi. All’epoca caddero per nulla. Il rifiuto delle parti in guerra di negoziare ha portato a milioni di morti in più. Questa strategia non ha funzionato militarmente allora – e non funzionerà adesso.

Anche lei è stato attaccato per aver chiesto un negoziato.
Sì, come l’ispettore generale della Bundeswehr, il generale Eberhard Zorn, che, come me, ha messo in guardia dal sopravvalutare le offensive regionali limitate degli ucraini nei mesi estivi. Gli esperti militari – che sanno cosa succede tra i servizi di intelligence, cosa sembra sul campo e cosa significa veramente la guerra – sono in gran parte esclusi dal discorso. Non si adattano alla formazione delle opinioni da parte dei media. In larga misura, stiamo assistendo a un conformismo mediatico che non ho mai visto prima nella Repubblica Federale Tedesca. Questa è pura speculazione. E non per conto dello Stato, come è noto nei regimi totalitari, ma per puro spirito di protagonismo.

Sono tutti attaccati dai media su un ampio fronte, dalla BILD alla FAZ e allo Spiegel, e così anche le 500.000 persone che hanno firmato la Lettera aperta al Cancelliere promossa da Alice Schwarzer.
Proprio così. Fortunatamente, Alice Schwarzer ha i suoi media indipendenti per poter aprire questo discorso. Probabilmente non avrebbe funzionato con i principali media. La maggioranza della popolazione è contraria a ulteriori forniture di armi da molto tempo e secondo gli ultimi sondaggi. Ma nulla di tutto ciò viene riportato. Non c’è più un discorso equo e aperto sulla guerra in Ucraina, e lo trovo molto preoccupante. Questo dimostra quanto avesse ragione Helmut Schmidt. In una conversazione con il Cancelliere Merkel ha detto: “La Germania è e rimane una nazione a rischio”.

Qual è la sua valutazione della politica del Ministro degli Esteri?
Le operazioni militari devono sempre essere collegate ai tentativi di trovare soluzioni politiche. La monodimensionalità dell’attuale politica estera è difficile da sopportare. È molto incentrato sulle armi. Ma il compito principale della politica estera è e rimane la diplomazia, la riconciliazione degli interessi, la comprensione e la risoluzione dei conflitti. Questo è ciò che mi manca qui. Sono felice che finalmente in Germania ci sia un ministro degli Esteri donna, ma non basta fare retorica di guerra e andare in giro per Kiev o per il Donbass indossando elmetto e giubbotto antiproiettile. Non è sufficiente.

Eppure Baerbock è un membro dei Verdi, l’ex partito della pace.
Non capisco la mutazione dei Verdi da partito pacifista a partito di guerra. Io stesso non conosco nessun Verde che abbia fatto il servizio militare. Anton Hofreiter è per me il miglior esempio di questo doppio standard. Antje Vollmer, invece, che annovererei tra i Verdi “originali”, chiama le cose con il loro nome. E il fatto che un singolo partito abbia così tanta influenza politica da poterci manovrare in una guerra è molto preoccupante.

Se il Cancelliere Scholz l’avesse sostituita al suo predecessore e lei fosse ancora il consigliere militare del Cancelliere, cosa gli avrebbe consigliato di fare nel febbraio 2022?
Gli avrei consigliato di sostenere militarmente l’Ucraina, ma in modo misurato e prudente, per evitare di scivolare sulla china scivolosa di un partito di guerra. E gli avrei consigliato di influenzare il nostro più importante alleato politico, gli Stati Uniti. La chiave per la soluzione della guerra risiede infatti a Washington e a Mosca. Mi è piaciuto il percorso del Cancelliere negli ultimi mesi. Ma i Verdi, l’FDP e l’opposizione borghese – affiancati da un accompagnamento mediatico ampiamente unanime – stanno esercitando una pressione tale che il cancelliere difficilmente può assorbirla.

E se venisse consegnato anche il Leopard?
Si ripropone quindi la domanda su cosa dovrebbe accadere con le consegne dei carri armati. Per conquistare la Crimea o il Donbass, il Marder e il Leopard non sono sufficienti. Nell’Ucraina orientale, nella zona di Bachmut, i russi sono chiaramente in avanzata. Probabilmente tra non molto avranno conquistato completamente il Donbass. Basta considerare la superiorità numerica dei russi rispetto all’Ucraina. La Russia può mobilitare fino a due milioni di riservisti. L’Occidente può inviare 100 Marder e 100 Leopard, ma non cambierà la situazione militare generale. E la domanda più importante è come superare un simile conflitto con una potenza nucleare belligerante – tra l’altro, la più forte potenza nucleare del mondo! – senza entrare in una terza guerra mondiale. E questo è esattamente ciò che i politici e i giornalisti qui in Germania non pensano!

L’argomentazione è che Putin non vuole negoziare e che bisogna metterlo all’angolo per evitare che continui a infierire sull’Europa.
È vero che bisogna dare un segnale ai russi: Fin qui e non oltre! Non si può permettere che una simile guerra di aggressione continui. Per questo è giusto che la NATO aumenti la sua presenza militare a est e che la Germania si unisca a essa. Ma il rifiuto di Putin di negoziare non è sostenibile. Sia i russi che gli ucraini erano pronti per un accordo di pace all’inizio della guerra, a fine marzo, inizio aprile 2022. Poi non se ne fece nulla. Dopo tutto, anche l’accordo sul grano è stato negoziato durante la guerra da russi e ucraini con il coinvolgimento delle Nazioni Unite.

Ora la morte continua.
Si può continuare a logorare i russi, il che significa centinaia di migliaia di morti, ma da entrambe le parti. E significa l’ulteriore distruzione dell’Ucraina. Cosa resta di questo paese? Sarà raso al suolo. In definitiva, anche questa non è più un’opzione per l’Ucraina. La chiave per risolvere il conflitto non sta a Kiev, né a Berlino, Bruxelles o Parigi, ma a Washington e Mosca. È ridicolo dire che l’Ucraina deve decidere.

Con questa interpretazione, in Germania si viene subito considerati teorici della cospirazione…
Io stesso sono un atlantista convinto. Vi dirò onestamente che, nel dubbio, preferirei vivere sotto un’egemonia americana piuttosto che sotto una russa o cinese. All’inizio, questa guerra era solo una disputa politica interna all’Ucraina. È iniziata nel 2014, tra i gruppi etnici di lingua russa e gli stessi ucraini. È stata quindi una guerra civile. Ora, dopo l’invasione della Russia, è diventata una guerra interstatale tra Ucraina e Russia. È anche una lotta per l’indipendenza dell’Ucraina e la sua integrità territoriale. È tutto vero. Ma non è tutta la verità. Si tratta anche di una guerra per procura tra Stati Uniti e Russia, e nella regione del Mar Nero sono in gioco interessi geopolitici molto concreti.

Che cosa sono?
La regione del Mar Nero è importante per i russi e la loro flotta del Mar Nero quanto i Caraibi o la regione di Panama per gli Stati Uniti. Importante quanto il Mar Cinese Meridionale e Taiwan per la Cina. Importante quanto la zona di protezione della Turchia, che ha istituito contro i curdi in violazione del diritto internazionale. In questo contesto e per ragioni strategiche, anche i russi non possono uscirne. A parte il fatto che in un referendum in Crimea la popolazione si pronuncerebbe sicuramente a favore della Russia.

Come si può continuare?
Se i russi fossero costretti da un massiccio intervento occidentale a ritirarsi dalla regione del Mar Nero, prima di uscire dalla scena mondiale ricorrerebbero sicuramente alle armi nucleari. Trovo ingenua la convinzione che un attacco nucleare da parte della Russia non avverrà mai. Sulla falsariga di “stanno solo bluffando”.

Ma quale potrebbe essere la soluzione?
Bisognerebbe semplicemente chiedere alle persone della regione, cioè del Donbass e della Crimea, a chi vogliono appartenere. L’integrità territoriale dell’Ucraina dovrebbe essere ripristinata, con alcune garanzie occidentali. Anche i russi hanno bisogno di una simile garanzia di sicurezza. Quindi niente adesione alla NATO per l’Ucraina. Sin dal vertice di Bucarest del 2008, è stato chiaro che questa è la linea rossa dei russi.

E cosa pensa che possa fare la Germania?
Dobbiamo dosare il nostro sostegno militare in modo da non scivolare in una terza guerra mondiale. Nessuno di coloro che andarono in guerra nel 1914 con grande entusiasmo era ancora dell’idea che fosse la cosa giusta da fare. Se l’obiettivo è un’Ucraina indipendente, bisogna anche chiedersi in prospettiva come dovrebbe essere un ordine europeo che coinvolga la Russia. La Russia non scomparirà semplicemente dalla carta geografica. Dobbiamo evitare di spingere i russi nelle braccia dei cinesi, spostando così l’ordine multipolare a nostro svantaggio. Abbiamo anche bisogno della Russia come potenza leader di uno Stato multietnico per evitare l’esplosione di scontri e guerre. E francamente non vedo l’Ucraina diventare un membro dell’UE, tanto meno della NATO. In Ucraina, come in Russia, abbiamo un’elevata corruzione e il dominio degli oligarchi. Quello che noi in Turchia – giustamente – denunciamo in termini di Stato di diritto, lo abbiamo anche in Ucraina.

Cosa pensa, signor Vad, di quello che ci aspetta nel 2023?
A Washington deve esserci un fronte più ampio per la pace. E questo insensato attivismo della politica tedesca deve finalmente finire. Altrimenti ci sveglieremo una mattina e ci ritroveremo nel bel mezzo della Terza Guerra Mondiale.

(Traduzione Cambiailmondo.org)

Fonte: https://www.emma.de/artikel/erich-vad-was-sind-die-kriegsziele-340045


Erich Vad: Was sind die Kriegsziele?

Erich Vad ist Ex-Brigade-General. Von 2006 bis 2013 war er der militärpolitische Berater von Bundeskanzlerin Angela Merkel. Er gehört zu den raren Stimmen, die sich früh öffentlich gegen Waffenlieferungen an die Ukraine ausgesprochen haben, ohne politische Strategie und diplomatische Bemühungen. Auch jetzt spricht er eine unbequeme Wahrheit aus.

Herr Vad, was sagen Sie zu der gerade von Kanzler Scholz verkündeten Lieferung der 40 Marder an die Ukraine?
Das ist eine militärische Eskalation, auch in der Wahrnehmung der Russen – auch wenn der über 40 Jahre alte Marder keine Wunderwaffe ist. Wir begeben uns auf eine Rutschbahn. Das könnte eine Eigendynamik entwickeln, die wir nicht mehr steuern können. Natürlich war und ist es richtig, die Ukraine zu unterstützen und natürlich ist Putins Überfall nicht völkerrechtskonform – aber nun müssen doch endlich die Folgen bedacht werden!

Und was könnten die Folgen sein?
Will man mit den Lieferungen der Panzer Verhandlungsbereitschaft erreichen? Will man damit den Donbass oder die Krim zurückerobern? Oder will man Russland gar ganz besiegen? Es gibt keine realistische End-State-Definition. Und ohne ein politisch strategisches Gesamtkonzept sind Waffenlieferungen Militarismus pur.

Was heißt das?
Wir haben eine militärisch operative Patt-Situation, die wir aber militärisch nicht lösen können. Das ist übrigens auch die Meinung des amerikanischen Generalstabschefs Mark Milley. Er hat  gesagt, dass ein militärischer Sieg der Ukraine nicht zu erwarten sei und dass Verhandlungen der einzig mögliche Weg seien. Alles andere bedeutet den sinnlosen Verschleiß von Menschenleben.

General Milley löste mit seiner Aussage in Washington viel Ärger aus und wurde auch öffentlich stark kritisiert.
Er hat eine unbequeme Wahrheit ausgesprochen. Eine Wahrheit, die in den deutschen Medien übrigens so gut wie gar nicht publiziert wurde. Das Interview mit Milley von CNN tauchte nirgendwo größer auf, dabei ist er der Generalstabschef unserer westlichen Führungsmacht. Was in der Ukraine betrieben wird, ist ein Abnutzungskrieg. Und zwar einer mit mittlerweile annähernd 200.000 gefallenen und verwundeten Soldaten auf beiden Seiten, mit 50.000 zivilen Toten und mit Millionen von Flüchtlingen. Milley hat damit eine Parallele zum Ersten Weltkrieg gezogen, die treffender nicht sein könnte. Im Ersten Weltkrieg hat allein die sogenannte ‚Blutmühle von Verdun‘, die als Abnutzungsschlacht konzipiert war, zum Tod von fast einer Million junger Franzosen und Deutscher geführt. Sie sind damals für nichts gefallen. Das Verweigern der Kriegsparteien von Verhandlungen hat also zu Millionen zusätzlicher Toter geführt. Diese Strategie hat damals militärisch nicht funktioniert – und wird das auch heute nicht tun.

Auch Sie sind für die Forderung nach Verhandlungen angegriffen worden.
Ja, ebenso der Generalinspekteur der Bundeswehr, General Eberhard Zorn, der wie ich davor gewarnt hat, die regionalbegrenzten Offensiven der Ukrainer in den Sommermonaten zu überschätzen. Militärische Fachleute – die wissen, was unter den Geheimdiensten läuft, wie es vor Ort aussieht und was Krieg wirklich bedeutet – werden weitestgehend aus dem Diskurs ausgeschlossen. Sie passen nicht zur medialen Meinungsbildung. Wir erleben weitgehend eine Gleichschaltung der Medien, wie ich sie so in der Bundesrepublik noch nie erlebt habe. Das ist pure Meinungsmache. Und zwar nicht im staatlichen Auftrag, wie es aus totalitären Regimen bekannt ist, sondern aus reiner Selbstermächtigung.

Sie werden von den Medien auf breiter Front angegriffen, von BILD bis FAZ und Spiegel, und damit auch die 500.000 Menschen, die den von Alice Schwarzer initiierten Offenen Brief an den Kanzler unterzeichnet haben.
So ist es. Zum Glück hat Alice Schwarzer ihr eigenes unabhängiges Medium, um diesen Diskurs überhaupt eröffnen zu können. In den Leitmedien hätte das wohl nicht funktioniert. Dabei ist die Mehrheit der Bevölkerung schon länger und auch laut aktueller Umfrage gegen weitere Waffenlieferungen. Das alles wird jedoch nicht berichtet. Es gibt weitestgehend keinen fairen offenen Diskurs mehr zum Ukraine-Krieg, und das finde ich sehr verstörend. Das zeigt mir, wie recht Helmut Schmidt hatte. Er sagte in einem Gespräch mit Kanzlerin Merkel: Deutschland ist und bleibt eine gefährdete Nation.

Wie beurteilen Sie die Politik der Außenministerin?
Militärische Operationen müssen immer an den Versuch gekoppelt werden, politische Lösungen herbeizuführen. Die Eindimensionalität der aktuellen Außenpolitik ist nur schwer zu ertragen. Sie ist sehr stark fokussiert auf Waffen. Die Hauptaufgabe der Außenpolitik aber ist und bleibt Diplomatie, Interessenausgleich, Verständigung und Konfliktbewältigung. Das fehlt mir hier. Ich bin ja froh, dass wir endlich mal eine Außenministerin in Deutschland haben, aber es reicht nicht, nur Kriegsrhetorik zu betreiben und mit Helm und Splitterschutzweste in Kiew oder im Donbass herumzulaufen. Das ist zu wenig.

Dabei ist Baerbock doch Mitglied der Grünen, der ehemaligen Friedenspartei.
Die Mutation der Grünen von einer pazifistischen zu einer Kriegspartei verstehe ich nicht. Ich selbst kenne keinen Grünen, der überhaupt auch nur den Militärdienst geleistet hätte. Anton Hofreiter ist für mich das beste Beispiel dieser Doppelmoral. Antje Vollmer hingegen, die ich zu den ‚ursprünglichen‘ Grünen zählen würde, nennt die Dinge beim Namen. Und dass eine einzige Partei so viel politischen Einfluss hat, dass sie uns in einen Krieg manövrieren kann, das ist schon sehr bedenklich.

Wenn Kanzler Scholz Sie von seiner Vorgängerin übernommen hätte und Sie noch der militärische Berater des Kanzlers wären, was hätten Sie ihm im Februar 2022 geraten?
Ich hätte ihm geraten, die Ukraine militärisch zu unterstützen, aber dosiert und besonnen, um Rutschbahneffekte in eine Kriegspartei zu vermeiden. Und ich hätte ihm geraten, auf unseren wichtigsten politischen Verbündeten, die USA, einzuwirken. Denn der Schlüssel für eine Lösung des Krieges liegt in Washington und Moskau. Mir hat der Kurs des Kanzlers in den letzten Monaten gefallen. Aber Grüne, FDP und die bürgerliche Opposition machen – flankiert von weitestgehend einstimmiger medialer Begleitmusik – dermaßen Druck, dass der Kanzler das kaum noch auffangen kann.

Und was, wenn auch der Leopard geliefert wird?
Dann stellt sich erneut die Frage, was mit den Lieferungen der Panzer überhaupt passieren soll. Um die Krim oder den Donbass zu übernehmen, reichen die Marder und Leoparden nicht aus. In der Ostkukraine, im Raum Bachmut, sind die Russen eindeutig auf dem Vormarsch. Sie werden wahrscheinlich den Donbass in Kürze vollständig erobert haben. Man muss sich nur allein die numerische Überlegenheit der Russen gegenüber der Ukraine vor Augen führen. Russland kann bis zu zwei Millionen Reservisten mobil machen. Da kann der Westen 100 Marder und 100 Leoparden hinschicken, sie ändern an der militärischen Gesamtlage nichts. Und die alles entscheidende Frage ist doch, wie man einen derartigen Konflikt mit einer kriegerischen Nuklearmacht – wohlbemerkt der stärksten Nuklearmacht der Welt! – durchstehen will, ohne in einen Dritten Weltkrieg zu gehen. Und genau das geht hier in Deutschland in die Köpfe der Politiker und der Journalisten nicht hinein!

Das Argument ist, Putin wolle nicht verhandeln und dass man ihn in seine Schranken weisen müsse, damit er in Europa nicht weiter wütet.
Es stimmt, dass man den Russen signalisieren muss: Bis hierher und nicht weiter! So ein Angriffskrieg darf nicht Schule machen. Deshalb ist es richtig, dass die Nato ihre militärische Präsenz im Osten erhöht und Deutschland hier mitmacht. Aber dass Putin nicht verhandeln will, ist unglaubwürdig. Beide, die Russen und Ukrainer waren am Anfang des Krieges Ende März, Anfang April 2022 zu einer Friedensvereinbarung bereit. Daraus ist dann nichts geworden. Es wurde schließlich auch während des Krieges das Getreideabkommen von den Russen und Ukrainern unter Einbeziehung der Vereinten Nationen fertig verhandelt.

Nun geht das Sterben weiter.
Man kann die Russen weiter abnutzen, was wiederum Hundertausende Tote bedeutet, aber auf beiden Seiten. Und es bedeutet die weitere Zerstörung der Ukraine. Was bleibt denn von diesem Land noch übrig? Es wird dem Erdboden gleichgemacht. Letztendlich ist das für die Ukraine auch keine Option mehr. Der Schlüssel für die Lösung des Konfliktes liegt nicht in Kiew, er liegt auch nicht in Berlin, Brüssel oder Paris, er liegt in Washington und Moskau. Es ist doch lächerlich zu sagen, die Ukraine müsse das entscheiden.

Mit dieser Deutung gilt man in Deutschland schnell als Verschwörungstheoretiker…
Ich bin selber überzeugter Transatlantiker. Ich sage Ihnen ehrlich, ich möchte im Zweifelsfall lieber unter einer amerikanischen Hegemonie als unter einer russischen oder chinesischen leben. Dieser Krieg war anfangs nur eine innenpolitische Auseinandersetzung der Ukraine. Die ging bereits 2014 los, zwischen den russischsprachigen ethnischen Gruppen und den Ukrainern selber. Es ist also ein Bürgerkrieg gewesen. Jetzt, nach dem Überfall Russlands, ist es ein zwischenstaatlicher Krieg zwischen Ukraine und Russland geworden. Es ist auch ein Kampf um die Unabhängigkeit der Ukraine und ihrer territorialen Integrität. Das ist alles richtig. Aber es ist nicht die ganze Wahrheit. Es ist eben auch ein Stellvertreter-Krieg zwischen den USA und Russland, und da geht es um ganz konkrete geopolitische Interessen in der Schwarzmeerregion.

Die da wären?
Die Schwarzmeerregion ist für die Russen und ihre Schwarzmeerflotte so wichtig wie die Karibik oder die Region um Panama für die USA. So wichtig wie das südchinesische Meer und Taiwan für China. So wichtig wie die Schutzzone der Türkei, die sie völkerrechtswidrig gegenüber den Kurden etabliert haben. Vor diesem Hintergrund und aus strategischen Gründen können die Russen da auch nicht raus. Mal abgesehen davon, dass sich bei einer Volksabstimmung auf der Krim die Bevölkerung mit Sicherheit für Russland entscheiden würde.

Wie soll das also weitergehen?
Wenn die Russen durch massive westliche Intervention dazu gezwungen würden, sich aus der Schwarzmeerregion zurückzuziehen, dann würden sie, bevor sie von der Weltbühne abtreten, mit Sicherheit zu den Nuklearwaffen greifen. Ich finde den Glauben naiv, ein Atomschlag Russlands würde niemals passieren. Nach dem Motto, ‚Die bluffen doch nur‘.

Aber was könnte die Lösung sein?
Man sollte die Menschen in der Region, also im Donbass und auf der Krim, einfach fragen, zu wem sie gehören wollen. Man müsste die territoriale Integrität der Ukraine wiederherstellen, mit bestimmten westlichen Garantien. Und die Russen brauchen so eine Sicherheitsgarantie eben auch. Also keine Nato-Mitgliedschaft für die Ukraine. Seit dem Gipfel von Bukarest von 2008 ist klar, dass das die rote Linie der Russen ist.

Und was kann Deutschland Ihrer Meinung nach tun?
Wir müssen unsere militärische Unterstützung so dosieren, dass wir nicht in einen Dritten Weltkrieg gleiten. Keiner von denen, die 1914 mit großer Begeisterung in den Krieg gezogen sind, war hinterher noch der Meinung, dass das richtig war. Wenn das Ziel eine unabhängige Ukraine ist, muss man sich perspektivisch auch die Frage stellen, wie eine europäische Ordnung unter Einbeziehung Russlands aussehen soll. Russland wird ja nicht einfach von der Landkarte verschwinden. Wir müssen vermeiden, die Russen in die Arme der Chinesen zu treiben, und damit die multipolare Ordnung zu unseren Ungunsten zu verschieben. Wir brauchen Russland auch als Führungsmacht eines Vielvölkerstaates, um aufflammende Kämpfe und Kriege zu vermeiden. Und ehrlich gesagt sehe ich nicht, dass die Ukraine Mitglied der EU und erst recht nicht Mitglied der Nato wird. Wir haben in der Ukraine ebenso wie in Russland eine hohe Korruption und die Herrschaft von Oligarchen. Das, was wir in der Türkei – mit Recht – in puncto Rechtsstaatlichkeit anprangern, das Problem haben wir in der Ukraine auch.

Was meinen Sie, Herr Vad, was erwartet uns im Jahr 2023?
Es muss sich in Washington eine breitere Front für Frieden aufbauen. Und dieser sinnfreie Aktionismus in der deutschen Politik, der muss endlich ein Ende finden. Sonst wachen wir eines Morgens auf und sind mittendrin im Dritten Weltkrieg.

Fonte: https://www.emma.de/artikel/erich-vad-was-sind-die-kriegsziele-340045

“La terza guerra mondiale è già iniziata” tra Stati Uniti e Russia/Cina, sostiene lo studioso francese Emmanuel Todd

di Ben Norton

Il noto intellettuale francese Emmanuel Todd sostiene che la guerra per procura dell’Ucraina è l’inizio della terza guerra mondiale, ed è “esistenziale” sia per la Russia che per il “sistema imperiale” degli Stati Uniti, che ha limitato la sovranità dell’Europa, trasformando Bruxelles nel “protettorato” di Washington.

Al di là del confronto militare tra Russia e Ucraina, l’antropologo insiste sulla dimensione ideologica e culturale di questa guerra e sulla contrapposizione tra l’occidente liberale e il resto del mondo conquistato a una visione conservatrice e autoritaria. I più isolati non sono, secondo lui, quelli in cui crediamo.

Emmanuel Todd è un antropologo, storico, saggista, futurista, autore di numerosi libri. Molti di loro, come “The Final Fall”, “The Economic Illusion” o “After the Empire”, sono diventati dei classici delle scienze sociali. Il suo ultimo libro,  La terza guerra mondiale è iniziata “, è stato pubblicato nel 2022 in Giappone e ha venduto 100.000 copie.

Pensatore scandaloso per alcuni, intellettuale visionario per altri, “distruttore ribelle” secondo le sue stesse parole, Emmanuel Todd non lascia nessuno indifferente. L’autore di La Chute finale, che predisse il crollo dell’Unione Sovietica nel 1976, era rimasto discreto in Francia sulla questione della guerra in Ucraina . L’antropologo ha finora riservato la maggior parte dei suoi interventi sul tema al pubblico giapponese, pubblicando anche un saggio dal titolo provocatorio: “La terza guerra mondiale è iniziata” (“La Troisième Guerre mondiale a commencé” in francese). Al momento è disponibile solo in Giappone. Nella intervista a Le Figaro dettaglia la sua tesi iconoclasta.

Un eminente intellettuale francese ha scritto un libro sostenendo che gli Stati Uniti stanno già conducendo la Terza Guerra Mondiale contro Russia e Cina. Ha anche avvertito che l’Europa è diventata una sorta di “protettorato” imperiale, che ha poca sovranità ed è essenzialmente controllato dagli Stati Uniti.

Todd ha delineato le principali argomentazioni che ha fatto nel libro in un’intervista in lingua francese al principale quotidiano Le Figaro , condotta dal giornalista Alexandre Devecchio. Secondo Todd, la guerra per procura in Ucraina è “esistenziale” non solo per la Russia, ma anche per gli Stati Uniti. Il “sistema imperiale” statunitense si sta indebolendo in gran parte del mondo, ha osservato, ma questo sta portando Washington a “rafforzare la presa sui suoi protettorati iniziali”: Europa e Giappone.

Ciò significa che “Germania e Francia sono diventate partner minori nella NATO”, ha detto Todd, e la NATO è davvero un blocco “Washington-Londra-Varsavia-Kiev”. Le sanzioni degli Stati Uniti e dell’UE non sono riuscite a schiacciare la Russia, come speravano le capitali occidentali, ha osservato. Ciò significa che “la resistenza dell’economia russa sta spingendo il sistema imperiale americano verso il precipizio” e “i controlli monetari e finanziari americani del mondo crollerebbero”.

L’intellettuale francese ha indicato i voti delle Nazioni Unite riguardanti la Russia e ha avvertito che l’ Occidente non è in contatto con il resto del mondo . “I giornali occidentali sono tragicamente divertenti. Non smettono di dire: “La Russia è isolata, la Russia è isolata”. Ma quando guardiamo i voti delle Nazioni Unite, vediamo che il 75% del mondo non segue l’Occidente, che poi sembra molto piccolo”, ha osservato Todd. Ha anche criticato le metriche del PIL utilizzate dagli economisti neoclassici occidentali per minimizzare la capacità produttiva dell’economia russa, esagerando contemporaneamente quella delle economie neoliberiste finanziarizzate come negli Stati Uniti.

Nell’intervista a Le Figaro, Todd ha sostenuto (tutte le sottolineature sono state aggiunte):

Questa è la realtà, la terza guerra mondiale è iniziata. È vero che è iniziato “in piccolo” e con due sorprese. Siamo entrati in questa guerra con l’idea che l’esercito russo fosse molto potente e che la sua economia fosse molto debole.

Si pensava che l’Ucraina sarebbe stata schiacciata militarmente e che la Russia sarebbe stata schiacciata economicamente dall’Occidente. Ma è successo il contrario. L’Ucraina non è stata schiacciata militarmente anche se in quella data ha perso il 16% del suo territorio; La Russia non è stata schiacciata economicamente. Mentre vi parlo, il rublo ha guadagnato l’8% rispetto al dollaro e il 18% rispetto all’euro dal giorno prima dell’inizio della guerra.

Quindi c’è stata una sorta di malinteso. Ma è evidente che il conflitto, passando da una limitata guerra territoriale a uno scontro economico globale, tra tutto l’occidente da un lato e la Russia sostenuta dalla Cina dall’altro, è diventato un mondo di guerra. Anche se la violenza militare è bassa rispetto a quella delle precedenti guerre mondiali.

Il giornale ha chiesto a Todd se stesse esagerando. Ha risposto: “Forniamo ancora armi. Uccidiamo russi, anche se non ci esponiamo. Ma resta vero che noi europei siamo impegnati soprattutto economicamente. Sentiamo anche la nostra vera entrata in guerra attraverso l’inflazione e la penuria”.

Todd ha sottovalutato il suo caso. Non ha menzionato il fatto che, dopo che gli Stati Uniti hanno sponsorizzato il colpo di stato che ha rovesciato il governo democraticamente eletto dell’Ucraina nel 2014, scatenando una guerra civile, la CIA e il Pentagono hanno immediatamente iniziato ad addestrare le forze ucraine per combattere la Russia.

Il New York Times ha riconosciuto che la CIA e le forze per le operazioni speciali di numerosi paesi europei sono sul campo in Ucraina. E la CIA e un alleato europeo della NATO stanno persino effettuando attacchi di sabotaggio all’interno del territorio russo.

Tuttavia, nell’intervista, Todd ha continuato:

Putin ha commesso un grosso errore all’inizio, il che è di immenso interesse storico-sociale. Coloro che lavoravano in Ucraina alla vigilia della guerra consideravano il paese non come una democrazia alle prime armi, ma come una società in decadenza e uno “stato fallito” in formazione.

Penso che il calcolo del Cremlino fosse che questa società in decomposizione si sgretolasse al primo shock, o addirittura dicesse “benvenuta mamma” nella santa Russia. Ma quello che abbiamo scoperto, al contrario, è che una società in decomposizione, se alimentata da risorse finanziarie e militari esterne, può trovare nella guerra un nuovo tipo di equilibrio, e anche un orizzonte, una speranza. I russi non avrebbero potuto prevederlo. Nessuno potrebbe.

Todd ha detto di condividere il punto di vista sull’Ucraina del politologo statunitense John Mearsheimer, un realista che ha criticato la politica estera aggressiva di Washington. Mearsheimer “ci ha detto che l’Ucraina, il cui esercito era stato rilevato dai soldati della NATO (americani, britannici e polacchi) almeno dal 2014, era quindi un membro de facto della NATO, e che i russi avevano annunciato che non avrebbero mai tollerato una NATO membro dell’Ucraina”, ha detto Todd.

Per la Russia, questa è una guerra che è “dal loro punto di vista difensivo e preventivo”, ha ammesso. Mearsheimer ha aggiunto che non avremmo motivo di rallegrarci di qualsiasi difficoltà dei russi perché, poiché per loro si tratta una questione esistenziale, quanto più questa dovesse risultare dura, tanto più loro colpirebbero con forza. L’analisi sembra essersi verificata.

Tuttavia, Todd ha sostenuto che Mearsheimer “non va abbastanza lontano” nella sua analisi. Lo scienziato politico statunitense ha trascurato il modo in cui Washington ha limitato la sovranità di Berlino e Parigi, ha detto Todd:

Germania e Francia erano diventate partner minori nella NATO e non erano a conoscenza di ciò che stava accadendo in Ucraina a livello militare. L’ingenuità francese e tedesca è stata criticata perché i nostri governi non credevano nella possibilità di un’invasione russa. Vero, ma perché non sapevano che americani, inglesi e polacchi avrebbero potuto rendere l’Ucraina in grado di condurre una guerra più ampia. L’asse fondamentale della NATO ora è Washington-Londra-Varsavia-Kiev.

Mearsheimer, da buon americano, sopravvaluta il suo paese. Ritiene che, se per i russi la guerra in Ucraina è esistenziale, per gli americani non è altro che un “gioco” di potere tra gli altri. Dopo il Vietnam, l’Iraq e l’Afghanistan, una debacle in più o in meno… Che importa?

L’assioma fondamentale della geopolitica americana è: ‘Possiamo fare quello che vogliamo perché siamo al riparo, lontano, tra due oceani, non ci succederà mai niente’. Niente sarebbe esistenziale per l’America. Insufficienza di analisi che oggi porta Biden a una serie di azioni sconsiderate.

L’America è fragile. La resistenza dell’economia russa sta spingendo il sistema imperiale americano verso il precipizio. Nessuno si aspettava che l’economia russa avrebbe resistito alla “potenza economica” della NATO. Credo che gli stessi russi non l’avessero previsto.

Emmanuel Todd prosegue nell’intervista sostenendo che, resistendo a tutta la forza delle sanzioni occidentali, la Russia e la Cina rappresentano una minaccia per “i controlli monetari e finanziari americani del mondo”. Questo, a sua volta, mette in discussione lo status degli Stati Uniti come emittente della valuta di riserva globale , che gli conferisce la capacità di mantenere un “enorme deficit commerciale”:

Se l’economia russa resistesse indefinitamente alle sanzioni e riuscisse a esaurire l’economia europea, pur rimanendo essa stessa, sostenuta dalla Cina, crollerebbero i controlli monetari e finanziari americani del mondo, e con essi la possibilità per gli Stati Uniti di finanziare il loro enorme disavanzo commerciale.

Questa guerra è quindi diventata esistenziale per gli Stati Uniti . Non più della Russia, non possono ritirarsi dal conflitto, non possono lasciarsi andare. Ecco perché ora ci troviamo in una guerra senza fine, in uno scontro il cui esito deve essere il crollo dell’uno o dell’altro.

Todd ha avvertito che, mentre gli Stati Uniti si stanno indebolendo in gran parte del mondo, il loro “sistema imperiale” sta “rafforzando la presa sui suoi protettorati iniziali”: Europa e Giappone. E ha spiegato:

Ovunque vediamo l’indebolimento degli Stati Uniti, ma non in Europa e in Giappone, perché uno degli effetti del ritiro del sistema imperiale è che gli Stati Uniti rafforzano la presa sui loro protettorati iniziali.

Se leggiamo [Zbigniew] Brzezinski (The Grand Chessboard), vediamo che l’impero americano si è formato alla fine della seconda guerra mondiale con la conquista della Germania e del Giappone, che sono ancora oggi protettorati. Man mano che il sistema americano si restringe, pesa sempre più pesantemente sulle élite locali dei protettorati (e includo qui tutta l’Europa).

I primi a perdere ogni autonomia nazionale saranno (o lo sono già) gli inglesi e gli australiani. Internet ha prodotto un’interazione umana con gli Stati Uniti nell’anglosfera di tale intensità che le sue élite accademiche, mediatiche e artistiche sono, per così dire, annesse. Nel continente europeo siamo in qualche modo protetti dalle nostre lingue nazionali, ma la caduta della nostra autonomia è considerevole e rapida.

Come esempio di un momento della storia recente in cui l’Europa era più indipendente, Todd ha sottolineato: “Ricordiamo la guerra in Iraq, quando Chirac, Schröder e Putin hanno tenuto conferenze stampa congiunte contro la guerra” — riferendosi agli ex leader della Francia (Jacques Chirac) e Germania (Gerhard Schröder).

L’intervistatore del quotidiano Le Figaro, Alexandre Devecchio, ha ribattuto Todd chiedendo: “Molti osservatori sottolineano che la Russia ha il PIL della Spagna. Non stai sopravvalutando il suo potere economico e la sua resilienza?” Todd ha criticato l’eccessiva dipendenza dal PIL come parametro, definendolo una “misura fittizia della produzione” che oscura le reali forze produttive in un’economia:

La guerra diventa un banco di prova dell’economia politica, è il grande rivelatore. Il Pil di Russia e Bielorussia rappresenta il 3,3% del Pil occidentale (Stati Uniti, Anglosfera, Europa, Giappone, Corea del Sud), praticamente nulla. Ci si può chiedere come questo PIL insignificante possa far fronte e continuare a produrre missili.

Il motivo è che il PIL è una misura fittizia della produzione. Se togliamo al Pil americano la metà della sua spesa sanitaria sovrafatturata, allora la “ricchezza prodotta” dall’attività dei suoi avvocati, dalle carceri più piene del mondo, quindi da un’intera economia di servizi mal definiti, compresi i “produzione” dei suoi 15-20 mila economisti con uno stipendio medio di 120.000 dollari, ci rendiamo conto che una parte importante di questo PIL è vapore acqueo.

La guerra ci riporta all’economia reale, ci permette di capire quale sia la vera ricchezza delle nazioni, la capacità di produzione, e quindi la capacità di guerra.

Todd ha osservato che la Russia ha mostrato “una reale capacità di adattamento”. Ha attribuito questo al “ruolo molto ampio dello stato” nell’economia russa, in contrasto con il modello economico neoliberista statunitense:

Se torniamo alle variabili materiali, vediamo l’economia russa. Nel 2014 abbiamo messo in atto le prime sanzioni importanti contro la Russia, ma poi ha aumentato la sua produzione di grano, che è passata da 40 a 90 milioni di tonnellate nel 2020. Intanto, grazie al neoliberismo, la produzione di grano americana, tra il 1980 e il 2020, è passata da Da 80 a 40 milioni di tonnellate.

La Russia ha quindi una reale capacità di adattamento. Quando vogliamo prendere in giro le economie centralizzate, sottolineiamo la loro rigidità, e quando glorifichiamo il capitalismo, lodiamo la sua flessibilità.

L’economia russa, da parte sua, ha accettato le regole di funzionamento del mercato (è persino un’ossessione di Putin preservarle), ma con un ruolo molto ampio per lo Stato, ma trae la sua flessibilità anche dalla formazione di ingegneri, che ne consentono gli adattamenti industriali e militari.

Questo punto è simile a quanto sostenuto dall’economista Michael Hudson – che sebbene l’economia di Mosca non sia più socialista, come lo era quella dell’Unione Sovietica, il capitalismo industriale guidato dallo stato della Federazione Russa si scontra con il modello finanziarizzato del capitalismo neoliberista che gli Stati Uniti hanno cercato di imporre al mondo.

Da: https://www.acro-polis.it/2023/01/15/la-terza-guerra-mondiale-e-gia-iniziata-tra-stati-uniti-e-russia-cina-sostiene-lo-studioso-francese-emmanuel-todd/

Fonte originale: https://www.lefigaro.fr/vox/monde/emmanuel-todd-la-troisieme-guerre-mondiale-a-commence-20230112

USA, i democratici sono ormai il partito della guerra.

di Mr. Fish

Il lato oscuro dei Democratici

I Democratici si posizionano come il partito della virtù, ammantando il loro sostegno all’industria bellica con un linguaggio morale che risale alla Corea e al Vietnam, quando il presidente Ngo Dinh Diem era osannato come il presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Tutte le guerre che sostengono e finanziano sono guerre “buone”. Tutti i nemici che combattono, gli ultimi dei quali sono la Russia di Vladimir Putin e la Cina di Xi Jinping, sono incarnazioni del male. La foto di una raggiante presidente della Camera Nancy Pelosi e della vicepresidente Kamala Harris che sorregge una bandiera di battaglia ucraina autografata dietro Zelensky mentre si rivolge al Congresso è un altro esempio dell’abietto asservimento del Partito Democratico alla macchina da guerra.

I Democratici, soprattutto con la presidenza di Bill Clinton, sono diventati degli intermediari non solo per l’America corporativa, ma anche per i produttori di armi e per il Pentagono. Nessun sistema di armamento è troppo costoso. Nessuna guerra, per quanto disastrosa, non viene finanziata. Nessun bilancio militare è troppo grande, compresi gli 858 miliardi di dollari di spesa militare stanziati per l’anno fiscale in corso, un aumento di 45 miliardi di dollari rispetto a quanto richiesto dall’amministrazione Biden. 

Lo storico Arnold Toynbee ha citato il militarismo incontrollato come la malattia fatale degli imperi, sostenendo che essi si suicidano definitivamente. 

Un tempo c’era un’ala del Partito Democratico che metteva in discussione e si opponeva all’industria bellica: I senatori J. William Fulbright, George McGovern, Gene McCarthy, Mike Gravel, William Proxmire e il membro della Camera Dennis Kucinich. Ma questa opposizione è evaporata insieme al movimento contro la guerra. Quando di recente 30 membri del caucus progressista del partito hanno chiesto a Biden di negoziare con Putin, sono stati costretti dalla leadership del partito e dai media guerrafondai a fare marcia indietro e a ritirare la lettera. Nessuno di loro, ad eccezione di Alexandria Ocasio-Cortez, ha votato contro i miliardi di dollari in armamenti inviati all’Ucraina o contro il bilancio militare gonfiato. Rashida Tlaib ha votato a favore. 

L’opposizione al finanziamento perpetuo della guerra in Ucraina è venuta soprattutto dai repubblicani, 11 al Senato e 57 alla Camera, molti dei quali, come Marjorie Taylor Greene, sono teorici della cospirazione. Solo nove repubblicani alla Camera si sono uniti ai democratici nel sostenere la legge di spesa da 1.700 miliardi di dollari necessaria per evitare la chiusura del governo, che includeva l’approvazione di 847 miliardi di dollari per le forze armate – il totale sale a 858 miliardi di dollari se si considerano i conti che non rientrano nella giurisdizione dei comitati dei servizi armati. Al Senato, 29 repubblicani si sono opposti alla legge di spesa. I democratici, compresi quasi tutti i 100 membri del Congressional Progressive Caucus della Camera, si sono schierati doverosamente a favore della guerra infinita. 

Questa smania di guerra è pericolosa e ci spinge a una potenziale guerra con la Russia e, forse più tardi, con la Cina, ognuna delle quali è una potenza nucleare. È anche economicamente rovinosa. La monopolizzazione del capitale da parte dei militari ha portato il debito degli Stati Uniti a oltre 30.000 miliardi di dollari, 6.000 miliardi in più rispetto al PIL degli Stati Uniti, che ammonta a 24.000 miliardi di dollari. Il servizio di questo debito costa 300 miliardi di dollari all’anno. Spendiamo per le forze armate più dei nove Paesi successivi, tra cui Cina e Russia, messi insieme. Il Congresso è anche in procinto di fornire al Pentagono 21,7 miliardi di dollari in più – rispetto al bilancio annuale già ampliato – per rifornire l’Ucraina.

“Ma questi contratti sono solo la punta di diamante di quello che si preannuncia come un nuovo grande potenziamento della difesa”, riporta il New York Times. “L’anno prossimo la spesa militare è destinata a raggiungere il livello più alto, in termini corretti dall’inflazione, dai picchi dei costi delle guerre in Iraq e Afghanistan tra il 2008 e il 2011, e il secondo più alto, in termini corretti dall’inflazione, dalla Seconda guerra mondiale – un livello che supera i bilanci delle 10 maggiori agenzie di governo messe insieme”.

Il Partito Democratico, che sotto l’amministrazione Clinton ha corteggiato in modo aggressivo i donatori aziendali, ha rinunciato a sfidare, per quanto tiepidamente, l’industria bellica. 

“Non appena il Partito Democratico ha deciso, forse 35 o 40 anni fa, di accettare i contributi delle aziende, ha cancellato ogni distinzione tra i due partiti”, ha detto Dennis Kucinich quando l’ho intervistato nel mio programma per The Real News Network. “Perché a Washington, chi paga il pifferaio suona la melodia. Ecco cosa è successo. Non c’è molta differenza tra i due partiti quando si parla di guerra”. 

Nel suo libro del 1970 “La macchina della propaganda del Pentagono”, Fulbright descrive come il Pentagono e l’industria degli armamenti versino milioni di euro per plasmare l’opinione pubblica attraverso campagne di pubbliche relazioni, film del Dipartimento della Difesa, controllo di Hollywood e dominio dei media commerciali. Gli analisti militari dei notiziari via cavo sono in genere ex funzionari militari e dell’intelligence che siedono in consigli di amministrazione o lavorano come consulenti per le industrie della difesa, un fatto che raramente rivelano al pubblico. Barry R. McCaffrey, generale dell’esercito a quattro stelle in pensione e analista militare per NBC News, era anche un dipendente della Defense Solutions, una società di vendita e gestione di progetti militari. Come la maggior parte di questi informatori della guerra, ha tratto personalmente profitto dalla vendita di sistemi d’arma e dall’espansione delle guerre in Iraq e Afghanistan.

Alla vigilia di ogni votazione del Congresso sul bilancio del Pentagono, i lobbisti delle imprese legate all’industria bellica incontrano i membri del Congresso e il loro staff per spingerli a votare a favore del bilancio per proteggere i posti di lavoro nel loro distretto o Stato. Queste pressioni, unite al mantra amplificato dai media secondo cui l’opposizione agli sperperati finanziamenti alla guerra è antipatriottica, tengono in schiavitù i funzionari eletti. Questi politici dipendono anche dalle generose donazioni dei produttori di armi per finanziare le loro campagne.

Seymour Melman, nel suo libro “Pentagon Capitalism”, ha documentato il modo in cui le società militarizzate distruggono le loro economie nazionali. Si spendono miliardi per la ricerca e lo sviluppo di sistemi d’arma, mentre le tecnologie delle energie rinnovabili languono. Le università sono inondate di borse di studio legate al settore militare, mentre faticano a trovare fondi per gli studi ambientali e le discipline umanistiche. Ponti, strade, argini, ferrovie, porti, reti elettriche, impianti di depurazione e infrastrutture per l’acqua potabile sono strutturalmente carenti e antiquati. Le scuole sono in rovina e mancano di insegnanti e personale sufficienti. Incapace di arginare la pandemia COVID-19, l’industria sanitaria a scopo di lucro costringe le famiglie, comprese quelle assicurate, alla bancarotta. L’industria manifatturiera nazionale, soprattutto con la delocalizzazione dei posti di lavoro in Cina, Vietnam, Messico e altre nazioni, crolla. Le famiglie annegano nel debito personale, con il 63% degli americani che vive di stipendio in stipendio. I poveri, i malati mentali, i malati e i disoccupati sono abbandonati. 

Melman, che ha coniato il termine “economia di guerra permanente”, ha osservato che dalla fine della Seconda guerra mondiale, il governo federale ha speso più della metà del suo bilancio discrezionale per le operazioni militari passate, presenti e future. Si tratta della più grande attività di sostegno del governo. L’establishment militare-industriale non è altro che un welfare aziendale dorato. I sistemi militari vengono venduti prima di essere prodotti. Le industrie militari sono autorizzate ad addebitare al governo federale gli enormi sforamenti dei costi. Sono garantiti profitti enormi. Ad esempio, lo scorso novembre, l’esercito ha assegnato alla sola Raytheon Technologies contratti per oltre 2 miliardi di dollari, che si aggiungono agli oltre 190 milioni di dollari assegnati in agosto, per la fornitura di sistemi missilistici destinati ad ampliare o rimpiazzare le armi inviate in Ucraina. Nonostante un mercato depresso per la maggior parte delle altre aziende, i prezzi delle azioni di Lockheed e Northrop Grumman sono aumentati di oltre il 36% e il 50% quest’anno. 

I giganti della tecnologia, tra cui Amazon, che fornisce software di sorveglianza e riconoscimento facciale alla polizia e all’FBI, sono stati assorbiti nell’economia di guerra permanente. Amazon, Google, Microsoft e Oracle si sono aggiudicati contratti multimiliardari per il cloud computing per la Joint Warfighting Cloud Capability e possono ricevere 9 miliardi di dollari in contratti del Pentagono per fornire alle forze armate “servizi cloud disponibili a livello globale in tutti i domini di sicurezza e livelli di classificazione, dal livello strategico al margine tattico”, fino alla metà del 2028.

Gli aiuti esteri vengono forniti a Paesi come Israele, con oltre 150 miliardi di dollari di assistenza bilaterale dalla sua fondazione nel 1948, o l’Egitto, che ha ricevuto oltre 80 miliardi di dollari dal 1978 – aiuti che richiedono ai governi stranieri di acquistare sistemi di armamento dagli Stati Uniti. Un tale sistema circolare deride l’idea di un’economia di libero mercato. Queste armi diventano presto obsolete e vengono sostituite da sistemi di armamento aggiornati e solitamente più costosi. Si tratta, in termini economici, di un vicolo cieco. Non sostiene altro che l’economia di guerra permanente.

“La verità è che siamo in una società fortemente militarizzata, guidata dall’avidità e dalla brama di profitto, e le guerre vengono create solo per continuare ad alimentarla”, mi ha detto Kucinich.

Nel 2014, gli Stati Uniti hanno appoggiato un colpo di Stato in Ucraina che ha insediato un governo composto da neonazisti e antagonista della Russia. Il colpo di Stato ha scatenato una guerra civile quando l’etnia russa dell’Ucraina orientale, il Donbass, ha cercato di separarsi dal Paese, causando oltre 14.000 morti e quasi 150.000 sfollati, prima dell’invasione della Russia a febbraio. L’invasione russa dell’Ucraina, secondo Jacques Baud, ex consulente per la sicurezza della NATO che ha lavorato anche per l’intelligence svizzera, è stata istigata dall’escalation della guerra ucraina nel Donbass. Inoltre, ha fatto seguito al rifiuto da parte dell’amministrazione Biden delle proposte inviate dal Cremlino alla fine del 2021, che avrebbero potuto evitare l’invasione russa l’anno successivo. 

Questa invasione ha portato a diffuse sanzioni statunitensi e europee contro la Russia, che si sono riversate sull’Europa. L’inflazione devasta l’Europa con la forte riduzione delle spedizioni di petrolio e gas russo. L’industria, soprattutto in Germania, è paralizzata. Nella maggior parte dell’Europa è un inverno di carenze, prezzi in crescita e miseria. 

“L’intera faccenda si sta ritorcendo contro l’Occidente”, ha avvertito Kucinich. “Abbiamo costretto la Russia a spostarsi in Asia, così come il Brasile, l’India, la Cina, il Sudafrica e l’Arabia Saudita. Si sta formando un mondo completamente nuovo. Il catalizzatore di tutto ciò è l’errore di valutazione che si è verificato sull’Ucraina e lo sforzo per cercare di controllare l’Ucraina nel 2014, di cui la maggior parte delle persone non è a conoscenza”.

Non opponendosi a un Partito Democratico la cui attività principale è la guerra, i liberali diventano i sognatori sterili e sconfitti di “Note dal sottosuolo” di Fëdor Dostoevskij. 

Ex detenuto, Dostoevskij non temeva il male. Temeva una società che non aveva più la forza morale di affrontare il male. E la guerra, per rubare una frase dal mio ultimo libro, è il male più grande.

(Traduzione: Cambiailmondo.org)

FONTE: https://chrishedges.substack.com/p/listen-to-this-article-the-democrats#details

LA MACCHINA DELLA PROPAGANDA

di Alberto Bradanini

Introduzione

Secondo la narrativa dominante, la propaganda, vale a dire la sistemica produzione di falsità, colpirebbe solo le nazioni prive di libertà di espressione, i paesi autocratici, autoritari o dittatoriali (appellativi, invero, attribuiti a seconda delle convenienze). Nei paesi autoritari, con qualche diversità dall’uno all’altro, il quadro è piuttosto evidente, domina la censura: alcune cose si possono fare, altre no. A dispetto delle apparenze, tuttavia, anche nelle cosiddette democrazie, l’obiettivo è il medesimo, controllare il disagio della maggioranza contro i privilegi della minoranza, cambia solo la tecnica, una tecnica basata sulla Menzogna, che opera in modo sofisticato, creando notizie dal nulla, mescolando bugie e verità, omettendo fatti e circostanze, rimestando abusivamente passato e futuro, paragonando ostriche a elefanti.

Confondendo ulteriormente il quadro, per il discorso del potere – in cima al quale, a ben guardare, troviamo sempre l’impero americano in qualche sua incarnazione – i paesi autoritari sono poi quelli che non si piegano al dominio dell’unica nazione indispensabile al mondo (Clinton, 1999), colonna portante del Regno del Bene.

Coloro che dominano la narrativa pubblica, dunque, controllano la società e per la proprietà transitiva la ricchezza e le inquietudini che vi si aggirano. D’altra parte, persino chi siede in cima alla piramide è inquieto, preso dall’angoscia di perdere ricchezza e potere. E la coercizione non basta, occorre il consenso e il ruolo della propaganda è quello di disarticolare il conflitto, contenere quel malessere che si aggira ovunque come un felino in attesa della preda. Essa è anche un aspetto costitutivo della più vasta nozione di egemonia, nell’accezione gramsciana del termine[1], secondo la quale il ceto dominante, oggi transnazionale, ha bisogno di guidare la narrazione pubblica, servendosi di un’impalcatura di servizio, politici, militari/burocrati, giornalisti, accademici.

Il potere è slegato da ogni ideologia, non essendo fondato su valori, ma solo su interessi: liberalismo o socialismo, conservatorismo o progressismo, fondamentalismo cristiano o islamico, suprematismo o meticciamento e via dicendo, il fine è solo uno, la massificazione di sè stesso e dei profitti correlati. Il Regno del Bene non ha sfumature di pensiero, tanto meno di azione.

La narrativa pubblica diffonde inoltre un messaggio inconscio: “sappiamo bene che la situazione non è ideale, le cose dovrebbero andar meglio, ma, ahimè, non vi sono alternative. D’altro canto, si faccia attenzione perché le cose potrebbero andare molto peggio, e solo noi siamo in grado di evitare che la situazione precipiti”.

Taluni sono persuasi che solo chi vive ai margini, i poveri di spirito e gli individui senza istruzione o acume siano esposti al sortilegio della propaganda. Uno sguardo disincantato rivela invece che tale dipendenza non ha nulla a che vedere con la cultura o l’intelligenza. Anzi, entrambe tendono a rafforzare la resistenza a riconoscere la porosità alla manipolazione. La capacità di opporsi al mainstream appare invero connessa con l’umile qualità di saper riconoscere i propri errori, e all’occorrenza la propria credulità. Si tratta di una caratteristica critica dell’essere umano che esprime maturità emotiva e spessore culturale. Sul piano filosofico, invece, l’abilità a smascherare l’inganno discende dall’aderenza al principio di verità, che non può prescindere da una vita condotta in coerenza. Si tratta di peculiarità poco diffuse, ma che fioriscono in ogni genere di individui e sono essenziali per la vita e la prosperità del genere umano.

Il trampolino della propaganda

Nell’incipit del saggio The Propaganda Multiplier[2], lo svizzero Konrad Hummler afferma che “davanti a qualsiasi genere di informazione non dovremmo mai tralasciare di chiederci: perché ci giungono queste notizie, perché in questa forma e in questo momento? In fin dei conti si tratta sempre di questioni che riguardano il potere”.

Forse, ciò chiarisce perché nessuno dà conto della singolare congiuntura – è questo un esempio tra i tanti – per la quale i cittadini russi possono leggere i nostri giornali e ascoltare le nostre TV, mentre noi non abbiamo il diritto di reciprocare, leggere e ascoltare i media russi[3]. In attesa di venirne informati, ci soccorre il vocabolario orwelliano, nel quale si scrive pace per significare guerra, democrazia per intendere oligarchia–plutocrazia, sovranità per esprimere sottomissione, libertà di giustizio per la sua soppressione.

Hummler aggiunge che un aspetto sostanzialmente ignoto del sistema mediatico riguarda la struttura del suo funzionamento, in specie la circostanza che la quasi totalità delle notizie che ci giungono sugli eventi del mondo è generato da tre sole agenzie internazionali di stampa. Il loro ruolo è talmente centrale che i fruitori mediatici – TV, giornali e internet – coprono quasi sempre gli stessi eventi con i medesimi argomenti, lo stesso taglio, il medesimo formato. Si tratta di agenzie che godono di coperture e sostegni di governi, apparati militari e intelligence, essendo da questi utilizzate quali piattaforme di diffusione di informazioni pilotate[4].

Come fa il giornale (o la TV) che leggo (o ascolto) a conoscere ciò che afferma di conoscere su un argomento internazionale? – si chiede Hummler – e la risposta è banale: quel giornale o quella TV non sa nulla, si limita a copiare da una delle citate agenzie. Queste lavorano in modo felpato, dietro le quinte. La prima ragione di tale discrezione è beninteso il controllo della notizia, la seconda risiede nella circostanza che giornali e TV non hanno interesse a far conoscere ai loro lettori di non essere in grado di raccogliere notizie indipendenti su quanto raccontano.

Le tre agenzie in questione sono:

​•​Associated Press (AP), che ha oltre 4000 dipendenti sparsi nel mondo. AP ha la forma di società cooperativa, ma è di fatto controllata da finanziarie quotate a Wall Street; dall’aprile 2017, il suo presidente è Steven Swartz, il quale è anche CEO di Hearst Communications, il colosso Usa dei media. AP fornisce informazioni a oltre 12.000 giornali e TV internazionali, raggiungendo ogni giorno oltre metà della popolazione mondiale; 

​•​Agence France-Presse (AFP)[5], partecipata dallo stato francese, ha circa 4000 dipendenti e trasmette ogni giorno oltre 3000 reportage a testate mediatiche di tutto il mondo; 

​•​Agenzia Reuters, con sede a Toronto, con migliaia di persone in ogni dove, dal luglio 2018 il 55% del suo capitale è proprietà di Blackstone Group, quotata a Wall Street; nel 2008 è stata acquisita dalla canadese Thomson Corporation e si è poi fusa nella Thomson-Reuters. 

Le corporazioni statunitensi (e con esse gli apparati militari e di sicurezza, lo stato profondo, etc…) dominano anche il mondo internet, poiché le prime dieci società mediatiche online, tranne una, sono di proprietà americana e hanno tutte sede negli Usa.

Essendo tale impalcatura alla radice della creazione, soppressione e adulterazione mediatica degli accadimenti nel mondo[6], è curioso che siano poche le persone interessate a conoscerne ruolo e meccanismi operativi.

Un ricercatore svizzero (Blum[7]) ha rilevato che nessun quotidiano occidentale può far a meno di tali agenzie se vuole occuparsi di questioni internazionali. Noi conosciamo solo ciò su cui queste decidono di riferire. La Grande Menzogna nella quale è immersa la popolazione (con eccezioni, beninteso) sta devastando l’etica pubblica e la sensibilità collettiva. Il lavaggio del cervello è implacabile, tutto è piegato alle esigenze del potere (l’Occidente e quella parte del mondo pilotata dall’Occidente), così gerarchicamente ordinato: impero Usa (corporazioni, stato profondo, forza militare), élite europee (finanza, banche, in prevalenza nordiche), classi dirigenti nazionali (politici, media, accademia).

Sebbene molti paesi dispongano di proprie agenzie – la tedesca DPA, l’austriaca APA, la svizzera SDA, l’italiana Ansa e così via – la carta stampata e le TV private/pubbliche, se vogliono occuparsi di temi internazionali, sono costrette a rivolgersi alle tre menzionate, le quali si sono appropriate di un ruolo insostituibile potendo contare su risorse, copertura geografica e capacità operativa: i reportage di tali agenzie vengono tradotti e copiati, talvolta utilizzati senza citare la fonte, altre volte parzialmente riscritti, altre ancora ravvivati e arricchiti con immagini e grafici per farli apparire un prodotto originale. Il giornalista che lavora su un dato argomento seleziona i passaggi che ritiene importanti, li manipola, li rimescola con qualche svolazzo e poi li pubblica (Volker Braeutigam)[8]”.

Quelli che il pubblico ritiene contributi originali del giornale o della TV sono in realtà rapporti fabbricati a New York, Londra o Parigi. Non sorprende che le notizie siano le stesse a Washington, Berlino, Parigi o Roma. Un fenomeno da brividi, poco dissimile dalle vituperate pratiche dei cosiddetti paesi illiberali.

Quanto ai corrispondenti, gran parte dei media non se ne può permettere nessuno. Quando esistono, coprono diversi paesi, anche dieci o venti, e si può immaginare con quale competenza! Nelle zone di guerra, raramente si avventurano fuori dall’hotel dove vivono, e pochissimi possiedono le competenze linguistiche per capire cosa succede intorno. Sulla guerra in Siria, scrive Hummler, molti riferivano da Istanbul, Beirut, Il Cairo, Cipro, mentre le citate agenzie dispongono di corrispondenti ovunque e ben addestrati.

Nel suo libro People Like Us: Misrepresenting the Middle East, il corrispondente olandese dal Medio Oriente, Joris Luyendijk, ha descritto candidamente come lavorano i corrispondenti e in quale misura dipendono dalle tre sorelle: “pensavo che questi fossero degli storici del momento, che davanti a un evento di rilievo, scoprissero cosa stesse davvero succedendo e riferissero in proposito. In verità nessuno va mai a verificare cosa accade. Quando succede qualcosa, la redazione chiama, invia per fax o e-mail comunicati-stampa già confezionati e il corrispondente in loco li rimbalza con parole sue, commentandoli alla radio o TV, oppure ne fa un articolo per il giornale di riferimento. Le notizie vengono nastro-trasportate. Su qualsiasi argomento o evento i corrispondenti aspettano in fondo al tapis-roulant, fingendo di aver prodotto qualcosa, ma è tutto falso”.

In altre parole, il corrispondente solitamente non è in grado di produrre inchieste indipendenti e si limita a rimodellare resoconti confezionati nelle redazioni o da una delle tre agenzie. È così che nasce l’effetto mainstream.

Ci si potrebbe chiedere perché i giornalisti non provano a produrre inchieste indipendenti. Luyendijk scrive in proposito: “ho provato a farlo, ma ogni volta, a turno, le tre sorelle intervenivano sulla redazione e imponevano la loro storia, punto“[9]. Talvolta alla TV alcuni giornalisti mostrano una preparazione che suscita ammirazione, perché rispondono con competenza e disinvoltura a domande difficili. La ragione, tuttavia, è banale: conoscono in anticipo le domande. Quello che si vede è puro teatro[10]. Talora, per risparmiare, alcuni media si servono dei medesimi corrispondenti e in tal caso i reportage che giungono alle testate sono due gocce d’acqua.

Nel libro The Business of News, Manfred Steffens, ex-redattore dell’agenzia tedesca DPA, afferma “non si capisce la ragione per la quale una notizia sarebbe attendibile se ne viene citata la fonte. Anzi, può esser vero il contrario, poiché la responsabilità viene in tal caso attribuita alla fonte citata, potenzialmente altrettanto inattendibile[11]“.

Ciò che le agenzie ignorano non è mai avvenuto. Nella guerra in Siria, l’Osservatorio siriano per i diritti umani – un’organizzazione di scarsa indipendenza, con sede a Londra e finanziata dal governo britannico[12] – ha avuto un ruolo di primo piano. L’Osservatorio ha inviato i suoi reportage alle tre agenzie, che li hanno inoltrati ai media, i quali a loro volta hanno informato milioni di lettori e telespettatori in tutto il mondo. La ragione per la quale le agenzie hanno fatto riferimento a tale Osservatorio – e chi lo finanziava – resta tuttora misteriosa.

Mentre alcuni temi sono semplicemente ignorati, altri sono enfatizzati, anche se non dovrebbero esserlo: “una plateale falsità o una messa in scena[13] sono digerite senza obiezioni davanti alla presunta rispettabilità di una blasonata agenzia di stampa o una rinomata testata, poiché in questi casi il senso critico tende a sfiorare lo zero[14]”. Tra gli attori più efficaci nell’iniettare menzogne troviamo i ministeri della difesa (in Occidente tutti a vario modo penetrati dall’intelligence Usa). Nel 2009, il capo dell’agenzia AP, Tom Curley, ha pubblicamente affermato che il Pentagono impiegava oltre 27.000 specialisti in pubbliche relazioni che con un budget annuale di cinque miliardi di dollari diffondevano quotidianamente informazioni manipolate (da allora budget e numero di specialisti sono cresciuti di molto!). Le agenzie di sicurezza americane hanno l’abitudine di raccogliere e distribuire a giornali e TV informazioni create a tavolino con una tecnica che rende impossibile conoscerne l’origine, facendo ricorso a formule quali ‘secondo fonti d’intelligence, secondo quanto confidenzialmente trapelato o lasciato intendere da questo o quel generale, e così via”[15].

Nel 2003, dopo l’inizio della guerra in Iraq, Ulrich Tilgner, veterano del Medio Oriente per TV tedesche e svizzere, ha parlato dell’attività manipolatoria dei militari e del ruolo dei media. “Con l’aiuto di questi ultimi, i militari costruiscono la percezione pubblica e la usano per i loro scopi, diffondendo scenari inventati. In questo genere di guerra, gli strateghi mediatici statunitensi svolgono una funzione simile a quella dei piloti dei bombardieri”.

 Ciò che è noto all’esercito Usa lo è anche ai servici d’intelligence. In tema di disinformazione, un ex-funzionario dell’intelligence Usa e un corrispondente della Reuters hanno riferito quanto segue alla TV britannica Channel 4: “Un ex-agente della Cia, John Stockwell, ha rivelato[16] che occorreva far sembrare la guerra angolana come un’aggressione nemica. Per tale ragione abbiamo sostenuto in ogni paese coloro che condividevano questa tesi. Un terzo del mio staff era formato da diffusori di propaganda, pagati per inventare storie e trovare il modo per farle arrivare alla stampa. Di solito, le redazioni dei giornali occidentali non sollevano dubbi quando ricevono notizie in linea con la narrazione dominante. Abbiamo inventato tante storie, che stanno ancor in piedi, ma è tutta spazzatura[17]“.

Fred Bridgland[18], riferendo del suo lavoro come corrispondente di guerra per la Reuters, afferma: “abbiamo basato i nostri rapporti sulle comunicazioni ufficiali. Solo alcuni anni dopo siano stati informati che un piccolo esperto di disinformazione della Cia da una scrivania situata in un’ambasciata degli Stati Uniti produceva comunicati che non avevano alcuna relazione con la verità o i fatti sul campo. Fondamentalmente, per dirla in modo crudo, puoi fabbricare qualsiasi schifezza e farla pubblicare su un giornale“.

I servizi d’intelligence, certamente, dispongono di un’infinità di contatti per far passare le loro menzogne, ma senza il ruolo servizievole delle tre agenzie in questione, la sincronizzazione mondiale della propaganda e della disinformazione non sarebbe così efficace[19]. Attraverso questo meccanismo moltiplicatore, racconti interamente fabbricati da governi, servizi militari e d’intelligence raggiungono il pubblico senza alcun filtro. La professione del cosiddetto giornalista meainstream, ormai ridotta a strapuntino del potere, si concretizza nel rabberciare, sulla scorta di veline elaborate altrove, questioni complesse di cui sanno poco o nulla in un linguaggio privo di logica fattuale e indicazione di fonti.

Per l’ex-giornalista di AP, Herbert Altschull, “secondo la prima legge del giornalismo i mezzi d’informazione sono ovunque uno strumento del potere politico e/o economico. Giornali, periodici, stazioni radiofoniche e televisive di mainstream non operano mai in modo indipendente, anche quando ne avrebbero la possibilità”[20].

Sino a poco fa, la libertà di stampa era ancor più teorica, date le elevate barriere d’ingresso, le licenze da ottenere, le frequenze da negoziare, i finanziamenti e le infrastrutture tecniche necessarie, i pochi canali disponibili, la pubblicità da raccogliere e altre restrizioni. Oggi, grazie a Internet, la prima legge di Altschull è stata parzialmente infranta. È così emerso un giornalismo di qualità finanziato dai lettori, di livello superiore rispetto ai media tradizionali, in termini di capacità critica e indipendenza.

Ciononostante, i media tradizionali restano cruciali, poiché disponendo di risorse ben più copiose sono in grado di catturare una moltitudine di lettori anche online. E tale capacità è collegata al ruolo delle tre agenzie, i cui aggiornamenti al minuto costituiscono la spina dorsale della maggior parte dei siti mainstream reperibili in rete.

In quale misura il potere politico ed economico, secondo la legge di Altschull, riuscirà a mantenere il controllo dell’informazione davanti all’avanzare di notizie incontrollate, cambiando così la struttura del potere e almeno in parte la consapevolezza della popolazione, solo il futuro potrà dirlo. Se si guarda ai rapporti di forza l’esito parrebbe scontato. L’uomo resta, tuttavia, arbitro del proprio destino. La lotta è sempre in corso.

Gli operatori mediatici internazionali

Noam Chomsky, forse il più grande intellettuale vivente, nel suo saggio “What makes the mainstream media mainstream“, afferma che: “se rompi gli schemi il potere ha molti modi per rimetterti in riga. Eppure, si può e si deve comunque reagire[21]. Alcuni grandi giornalisti affermano che nessuno ha mai detto loro cosa scrivere. Chomsky chiarisce così tale apparente contraddizione: “costoro non sarebbero lì se non avessero già dimostrato di scrivere o dire ogni volta, e spontaneamente, la cosa giusta. Se avessero iniziato la carriera scrivendo cose sbagliate, non sarebbero mai arrivati nel luogo dove ora possono dire, in apparenza, ciò che vogliono. Lo stesso vale per le facoltà universitarie nelle discipline che contano“[22].

Il giornalista britannico John Pilger[23], noto per le sue inchieste coraggiose, scrive di aver incontrato negli anni Settanta una delle principali propagandiste del regime di Hitler, Leni Riefenstahl, secondo la quale per giungere alla totale sottomissione del popolo tedesco era stato necessario, ma non difficile, manipolare le menti della borghesia liberale e istruita; il resto era venuto in automatico.

La tragedia di tale scenario è che gli accadimenti di valenza politica, geopolitica o economica con risvolti internazionali (ma in genere tutti gli argomenti sensibili) vengono accolti con minimo senso critico. I media occidentali vivono di pubblicità (corporazioni private) o di sovvenzioni pubbliche, e riflettono gli interessi della narrativa atlantica, sotto l’egida dell’architettura economica e di sicurezza americana.

I mass-media hanno l’obiettivo di distogliere le persone dalle questioni centrali: “puoi pensare quel che vuoi, ma siamo noi che gestiamo lo spettacolo. Lascia che s’interessino di sport, di cronaca, scandali sessuali, problemi delle celebrità, della finta dialettica governo-opposizioni, ma non di cose serie, poiché quelle sono riservate ai grandi“.

Inoltre, le persone-chiave dei media principali vengono cooptate dall’élite transatlantica, ottenendo in cambio carriere e posizioni. I circoli ristretti del potere transnazionale – quali il Council for Foreign Relations, il Gruppo Bilderberg, la Commissione Trilaterale, l’Aspen Institute, il World Economic Forum, Chatham House e altri – reclutano a man bassa operatori mediatici (i nomi degli italiani, insieme agli uomini politici, sono disponibili in rete).

Per Chomsky le università non fanno la differenza. La narrazione prevalente riflette quella mainstream. Esse non sono indipendenti. Possono esserci professori indipendenti, e questo vale anche per i media, ma l’istituzione come tale non lo è, poiché dipende da finanziamenti esterni o dal governo (a sua volta piegato ai menzionati poteri). Coloro che non si conformano sono accantonati strada facendo. Il sistema premia conformismo e obbedienza. Nelle università si apprendono le buone maniere, in particolare come interloquire con i rappresentanti delle classi superiori. È così che, senza dover ricorrere alla menzogna esplicita, l’accademia e i media interiorizzano valori e posture del potere da cui dipendono.

Come noto, ne La fattoria degli animali George Orwell fa una satira spietata dell’Unione Sovietica. Trent’anni dopo si scopre però che, nell’introduzione da lui scritta a suo tempo, e che qualcuno aveva soppresso, egli scriveva “la censura letteraria in Inghilterra è efficace come quella di un sistema totalitario, sola la tecnica è diversa, anche qui, a ulteriore evidenza che le menti indipendenti, quelle che generano riflessioni sbagliate, vengono ovunque ostacolate o estirpate.

Il Presidente statunitense Woodrow Wilson fu eletto nel 1916 su una piattaforma contro la guerra. La gente non voleva combattere guerre altrui. Pace senza vittoria, dunque senza guerra, era stato lo slogan. Una volta eletto, Wilson cambiò idea e si pose la domanda: come si fa a convertire una nazione pacifista in una disposta a far la guerra ai tedeschi? Fu così istituita la prima, e formalmente unica, agenzia di propaganda statale nella storia degli Stati Uniti, il Comitato per l’Informazione Pubblica (bel titolo orwelliano!), chiamato Commissione Creel, dal nome del suo direttore. L’obiettivo di spingere la popolazione nell’isteria bellicista e sciovinista fu raggiunto senza troppe difficoltà. In pochi mesi gli Stati Uniti entrarono in guerra. Tra coloro che furono impressionati da tale successo, troviamo anche Adolf Hitler. In Mein Kampf, questi afferma che la Germania fu sconfitta nella Prima guerra mondiale perché perse la battaglia dell’informazione, e promise: la prossima volta sapremo reagire con un adeguato sistema di propaganda, come in affetti avvenne quando giunse al potere.

Walter Lippmann, esponente di punta della Commissione Creel tra i più rispettati del giornalismo americano per circa mezzo secolo, affermava: “in democrazia esiste un’arte chiamata fabbricazione del consenso”, che non ha beninteso nulla di democratico. “Se si riesce a farla funzionare, si può accettare persino il rischio che il popolo vada a votare. Con adeguato consenso si riesce a rendere irrilevante anche il voto. Affinché gli umori siano allineati ai desideri di chi comanda occorre mantenere l’illusione che sia il popolo a scegliere governi e orientamenti politici. In tal modo, la democrazia funzionerà come deve. Ecco cosa significa applicare la lezione della propaganda”. Del resto, James Madison, uno dei padri della costituzione americana, affermava che l’obiettivo principale del sistema era quello di proteggere la minoranza dei ricchi contro la maggioranza dei poveri. E ancora una volta, a tal fine, lo strumento principe era la propaganda.

Il già citato John Pilger ricorda[24] che negli ultimi 70 anni gli Stati Uniti hanno rovesciato o tentato di rovesciare oltre cinquanta governi, in gran parte democrazie. Hanno interferito nelle elezioni democratiche di una trentina di Paesi. Hanno bombardato le popolazioni di trenta nazioni, la maggior parte povere e indifese. Hanno tentato di assassinare i dirigenti politici di una cinquantina di stati sovrani. Hanno finanziato o sostenuto la repressione contro movimenti di liberazione nazionale in una ventina paesi. La portata e l’ampiezza di questa carneficina viene evocata ogni tanto, ma subito accantonata, mentre i responsabili continuano a dominare la vita politica americana.

Lo scrittore statunitense Harold Pinter, ricevendo il premio Nobel per la letteratura nel 2005, aveva affermato: “la politica estera degli Stati Uniti si può definire come segue: baciami il culo o ti spacco la testa. Essa è semplice e cruda, e l’aspetto interessante è che funziona perché gli Usa hanno risorse, tecnologie e armi per spargere disinformazione attraverso una retorica distorsiva, riuscendo a farla franca. Essi sono dunque persuasivi, specie agli occhi degli sprovveduti e dei governi sottomessi. In definitiva, si tratta di una montagna di menzogne, ma funziona. I crimini degli Stati Uniti sono sistematici, costanti, feroci, senza remore, ma pochissime persone ne parlano e ne prendono coscienza. Essi manipolano in modo patologico il mondo intero, presentandosi come paladini del Regno del Bene. Un meccanismo di ipnosi collettiva che è sempre all’opera”.

Il lavaggio del cervello è sofisticato e va chiamato con il suo vero nome, se vi vuole contenerne gli effetti letali. I limitati spazi, un tempo aperti anche alle intelligenze controcorrente, si sono chiusi. Siamo in attesa di uomini valorosi, come negli anni Trenta contro il fascismo, insieme a intellettuali (quelli autentici), agli indignati, alle menti inquiete, a coloro che hanno pietà per i propri simili, a chi non deve vendere l’anima per dare un senso all’esistenza. La catarsi di una rivoluzione culturale, che resta il sale della storia, un giorno potrebbe forse indurci a gridare insieme a voce alta: basta, lorsignori, adesso basta! D’ora in avanti, il popolo spegne i vostri funesti apparati, generatori di menzogne e turpitudini, e torna a calpestare i sentieri della verità e della vita. Si sta facendo tardi, non c’è più molto tempo.

Alberto Bradanini 

(Ex diplomatico, ambasciatore italiano a Pechino) 

Note:

[1] “La supremazia di un gruppo sociale si manifesta in due modi, come dominio e come direzione intellettuale e morale. Un gruppo sociale è dominante dei gruppi avversari che tende a liquidare o a sottomettere anche con la forza armata, ed è dirigente dei gruppi affini e alleati. Un gruppo sociale può e anzi deve essere dirigente già prima di conquistare il potere governativo (è questa una delle condizioni principali per la stessa conquista del potere); dopo, quando esercita il potere ed anche se lo tiene fortemente in pugno, diventa dominante ma deve continuare ad essere anche dirigente” (Quaderni del carcere, Il Risorgimento, p. 70).

[2] https://swprs.org/the-propaganda-multiplier/

[3] Russia Today e Sputnik sono raggiungibili se si accede dal motore di ricerca Brave e da cellulari

[4] Hammler riferisce ad esempio che, secondo un rapporto sulla copertura della guerra in Siria (iniziata nel 2011) da parte di nove grandi testate europee, il 78% degli articoli erano copiati in tutto o in parte dai resoconti di una di queste agenzie. Nessun articolo era basato su ricerche indipendenti. Di conseguenza, ça va sans dire, l’82% degli articoli pubblicati era a favore dell’intervento militare di Stati Uniti-Nato.

[5] https://swprs.org/the-propaganda-multiplier/

[6] Höhne 1977, p. 11.

[7] Blum 1995, p. 9

[8] Per dieci anni redattore dell’emittente TV tedesca ARD

[9] Luyendijk p.54ff

[10] Luyendjik 2009, p. 20-22, 76, 189

[11] Steffens 1969, p. 106

[12] https://en.wikipedia.org/wiki/Syrian_Observatory_for_Human_Rights

[13] Blum 1995, p. 16

[14] Steffens 1969, p. 234

[15] Tilgner 2003, p. 132

[16] https://swprs.org/the-cia-and-the-media/

[17] https://swprs.org/the-propaganda-multiplier/

[18] Fred Bridgland – Wikipedia

[19] È istruttivo scorrere le informazioni che si trovano su questo sito https://swprs.org/media-navigator/.

[20] (Altschull 1984/1995, p. 298)

[21] Chomsky 1997, Cosa rende mainstream i media mainstream

[22] Chomsky 1997

[23] https://cambiailmondo.org/2022/12/28/il-silenzio-degli-innocenti-come-funziona-la-propaganda/

[24] https://cambiailmondo.org/2022/12/28/il-silenzio-degli-innocenti-come-funziona-la-propaganda/

Ucraina, piatto ricco mi ci ficco

di Fabrizio Casari

La trattativa per un cessate il fuoco in Ucraina non sembra nemmeno sul punto di nascere ma in realtà tutti gli addetti ai lavori sanno che da tempo ormai gli Stati Uniti, di fronte all’insostenibilità militare e finanziaria del confronto tra Ucraina e Russia, hanno dato luce verde alla CIA per dare vita ad una ipotesi di negoziato con mediazioni varie, ultima arrivata quella indiana.

C’è da essere fiduciosi sull’apertura di un negoziato? Tutto il sistema politico e mediatico scommette sulla sua impraticabilità, pur se in qualche momento di lucidità ne ravvisa l’improcrastinabilità, dato che Kiev è allo stremo e ancor più lo sono le finanze europee. A sostegno deciso di un’ipotesi che vorrebbe la fine della guerra in Aprile, arriva ora una notizia di assoluto interesse.

Il più grande fondo speculativo del mondo, Blackrock, il cui peso è dato dal volume dei suoi affari (ottomila miliardi di Dollari in portafoglio) e dalla rinomata influenza sulla politica statunitense, lavora alla raccolta fondi per la ricostruzione post-bellica dell’Ucraina. Le stime minori per rimettere in piedi il Paese arrivano a 350 miliardi di Dollari, quelle più pesanti si spingono a mille miliardi di Dollari.

Per la Blackrock sarebbe uno dei più colossali affari di questo decennio e, di fronte a questa prospettiva, non c’è afflato ideologico statunitense che tenga il confronto.

L’eventualità che ciò si realizzi rappresenterebbe una nuova applicazione sul campo della strategia “distruggi e terrorizza” poi divenuta “distruggi e ricostruisci”, iniziata con la prima guerra in Irak. La strategia prevede la distruzione dei paesi ostili a Washington, che oltre a liberarsi di avversari politici che questionano la sua legittimità di dominare il mondo a loro esclusiva convenienza, produce prima un gran guadagno per il settore bellico, volano centrale dell’economia statunitense, poi un business altrettanto grande per la ricostruzione di quello che prima si è distrutto.

Infatti, la fine delle ostilità si chiude sempre con in allegato un contratto che favorisce le multinazionali estrattive e le aziende di costruzione statunitensi, ai quali si aggiungono poi succosi contratti che il Pentagono firma con le società di mercenari incaricata di vegliare sul personale civile e diplomatico statunitense durante tutti gli anni della ricostruzione. I becchini si fanno medici: il tritolo di ieri diventa il cemento di domani.

La strategia del “distruggi e ricostruisci” è quindi portatrice per gli USA di grandi successi economici, oltre che geopolitici, ed è appunto legata ai successi militari a stelle e strisce. Infatti è fallita solo in Afghanistan e Siria, dove gli Stati Uniti hanno raccolto figuracce e disseminato il campo di mine e fughe. A Kabul sono stati letteralmente cacciati da alcune migliaia di uomini in ciabatte e turbante, a Damasco invece – aiutati da Iran e Hezbollah, oltre che dai siriani – ci hanno pensato i russi, che sono intervenuti ed hanno sbaraccato in poco tempo l’Isis e tutta la Nato.

Le tasche piene dei soliti noti

Dal punto di vista politico, economico e militare gli USA non usciranno comunque dall’Ucraina. La Monsanto (ora Bayern) resterà proprietaria della quota enorme di terra ucraina ottenuta praticamente in forma gratuita. Si è fantasticato in propaganda sull’impatto che l’assenza di grano ucraino sul mercato avrebbe sulla crisi alimentare africana, ma era una colossale fake news. I raccolti ucraini vanno per il 95% in Europa, in Africa solo va il 5% degli stessi.

L’acquisizione di campi coltivabili fu semplice, non certo un ricordo nobile per la sovranità ucraina. Monsanto ha preso le terre, i diritti di sfruttamento e persino i finanziamenti internazionali per la produzione, che l’Ucraina richiedeva e gli statunitensi incassavano. Secondo una interrogazione parlamentare di Die Linke al Bundestag, ci fu una linea di credito da 17,000 milioni di dollari concessa all’Ucraina nel 2014 da parte delle istituzioni finanziare internazionali guidate dal Fondo monetario internazionale e il denaro utilizzato da Kiev per far ripartire le coltivazioni. Se le accuse di Die Linke fossero vere, saremmo al paradosso di un governo che riceve finanziamenti che poi dà alle imprese straniere per fare landgrabbing in casa propria.

Idem dicasi per i 37 laboratori biologici per la guerra batteriologica aperti e gestiti dai militari USA in territorio ucraino. Secondo il Cremlino il Pentagono ha finanziato la modernizzazione di almeno sessanta laboratori biologici segreti lungo i confini cinese e russo e il ministero degli Esteri cinese afferma che dispone dei dati che mostrano che Washington ha 336 laboratori sotto il suo controllo in 30 stati al di fuori della giurisdizione nazionale.

Si ricordi che gli esperimenti sul guadagno di funzione, cioè gli studi che permettono di modificare geneticamente un virus animale al fine di trasformarlo in un patogeno che possa essere trasmesso da uomo a uomo, sono vietati negli Stati Uniti dal 2014. In questo l’Ucraina è una cuccagna: agli statunitensi i risultati degli esperimenti, agli ucraini i rischi di possibili contaminazioni.

I laboratori resteranno saldamente nelle mani statunitensi, così come saranno gli Stati Uniti i maggiori creditori dell’Ucraina, che dovrà passare l’eternità a risarcire Washington per le forniture di armamenti, che tutti fanno finta di credere siano aiuti quando in realtà sono contratti di vendita.

Dovranno rinunciare, forse, alle ricche miniere del Donbass ed ai relativi affari di Hunter Biden, che andrà a tirare crack altrove. Del resto il potere d’interdizione del Presidente Biden non sarà più quello avuto fino ad ora; le elezioni di middle term e la sua demenza avanzata lo rilegano ormai a un puro ruolo raffigurativo. La stessa ridicola cerimonia di Zelensky al Congresso con l’esultanza di congress-man democratici ormai scaduti e la presenza di solo 70 dei 238 senatori repubblicani, è stata in qualche modo il canto del cigno di Biden più che l’inizio di una nuova era. La pagliacciata sulla minaccia russa è servita soprattutto a sostenere l’enorme aumento del budget per le spese militari, portate alla stratosferica somma di 858 miliardi di Dollari (addirittura 45 in più di quelli richiesti dalla Casa Bianca!), record assoluto nella storia statunitense e indicatore di direzione per la prossima guerra alla Cina.

Un simile aumento di budget sembra anche ignorare i risultati di un audit interno, che rivela come il Pentagono non sappia dove siano andati a finire 6500 miliardi di Dollari, circa il 40% del PIL degli USA. Denari dei cittadini di cui mancano i rendiconti, che risultano “dispersi in azione”.

E se la lobby delle armi viene soddisfatta anche quella del petrolio avrà soddisfazione. La guerra voluta dagli USA ha ottenuto il principale risultato che si prefiggeva: bloccata la partnership commerciale tra Russia ed Europa, fine delle forniture energetiche che consentivano lo sviluppo dei paesi UE, blocco delle attività finanziarie e rottura delle relazioni politiche. La dipendenza europea dalla Russia è diventata dipendenza dagli Stati Uniti e dal loro gas liquido, di scarsa quantità, minor qualità e maggior prezzo.

Firmare una pace ma continuare la guerra

A questo punto, il proseguimento della guerra così com’è non avrebbe senso, i risultati che si volevano ottenere si sono ottenuti. Mosca è lontana dall’Occidente ed è sempre più ancorata ad Oriente. La pressione militare della Nato sulla Russia resterebbe alta e, anche se gli accordi di pace dovessero prevedere Crimea e Donbass come territori russi, il risultato sarebbe quello di mettere altri 300, utilissimi, chilometri tra Mosca e la linea del fronte ucraino. L’addio scontato alla nato da parte di Kiev potrà essere sostituito dall’abbraccio mortale della UE, così i drammi sociali e i costi del ripristino dell’economia ucraina verranno pagati dagli europei.

Continuare una guerra convenzionale sarebbe un enorme onere per Washington e Bruxelles senza nessuna possibilità di vittoria sul campo. Di contro, addestrare, armare e finanziare i gruppi neonazisti incaricati di continuare le azioni militari anche dopo il raggiungimento di un accordo di pace, costerebbe poco e renderebbe molto. Un po’ quello messo in opera dal 2014 al 2022 con gli Accordi di Minsk, il cui rispetto è stato una burla, serviva solo ad avere tempo per costruire l’esercito ucraino, come ha candidamente confessato Angela Merkel.

Nelle teste d’uovo del Pentagono e di Langley si prospetta uno scenario nel quale l’Ucraina viene ridotta sensibilmente nelle sue dimensioni, creando così una corrente politico-militare che non riconosce gli accordi e sceglie la via del conflitto. Si creerebbe così un modello di guerriglia permanente come quello dei mujaheddin afghani e dei ceceni, che tennero Mosca impegnata militarmente per anni, senza altro scopo che fiaccarla e metterla nelle condizioni di dirottare le risorse del comparto bellico orientato sulla guerra a bassa intensità, più che su quella convenzionale e nucleare che preoccupa USA e UE.

Perché come sempre avviene dopo un conflitto che ha radici lontane, la pace non comporta la pacificazione. Soprattutto se gli sponsor della guerra continuano a soffiare sul fuoco del terrore.

FONTE: http://www.altrenotizie.org/in-evidenza/9856-ucraina-piatto-ricco-mi-ci-ficco.html

Il silenzio degli innocenti. Come funziona la propaganda

di John Pilger

Negli anni settanta ho incontrato Leni Riefenstahl, una delle principali propagandiste di Hitler, i cui film epici glorificavano il nazismo. Ci capitò di soggiornare nello stesso hotel in Kenya, dove lei si trovava per un incarico fotografico, essendo sfuggita al destino di altri amici del Führer.
 Mi disse che i “messaggi patriottici” dei suoi film non dipendevano da “ordini dall’alto” ma da quello che lei definiva il “vuoto sottomesso” del pubblico tedesco.

Questo coinvolgeva la borghesia liberale e istruita? Ho chiesto. “Sì, soprattutto loro”, rispose.

Penso a questo quando mi guardo intorno e osservo la propaganda che sta deteriorando le società occidentali.

Certo, siamo molto diversi dalla Germania degli anni trenta. Viviamo in società dell’informazione. Siamo globalisti. Non siamo mai stati così consapevoli, così in contatto, così connessi.

Lo siamo? Oppure viviamo in una Società Mediatica in cui il lavaggio del cervello è insidioso e implacabile e la percezione è filtrata in base alle esigenze e alle bugie del potere statale e del potere delle imprese?

Gli Stati Uniti dominano i media del mondo occidentale. Tutte le dieci principali società mediatiche, tranne una, hanno sede in Nord America. Internet e i social media – Google, Twitter, Facebook – sono per lo più di proprietà e controllo americano.

Nel corso della mia vita, gli Stati Uniti hanno rovesciato o tentato di rovesciare più di 50 governi, la gran parte democrazie. Hanno interferito nelle elezioni democratiche di 30 Paesi. Hanno sganciato bombe sulla popolazione di 30 paesi, la maggior parte dei quali poveri e indifesi. Hanno tentato di assassinare i dirigenti politici di 50 paesi.  Hanno combattuto per reprimere i movimenti di liberazione in 20 paesi.

La portata e l’ampiezza di questa carneficina è in gran parte non riportata, non riconosciuta; e i responsabili continuano a dominare la vita politica anglo-americana.

Negli anni precedenti la sua morte, avvenuta nel 2008, il drammaturgo Harold Pinter pronunciò due discorsi straordinari, che ruppero il silenzio.

“La politica estera degli Stati Uniti”, disse, “è meglio definita come segue: baciami il culo o ti spacco la testa. È così semplice e cruda. L’aspetto interessante è che ha un successo incredibile. Possiede le strutture della disinformazione, dell’uso della retorica, della distorsione del linguaggio, che sono molto persuasive, ma in realtà sono un sacco di bugie. È una propaganda di grande successo. Hanno i soldi, hanno la tecnologia, hanno tutti i mezzi per farla franca, e la fanno”.

Nell’accettare il Premio Nobel per la Letteratura, Pinter ha detto questo: “I crimini degli Stati Uniti sono stati sistematici, costanti, feroci, senza remore, ma pochissime persone ne hanno veramente parlato. Occorre riconoscerlo all’America. Ha esercitato una manipolazione affatto patologica del potere in tutto il mondo, mascherandosi come forza per il bene universale. È un atto di ipnosi brillante, persino spiritoso e di grande successo”.

Pinter era un mio amico e forse l’ultimo grande saggio politico, cioè prima che la politica del dissenso si fosse imborghesita. Gli chiesi se la “ipnosi” a cui si riferiva fosse il “vuoto sottomesso” descritto da Leni Riefenstahl.

“È la stessa cosa”, ha risposto. “Significa che il lavaggio del cervello è così accurato tanto che siamo programmati a ingoiare un mucchio di bugie. Se non riconosciamo la propaganda, possiamo accettarla come normale e crederci. Questo è il vuoto sottomesso”.

Nei nostri sistemi di “democrazia delle grandi imprese”, la guerra è una necessità economica, il connubio perfetto tra sovvenzioni pubbliche e profitto privato: socialismo per i ricchi, capitalismo per i poveri. Il giorno dopo l’11 settembre i prezzi delle azioni dell’industria bellica sono saliti alle stelle. Stavano per arrivare altri spargimenti di sangue, il che è ottima cosa per gli affari.

Oggi le guerre più redditizie hanno un proprio marchio. Si chiamano “guerre eterne”: Afghanistan, Palestina, Iraq, Libia, Yemen e ora Ucraina. Tutte si basano su un cumulo di bugie.

L’Iraq è la più famosa, con le sue armi di distruzione di massa che non esistevano. Nel 2011 la distruzione della Libia da parte della Nato è stata giustificata da un massacro a Bengasi che non c’è stato. L’Afghanistan è stata una comoda guerra di vendetta per l’11 settembre, la qual cosa non aveva nulla a che fare con il popolo afghano.

Oggi, le notizie dall’Afghanistan parlano di quanto siano malvagi i talebani, e non del fatto che il furto di 7 miliardi di dollari delle riserve bancarie del paese da parte di Joe Biden stia causando sofferenze diffuse. Recentemente, la National Public Radio di Washington ha dedicato due ore all’Afghanistan e 30 secondi al suo popolo affamato.

Al vertice di Madrid di giugno, la Nato, controllata dagli Stati Uniti, ha adottato un documento strategico che militarizza il continente europeo e aumenta la prospettiva di una guerra con Russia e Cina. Il documento propone “un combattimento bellico multidimensionale contro un contendente dotato di armi nucleari”. In altre parole, una guerra nucleare.

Dice: “L’allargamento della Nato è stato un successo storico”.

L’ho letto con incredulità.

Una misura di questo “successo storico” è la guerra in Ucraina, le cui notizie per lo più non sono notizie, ma una litania unilaterale di sciovinismo, distorsione, omissione. Ho raccontato diverse guerre e non ho mai conosciuto una propaganda così generalizzata.

Nello scorso febbraio, la Russia ha invaso l’Ucraina come risposta a quasi otto anni di uccisioni e distruzioni nella regione russofona del Donbass, al suo confine.

Nel 2014, gli Stati Uniti hanno sponsorizzato un colpo di stato a Kiev per sbarazzarsi del presidente ucraino democraticamente eletto e favorevole alla Russia, insediando un successore che gli americani stessi hanno chiarito essere il loro uomo.

Negli ultimi anni, missili “di difesa” americani sono stati installati in Europa orientale, Polonia, Slovenia, Repubblica Ceca, quasi certamente puntati contro Russia, accompagnati da false rassicurazioni che risalgono alla “promessa” di James Baker a Gorbaciov, nel febbraio 1990, secondo la quale la Nato non si sarebbe mai espansa oltre la Germania.

L’Ucraina è la linea del fronte. La Nato ha di fatto raggiunto la stessa terra di confine attraverso la quale l’esercito di Hitler irruppe nel 1941, causando più di 23 milioni di morti in Unione Sovietica.

Lo scorso dicembre, la Russia ha proposto un piano di sicurezza per l’Europa di vasta portata. I media occidentali lo hanno respinto, deriso o soppresso. Chi ha letto le sue proposte passo dopo passo? Il 24 febbraio, il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyy ha minacciato di sviluppare armi nucleari se l’America non avesse armato e protetto l’Ucraina. Questa è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso.

Lo stesso giorno, la Russia ha invaso l’Ucraina – secondo i media occidentali, un atto non provocato di infamia congenita. La storia, le bugie, le proposte di pace, gli accordi solenni sul Donbass a Minsk non hanno contato nulla.

Il 25 aprile, il Segretario alla Difesa degli Stati Uniti, il generale Lloyd Austin, è volato a Kiev e ha confermato che l’obiettivo dell’America è quello di distruggere la Federazione Russa – la parola che ha usato è “indebolire”. L’America aveva ottenuto la guerra che voleva, condotta per procura da una pedina sacrificabile, finanziata e armata dall’America stessa.

Quasi nulla di tutto ciò è stato spiegato alle opinioni pubbliche occidentali.

L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia è sconsiderata e imperdonabile. Invadere un paese sovrano è un crimine. Non ci sono “ma” – tranne uno.

Quando è cominciata l’attuale guerra in Ucraina, e chi l’ha iniziata? Secondo le Nazioni Unite, tra il 2014 e quest’anno, circa 14.000 persone sono state uccise nella guerra civile del regime di Kiev nel Donbass. Molti degli attacchi sono stati condotti da neonazisti.

Guardate un servizio di ITV News del maggio 2014, realizzato dal veterano dei reporters James Mates, il quale viene bombardato, insieme ai civili nella città di Mariupol, dal battaglione Azov (neonazista) dell’Ucraina.

Nello stesso mese, decine di persone di lingua russa sono state bruciate vive o soffocate in un edificio dei sindacati di Odessa, assediato da teppisti fascisti, seguaci del collaborazionista e fanatico antisemita Stephen Bandera.  Il New York Times ha definito i teppisti “nazionalisti”.

“La missione storica della nostra nazione in questo momento critico”, ha dichiarato Andreiy Biletsky, fondatore del Battaglione Azov, “è quella di guidare le Razze Bianche del mondo in una crociata finale per la loro sopravvivenza, una crociata contro gli Untermenschen (sottouomini) guidati dai semiti”.

Da febbraio, una campagna di autoproclamati “news monitors” (“osservatori delle informazioni”), per lo più finanziati da americani e britannici aventi legami con i governi, ha cercato di sostenere l’assurdità secondo la quale i neonazisti ucraini non esistono.

Il ritocco delle fotografie, un termine un tempo associato alle purghe staliniane, è diventato uno strumento del giornalismo dominante.

In meno di un decennio, la Cina “buona” è stata “ritoccata” e la Cina “cattiva” l’ha sostituita: da laboratorio e fabbrica del mondo a nuovo Satana emergente.

Gran parte di questa propaganda ha origine negli Stati Uniti ed è trasmessa attraverso vari intermediari e vari “think tank”, come il famoso Australian Strategic Policy Institute, voce dell’industria delle armi, e da giornalisti zelanti come Peter Hartcher del Sydney Morning Herald, che ha etichettato coloro che diffondono l’influenza cinese come “ratti, mosche, zanzare e passeri” e ha auspicato che questi “parassiti” vengano “estirpati”.

Le notizie sulla Cina in Occidente riguardano quasi esclusivamente la minaccia proveniente da Pechino. “Ritoccate” sono le 400 basi militari americane che circondano la maggior parte della Cina, una collana armata che si estende dall’Australia al Pacifico e al sud-est asiatico, al Giappone e alla Corea. L’isola giapponese di Okinawa e quella coreana di Jeju sono armi cariche puntate a bruciapelo sul cuore industriale della Cina. Un funzionario del Pentagono ha descritto questa situazione come un “cappio”.

La Palestina è stata raccontata in modo errato da sempre, a mia memoria. Per la Bbc, c’è il “conflitto” tra “due narrazioni”. L’occupazione militare più lunga, brutale e illegale dei tempi moderni è innominabile.

La popolazione colpita dello Yemen esiste a malapena. È un “non-popolo mediatico”.  Mentre i sauditi fanno piovere le loro bombe a grappolo americane, con i consiglieri britannici che lavorano a fianco degli ufficiali sauditi addetti al bombardamento, più di mezzo milione di bambini rischiano di morire di fame.

Questo lavaggio del cervello per omissione ha una lunga storia. Il massacro della prima guerra mondiale è stato cancellato da reporter che sono stati insigniti del cavalierato per il loro impegno e che hanno poi confessato nelle loro memorie.  Nel 1917, il direttore del Manchester Guardian, C. P. Scott, confidò al primo ministro Lloyd George: “Se la gente sapesse davvero [la verità], la guerra verrebbe fermata domani, ma non sa e non può sapere”.

Il rifiuto di vedere le persone e gli eventi come li vedono gli altri paesi è un virus mediatico in Occidente, debilitante quanto il Covid.  È come se vedessimo il mondo attraverso uno specchio unidirezionale, in cui “noi” siamo morali e benigni e “loro” no. È una visione profondamente imperiale.

La storia quale presenza viva in Cina e in Russia è raramente spiegata e raramente compresa. Vladimir Putin è Adolf Hitler. Xi Jinping è Fu Man Chu. Risultati epici, come lo sradicamento della povertà in Cina, sono a malapena conosciuti. Quanto è perverso e squallido tutto ciò.

Quando ci permetteremo di comprendere? La formazione dei giornalisti in laboratorio non è la risposta. E nemmeno il meraviglioso strumento digitale, che è un mezzo, non un fine, come la macchina da scrivere con un solo dito e la macchina per linotype.

Negli ultimi anni, alcuni dei migliori giornalisti sono stati espulsi dai media dominanti. “Defenestrati” è il termine usato. Gli spazi un tempo aperti ai cani sciolti, ai giornalisti controcorrente, a quelli che dicevano la verità, si sono chiusi.

Il caso di Julian Assange è il più sconvolgente.  Quando Julian e WikiLeaks erano in grado di conquistare lettori e premi per il Guardian, il New York Times e altri autodefiniti importanti “giornali di cronaca”, venivano celebrati.

Quando lo Stato occulto si è opposto e ha chiesto la distruzione dei dischi rigidi e l’assassinio del personaggio di Julian, egli è stato reso un nemico pubblico. Il vicepresidente Biden lo ha definito un “terrorista hi-tech”. Hillary Clinton ha chiesto: “Non possiamo silenziarlo proprio questo tipo?”.

La seguente campagna di abusi e di diffamazione contro Julian Assange – il Relatore sulla Tortura delle Nazioni Unite l’ha definita “mobbing” – ha condotto la stampa liberale al suo minimo storico. Sappiamo chi sono. Li considero dei collaborazionisti: giornalisti del regime di Vichy.

Quando si solleveranno i veri giornalisti? Un samizdat ispiratore esiste già in Internet: Consortium News, fondato dal grande reporter Robert Parry, Grayzone di Max Blumenthal, Mint Press News, Media Lens, Declassified UK, Alborada, Electronic Intifada, WSWS, ZNet, ICH, Counter Punch, Independent Australia, il lavoro di Chris Hedges, Patrick Lawrence, Jonathan Cook, Diana Johnstone, Caitlin Johnstone e altri che mi perdoneranno se non li cito qui.

E quando gli scrittori si alzeranno in piedi, come fecero contro l’ascesa del fascismo negli anni trenta? Quando si alzeranno i registi, come fecero contro la guerra fredda negli anni quaranta? Quando si solleveranno gli autori della satira, come fecero una generazione fa?

Dopo essersi immersi per 82 anni in un profondo bagno di perbenismo, la versione ufficiale dell’ultima guerra mondiale, non è forse giunto il momento che coloro che sono destinati a dire la verità dichiarino la loro indipendenza e decodifichino la propaganda? L’urgenza è più grande che mai.

Questo articolo è una versione modificata di un discorso tenuto al Trondheim World Festival, Norvegia, il 6 settembre 2022. Titolo originale “The Silence of the Lambs. How Propaganda works”.

Traduzione dall’inglese di Giorgio Riolo

Immagine in apertura: Il varco, progetto cinematografico di Federico Ferrone e Michele Manzolini, Italia, 2019, prodotto da Kiné, Home Movies – Archivio Nazionale del Film di Famiglia, Istituto Luce Cinecittà, Rai Cinema, con il contributo di Emilia-Romagna Film Commission

FONTE:http://effimera.org/il-silenzio-degli-innocenti-come-funziona-la-propaganda-di-john-pilger

Approvata la nona tranche di sanzioni alla Russia nonostante l’economia italiana vada incontro a nuova recessione e un’ulteriore crisi sociale

di Andrea Vento

Come preannunciato da alcuni giorni, il 16 dicembre il Consiglio Europeo, evidentemente non appagato dagli effetti delle tranche precedenti, ha approvato il nono pacchetto di sanzioni contro la Russia introdotte a partire dal 23 febbraio scorso, due giorni dopo il riconoscimento da parte di Mosca delle Repubbliche Popolari del Donbass e uno prima dell’inizio dell’invasione via terra1.

Nonostante tali misure restrittive, da un lato, non stiano incidendo sulle sorti del conflitto, nel cui contesto l’esercito russo continua a sparare giornalmente dai 30.000 ai 50.000 colpi di artiglieria mentre le forze ucraine non sembrano nemmeno in grado di mantenere il ritmo dei 7.000, dall’altro, stanno avendo pesanti ripercussioni sul ciclo economico e sui flussi commerciali degli Stati che le hanno comminate2. In particolare per quanto riguarda il nostro Paese ilFondo Monetario Internazionale (Fmi) nel suo ultimo Outlook dell’11 ottobre prevede per l’Italia, a seguito degli effetti dell’inasprimento delle sanzioni, una variazione negativa del Pil per il 2023 del -0,2% (rispetto a +0,7% di luglio). Il nostro risulterebbe l’unico Paese in recessione dell’eurozona insieme alla Germania (-0,3%), non causalmente i due Stati maggiormente dipendenti fino allo scorso anno dalle forniture russe, quantificate intorno al 40% del fabbisogno nazionale di entrambi.

Carta 1: le previsioni economiche per il 2023 del World Economic Outlook del Fmi di ottobre 20223.

La destabilizzazione della ripresa post-pandemica italiana e comunitaria risulta, peraltro, accompagnata da una decisa impennata dell’inflazione tendenziale annua, dall’Istat confermata a novembre, in linea con quella di ottobre, all’11,8%, la quale sta causando gravi problemi alle imprese, oltre a ridimensionare in maniera significativa il potere d’acquisto di pensioni, salari e stipendi.

Incuranti del rallentamento economico in cui si sta impantanando l’Eurozona (solo +0,5 nel 2023 secondo l’Outlook di ottobre del Fmi, tab. 1), il Consiglio della Banca Centrale Europea (Bce) nella riunione del 15 dicembre ha deciso, per la quarta volta a partire da luglio, l’innalzamento dei tassi di interesse, questa volta dello 0,50%, portando il saggio di riferimento al 2,5% nell’intento di contenere la spinta inflazionistica e presagendo un ulteriore aumento a marzo 2023. Il rialzo dei tassi, oltre ad incidere negativamente sulle rate dei mutui delle famiglie, comporterà per il nostro Paese, secondo il Centro Studi della Cgia di Mestre, un appesantimento dell’onere degli interessi sulle imprese pari 14,9 miliardi di euro. Politiche monetarie restrittive che provocheranno, in base alle previsioni dell’agenzia EY, una riduzione dei prestiti bancari dell’1,8%4, che insieme all’aumento dei costi dell’energia e delle materie prime già in corso difficilmente potranno evitare una nuova caduta in recessione della nostra economia (tabella 1).

Tabella 1: previsioni economiche dei 4 World Economic Outlook del 2022 del Fmi per l’anno 2023


Previsioni economiche per l’anno 2023

Gennaio 22Aprile 22Luglio 22Ottobre 22
Eurozona2,5%2,3%1,2%0,5%
Italia2,2%1,7%0,7%– 0,2%
Germania2,5%2,7%0,8%– 0,3%
Russia2,1%– 2,3%– 3,5%– 2,3%

A supporto del fosco trend prospettato dal Fmi, troviamo anche le proiezioni macroeconomiche per l’Italia per il quadriennio 2022-25, elaborate dagli esperti della Banca d’Italia di concerto con la Bce e pubblicate da Via Nazionale il 16 dicembre in contemporanea con l’approvazione della nona tranche di sanzioni (e diffuse il giorno prima dal sito della Bce insieme a quelle degli altri membri dell’Eurozona), le quali rivelano un’incomprensibile distonia prospettica e funzionale nell’operato delle istituzioni comunitarie. Il rapporto, a fianco di un poco probabile scenario base, prevede, sulla scorta della persistente alta inflazione, del rialzo dei tassi e delle perseveranti tranche di sanzioni, altro ben più realistico quadro avverso nell’ipotesi di una eventuale interruzione permanente dei flussi di materie prime energetiche dalla Russia, il quale provocherebbe una limitata disponibilità di gas nel prossimo inverno e in quello successivo. Al netto delle strategie della speculazione finanziaria che hanno determinato l’impennata del gas già da settembre 20215, il rapporto “ipotizza che la riduzione nell’offerta di materie prime energetiche comporti un forte aumento delle loro quotazioni sui mercati internazionali, una maggiore incertezza, in particolare nei mesi invernali 2023 e del 2024, e un marcato indebolimento del commercio mondiale”. Il rapporto conclude affermando che “in questo scenario il Pil si ridurrebbe di circa l’1% sia nel 2023 sia nel 2024 e rimarrebbe poco più che stagnante nell’anno successivo (poco sopra lo zero). L’inflazione al consumo salirebbe ulteriormente nel 2023, avvicinandosi all’11% (come valore medio annuo, ndr), per poi scendere progressivamente, riportandosi al 2,0% nel 2025”6. Con i consumi e gli investimenti in macchinari in contrazione e una disoccupazione stabile all’8,3% nei prossimi 2 anni. Previsioni, peraltro, in linea con quelle della principale agenzia di rating, Standard & Poors, del 9 dicembre7 nelle quali, nel 2023, la flessione del Pil per il nostro Paese viene quantifica in -1,1% e per l’Eurozona addirittura in -0,9%.

Quindi secondo la Bce e la Banca d’Italia, il nostro Paese che ha già rinunciato volontariamente al carbone e al petrolio russo, a seguito delle varie tranche di sanzioni e prevede di fare a meno del gas di Mosca con il piano comunitario REPowerEU del 18 maggio8, in caso di ulteriore inasprimento delle sanzioni, come in realtà già accaduto il 16 u.s, e probabili ritorsioni russe, scenderà in recessione nei prossimi due anni, uno scenario più drammatico di quello dipinto dal Fmi ad ottobre. Il tutto, in attesa del consueto Outlook di gennaio dell’Istituto di Washington, nel quale le previsioni saranno quasi sicuramente riviste al ribasso.

Le ricadute delle sanzioni e dell’aumento dei prezzi sul nostro commercio estero

L’aumento dei prezzi che sta interessando il nostro Paese, e in generale tutte le economie occidentali, dalla seconda metà del 2021, si caratterizza come una tipica inflazione importata generata dall’aumento del costo delle materie prime provenienti dall’estero, a causa di un mix di fattori: l’inadeguatezza dell’offerta al cospetto dell’incremento della domanda sospinta dalla ripresa post-pandemica (i cosiddetti colli di bottiglia), le spregiudicate strategie della finanza speculativa tramite strumenti derivati, le sanzioni occidentali imposte alla Russia e, da ultimo, gli effetti della guerra in Ucraina, in termini di varie difficoltà di approvvigionamento, fra i quali il sabotaggio dei gasdotti North Stream 1 e 2. L’elevata inflazione in essere, considerata dagli esperti una delle più gravi problematiche che possono affliggere un’economia, oltre ad aver indotto le banche centrali, Federal Reserve (Fed), Banca Centrale Europea e Bank of England (BoE) in primis9, all’aumento dei tassi di riferimento con effetti depressivi sul ciclo economico (rallentamento e recessione), incidono, a livello sociale sulla contrazione del potere d’acquisto dei lavoratori, mentre in campo commerciale generano effetti negativi sull’interscambio estero.

Su quest’ultimo aspetto, l’Istat nel suo ultimo report10 del 16 dicembre, ci mostra come il saldo della nostra bilancia commerciale abbia cambiato di segno, passando in campo negativo, proprio da dicembre 2021 (grafico 1), non causalmente, in corrispondenza del primo picco a 110 euro a MegaWatt/ora dei prezzi dei contratti spot (vale a dire a pronti) del gas su mercato Ttf di Amsterdam (tabella 2), per poi mantenersi passiva fino ad ottobre 22, ultimo mese di disponibilità dei dati.

Grafico 1: saldo della bilancia commerciale italiana fra gennaio 2017 e ottobre 2022. Fonte Istat

Tabella 2: prezzi medi mensili in euro delle transazioni spot del gas sul mercato olandese Ttf fra aprile 2021 e novembre 2022 al metro cubo e per MegaWatt/ora11


I prezzi medi mensili dei contratti spot del gas nel mercato Ttf in €
MeseAnnoCosto in al mcCosto in al MWh
Aprile20210,21920,50
Maggio20210,27025,21
Giugno20210.31329,12
Luglio20210.38836,23
Agosto20210,47244,12
Settembre20210,67963,45
Ottobre20210,93687,47
Novembre20210,87481,70
Dicembre20211,178110,12
Gennaio20220,89583,63
Febbraio20220,88983,07
Marzo20221,342125,42
Aprile20220,99092,80
Maggio20220,95689,34
Giugno20221,112103,92
Luglio20221,746173,17
Agosto20222,487232,20
Settembre20222,019188,69
Ottobre20220,85079,44
Novembre20220,97591,18

Dal rapporto in questione, fra le varie, si evince come nei primi 10 mesi di quest’anno, rispetto al corrispondente periodo dell’anno precedente, il valore delle nostre esportazioni sia cresciuto del 20,8%, mentre quello delle importazioni di ben il 41,8%, principalmente a causa dell’impennata del 151,7% della “bolletta” dell’energia importata, facendo sprofondare il saldo della bilancia commerciale fra gennaio e ottobre a -33,57 miliardi di euro.

Una debacle commerciale, riconducibile in primis alle poco avvedute sanzioni comminate alla Russia e ai suoi vari effetti collaterali, che è andata aggravandosi nel terzo trimestre dell’anno in corso, nel quale, rispetto al precedente (variazione congiunturale), il valore dell’export è addirittura diminuito dello 0,7% e quello dell’import è invece cresciuto del 3,9%.

L’Istat, infine, ci indica che è crollato anche il nostro interscambio commerciale con la Russia ad ottobre 2022 su base tendenziale (rispetto al corrispondente mese dell’anno precedente), quantificato in -30,9% per l’export e, addirittura, del -44,2% per l’import, con un controvalore totale dell’interscambio annuo fra Roma e Mosca di 25 miliardi di euro nel 2021. Ciò in conseguenza delle sanzioni adottate su pressione statunitense e del piano REPowerEU a causa dei quali abbiamo ridotto l’export e l’acquisto dalla Russia di materie prime minerarie, prodotti siderurgici, petrolio e, soprattutto, gas via conduttura, acquistato tramite convenienti contratti pluriennali, sostituendolo, oltre che con maggiori forniture tramite il gasdotto algerino, anche con l’aumento dell’import del Gas Naturale Liquefatto (Gnl) via nave12, a costi decisamente più elevati, da Stati Uniti, Qatar e, situazione paradossale, anche dalla Russia stessa, passato da 11,3 a 16,2 miliardi di mc nei primi 10 mesi di quest’anno (+46%) rispetto al corrispondente periodo del 202113 e con l’aggravante dell’incertezza nella continuità di forniture.

Mentre la transizione energetica, insieme all’inefficiente ministro Cingolani, è rimasta al palo, le famiglie e le imprese italiane arrancano per l’insostenibile aumento delle spese energetiche e dell’inflazione in generale a causa di improvvide scelte in campo economico e di politica internazionale.

I costi degli interventi per la guerra, le spese militari e il caro energia

Una volta acquisito, alla luce dell’analisi effettuata, che dal punto di vista economico e sociale il trend in atto è destinato ad aggravarsi nel prossimo biennio, con un sempre più probabile ritorno in recessione a soli 3 anni da quella pandemica e un aumento dell’aumento della povertà assoluta, in aggiunta ai 5,6 milioni di persone già quantificate per 2021 dall’Istat a giugno scorso14, non resta che individuare quanto lo Stato italiano abbia speso per la guerra in Ucraina e per contenere l’impatto dell’aumento dell’energia su famiglie e imprese.

Per quanto riguarda il solo costo degli armamenti inviati fino a tutto novembre, in base ai calcoli effettuati dall’Osservatorio Mil€x su dati del Ministero della Difesa, ammonterebbe a 450 milioni di euro, in attesa di ulteriori decisioni con la finanziaria in corso di definizione15. Dall’analisi delle tabelle preliminari della Legge di Bilancio 2023, sempre effettuata dalla stessa associazione, risulterebbe che il bilancio ordinario della Difesa passerebbe da 25,9 a 27,7 miliardi di europer il 2023, a causa principalmente dell’aumento dei costi del personale di Esercito, Marina e Aeronautica di 600 milioni di euro e dell’acquisto di nuovi armamenti per 700 milioni ai quali vanno aggiunti gli stanziamenti del Ministero dell’Economia e delle Finanze (Mef) per le missioni all’estero, pari a 1,5 miliardi di euro, con un aumento del 10% rispetto al 202216.

Le spese per il contenimento del caro energia, invece, secondo il think tank belga Bruegel (Brussels European and Global Economic Laboratory), ammonterebbero per il nostro Paese a ben 49,5 miliardi di euro fra settembre 2021, inizio dell’impennata del gas, e il termine del mandato di Draghi, risultando il secondo Paese dell’Ue per valore assoluto, dietro solo alla Germania e il terzo in rapporto al Pil (2,8%)17. Ai quali vanno aggiunti ben 21 dei 35 miliardi (pari a 2/3) dell’intera manovra di Bilancio 2023 predisposta dal Governo Meloni, al momento ancora non sottoposta all’approvazione parlamentare. In totale l’entità della spesa ammonterebbe al momento ad oltre 70 miliardi di euro, in sostanza fatti in dono dal contribuente italiano alla speculazione finanziaria, nonché frutto delle scellerate sanzioni imposte alla Russia.

Tutto ciò, mentre nel DDL Bilancio 2023 approvato dal Consiglio dei Ministri il 22 novembre, con il quale il Governo ha predisposto la proposta di Legge di Bilancio, non v’è traccia del termine sanità fra i capitoli di spesa18, abbandonando a se stesso il Sistema Sanitario Nazionale affossato da ben 37 miliardi di euro di definanziamento fra il 2010 e 2019 secondo la Fondazione Gimbe19 e ormai letteralmente prossimo al collasso, anche a causa della pressione esercitata sugli ospedali dalla nuova ondata pandemica.

Conclusioni

Risulta evidente a chi avesse l’accortezza di esaminare i processi reali economici, finanziari e geopolitici in atto analizzando i dati ufficiali e i contenuti delle decisioni dei governi europei, senza avventurarsi su affermazioni superficiali o, nel peggiore dei casi, tendenziose, che la crisi geopolitica, energetica, economica e, conseguentemente, sociale in atto è frutto dell’impudente operato della speculazione finanziaria, dell’incapacità di svincolarsi dal masochistico assoggettamento geopolitico statunitense che ci ha portato a continuare ad adottare supinamente le sanzioni alla Russia, anche in evidenza di pesanti ricadute negative. Oltre al fatto di perseverare nelle forniture di armamenti senza produrre alcun sforzo diplomatico teso al raggiungimento del cessate il fuoco e all’apertura di un serio ed efficace negoziato in sede Onu che apra le porte ad una pace stabile e duratura.

E’ assolutamente necessario che l’anestetizzata opinione pubblica nazionale prenda coscienza dell’incapacità della nostra classe politica di tutelare gli interessi generali dl Paese e tanto meno dei ceti popolari, i quali negli ultimi 15 anni sono stati schiacciati da ben 3 crisi economiche: dei mutui sub-prime del 2008-9, del debito del 2012-14 e quella gravissima (-8,9%) pandemica del 2020 e, a breve, saranno travolti anche dalla quarta.

Se non ora quando, una mobilitazione popolare che chieda con forza un radicale cambio di paradigma?

Andrea Vento – 20 dicembre 2022

Gruppo Insegnanti di Geografia Autorganizzati

Note:

1 https://www.consilium.europa.eu/it/press/press-releases/2022/12/16/russia-s-war-of-aggression-against-ukraine-eu-adopts-9th-package-of-economic-and-individual-sanctions/

2 Per i dettagli: “Crisi ucraina: un primo bilancio delle sanzioni alla Russia” di Andrea Vento

3 https://www.imf.org/en/Publications/WEO/Issues/2022/10/11/world-economic-outlook-october-2022

4 https://www.ilsole24ore.com/art/imprese-l-aumento-tassi-d-interesse-bce-costera-quasi-15-miliardi-piu-AEesc7NC

5 Raffaele Picarelli: “Finanza e mercato dell’energia” e “Il vero atto di nascita dell’incremento dei prezzi dell’energia, dell’inflazione e dell’aumento dei tassi”.

6 https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/proiezioni-macroeconomiche/2022/Proiezioni-Macroeconomiche-Italia-dicembre-2022.pdf

7 https://www.ansa.it/sito/notizie/topnews/2022/12/09/sp-nel-2023-recessione-in-italia-piu-pesante-11-pil_51c7ef18-ef3a-4fc5-a5f2-1ef3828bde72.html

8 https://commission.europa.eu/strategy-and-policy/priorities-2019-2024/european-green-deal/repowereu-affordable-secure-and-sustainable-energy-europe_it

9 Anche Messico, Svizzera, Taiwan, Filippine, Norvegia, Danimarca e Colombia hanno aumentato i saggi d’interesse

10 https://www.istat.it/it/files//2022/12/Commercio-con-lestero-e-prezzi-allimport_102022.pdf

11 https://luce-gas.it/guida/mercato/ttf-gas

12 https://www.infodata.ilsole24ore.com/2022/11/05/ecco-come-litalia-ha-saputo-compensare-nei-primi-dieci-mesi-del-2022-le-forniture-mancanti-di-gas-dalla-russia/

13 https://www.ilsole24ore.com/art/l-europa-fa-pieno-gas-liquefatto-ma-quinto-arriva-russia-AEaPNsFC

14 https://www.istat.it/it/files/2022/06/Report_Povert%C3%A0_2021_14-06.pdf

15 https://www.milex.org/2022/11/28/armi-inviate-allucraina-finora-il-costo-per-litalia-e-stato-di-450-milioni-di-euro-la-stima-dellosservatorio-milex/

16 https://www.milex.org/2022/12/02/spese-militari-italiane-aumento-anche-2023/

17 https://www.dire.it/30-08-2022/781434-governo-draghi-aiuti-caro-energia/

18 https://www.mef.gov.it/inevidenza/DDL-Bilancio-approvato-dal-Cdm-manovra-da-35-miliardi/

19https://www.gimbe.org/osservatorio/Report_Osservatorio_GIMBE_2019.07_Definanziamento_SSN.pdf

HitlerJugend in auge a Kiev. La censura dei media occidentali sul neonazismo ucraino

di Vladimir Volcic

Tra il 2014 e il 2019 i media europei in varie occasioni hanno preso in esame i movimenti neonazisti in Ucraina, descrivendo le loro ideologie, le violenze perpetuate contro i civili nel Donbass e avvertendo della loro estrema pericolosità. Le indagini investigative sono andate scemando nel 2020, lasciando spazio ad altri drammatici argomenti di attualità, tra essi la pandemia da Covid19.

Allo scoppio del conflitto in Ucraina qualche media ha ripreso l’argomento dei movimenti neonazisti ma tra marzo e aprile 2022 la NATO e l’Unione Europea hanno “consigliato” ai media di archiviare l’argomento. Peggio ancora, hanno «consigliato » di trasformare i gruppi paramilitari neonazisti ucraini in patrioti nazionalisti che combattevano gli invasori russi. Alcuni media hanno tentato di sostituire le orrende narrazioni dei nazi ucraini con gruppi nazisti russi. Un filone della propaganda occidentale che è stato abbandonato dopo poche settimane perchè vi era ben poco da raccontare in quanto il fenomeno del Nazismo in Russia è veramente marginale.

Il processo di negazionismo attuato dai giornalisti occidentali ha cancellato l’esistenza di questi gruppi neonazisti dall’immaginario collettivo dell’opinione pubblica europea, cavia sperimentale di un grezza ma efficace realtà virtuale ai fini della propaganda di guerra ma non li ha cancellati in Ucraina. Anzi queste milizie, dopo la disastrosa sconfitta a Mariopol, si sono risparmiate sui campi di battaglia. Le loro forze sono pressochè intatte mentre l’esercito regolare, composto da gente comune, è ormai decimanto. Questo ha creato una situazione assai pericolosa. Il neonazisti, infiltrati anche nel governo di Kiev, stanno diventando progressivamente l’unica forza politica militare ancora intatta in Ucraina.

Quello che vi raccontiamo di seguito è la storia della HitleJugend ucraina, i Патріоти України – Patrioty Ukrayiny – Patrioti dell’Ucraina. Informazioni utili poichè tra pochi mesi, dolenti o volenti, i media occidentali saranno costretti nuovamente a parlarne dinnanzi alla minaccia neonazista ucraina che sarà rivolta contro la democratica Europa in una classica situazione del cane che morde la mano del padrone.

Patrioty Ukrayiny è una delle organizzazioni neonaziste ucraine che sono servite a minare il paese, infiltrarsi nei consigli municipali e regionali e soprattutto a plagiare i giovani con idee “nuove” basate sul nazional socialsimo e sul fanatico odio etnico contro i compatrioti di origine russa e contro la Russia. Queste idee erano simili a quelle vendute da Adolf Hitler negli anni ’30 nell’Hitlerjügend: la promozione di una vita sana attraverso lo sport, campi estivi dove venivano insegnate abilità paramilitari, maneggio di armi di base, combattimenti simulati, escursioni, abilità di sopravvivenza, ecc.

A questo si aggiunge un’intera sezione politica attorno al mito degli ucraini martirizzati per secoli dai russi, il culto di eroi come Bandera o Shukhevytch dei collaboratori della Germania nazista, l’identificazione dei “nemici”, il russo in particolare, con tutta una riscrittura e revisione della storia e infine l’insegnamento di un negazionismo ucraino: i nazionalisti non avevano partecipato all’Olocausto durante la seconda guerra mondiale.

In Ucraina brulicano da anni partiti e associazioni di questo tipo, come il Partito nazionalsocialista ucraino Svoboda, il Партія Правий сектор – Pravyy Sektor (Settore Destro), il Партія Національний корпус – Partiya Natsionalʹnyy korpus (il Partito dei Corpi Nazionali) il S група 14 (Gruppo S 14), il gruppo Білий молот – Bilyy molot (Martello Bianco), il Добровольчий український корпус – Dobrovolʹchyy ukrayinsʹkyy korpus (Corpo Volontari Ucraini), organizzazione paramilitare sul modello delle Waffen tedesche, la ОУДА – OUDA – organizzazione paramilitare degli Ospitalieri , il Батальйон «Азов» – Batalʹyon «Azov». (Battaglion Azov) , e un altro centinaio di associazioni scout, storiche o sportive di estrema destra, per non parlare degli ultra tifosi delle società di calcio.

Un ruolo di primo ordine nella diffuzione del neonazismo lo ha avuto l’ala giovanile del Partito Nazionalsocialista dell’Ucraina. Questa ala giovanile sostituiva i distaccamenti SNPU, club di giovani neonazisti che il Ministero della Giustiza ucraino nel 1999 aveva rifiutato di registrare come organizzazione.

Il movimento era guidato da uno dei peggiori criminali politici dell’Ucraina, Andrei Parouby, che divenne in seguito un comandante dei miliziani del Battaglione Storm e prese parte al massacro di Odessa nel 2014 con ruoli di comando. Questo fanatico neonazista, che divenne assistente parlamentare nel 2015, e successivamente deputato nel 2016, fu nominato nel 1999 al comando dell’ala giovanile del Partito Nazionalsocialista dell’Ucraina.

La sua ascesa politica è iniziata all’interno di questa organizzazione giovanile di estrema destra. La sua prima impresa fu quella di guidare in fiaccolata un corteo di un migliaio di giovani neonazisti il 12 dicembre 1999. Queste fiaccolate si sono poi moltiplicate in Ucraina, fino a diventare grandi raduni, attirando migliaia di persone.

L’orientamento nazista dei giovani di Svoboda divenne visibile quando il Partito Nazionalsocialista dell’Ucraina, con il marketing e la consulenza politica degli Stati Uniti e del Canada (finanziando segretamente il partito), si ribattezzò Svoboda, provocando lo scioglimento della Gioventù Nazionalsocialista dell’Ucraina nel 2004.

L’evento avvenne mentre la CIA si preparava a organizzare e finanziare l’assalto al primo Maidan di Kiev, che doveva portare al potere il presidente Victor Yushchenko, anche lui sposato con un’ucraina nata negli USA, consigliere di Ronald Reagan e noto Agente CIA (2004-2005, rivoluzione arancione).

Questa dissoluzione doveva ripulire il panorama mediatico della estrema destra ucraina che si accingeva a prendere il potere, essendo troppo visibili i giovani neonazisti, sia attraverso il simbolismo ostentato (svastiche, croci celtiche, SS wolfsangen, saluti nazisti, bandiere dell’UPA, teschi delle SS, ecc.), ma anche da neo – Slogan nazisti e banderisti e “folklore”. I media occidentali hanno avuto grandi difficoltà a nasconderli quando è scoppiato il secondo Maidan. Lo scioglimento della gioventù Svoboda fu rifiutato da due organizzazioni locali, a Zhytomyr, dove i giovani neonazisti fondarono il movimento Gaïdamaki, e a Kharkov, dove l’ufficio politico locale, diretto da un certo Andreï Biletsky, rifiutò di disperdersi (febbraio-marzo 2004).

Fu in questa occasione che questi giovani fondarono ufficiosamente il Movimento Patrioty Ukrayiny dei patrioti dell’Ucraina (2005), che Biletsky registrò ufficialmente il 17 gennaio 2006. Per chi non lo sapesse Biletsky fu in seguito il fondatore del famigerato battaglione neonazista Azov, gli “Eroi dell’Occidente difesi da tutti i media occidentali che faticano a giustificare le loro origini che venivano minimizzate, e soprattutto vengono sistematicamente nascosti gli altri battaglioni neonazisti, come Aïdar, Tornado, OUN, Dniepr-1 e 2, Storm, Shakhtarsk, Sainte-Marie, DUK e tanti altri che con la decimazione dell’esercito regolare ucraino stanno acquistanto un potere sporporzionato all’interno delle Forze Armate dell’Ucraina.

Da quel momento Biletsky iniziò la sua lunga ascesa nell’ombra bruna della sua ideologia. Le prime azioni compiute sono state ovviamente razziste, protestando a Kharkov contro lo status ufficiale di seconda lingua del Paese per la lingua russa (9 marzo 2006), quando più della metà degli abitanti del Paese erano appunto di madrelingua russa. Presto fu organizzato un congresso nazionale a Kharkov, il Congresso panucraino (18 novembre 2006), che annunciava l’istituzione di un ufficio a Kiev.

Con il progredire del movimento, attirò varie associazioni, come il gruppo banderista Alternative Ukrainienne (di Chernigov), associazioni di cosacchi banderisti, membri del Partito nazionale del lavoro ucraino, una sorta di partito fascista in cui i membri erano affascinati da Hitler, Mussolini e Franco e sostenevano l’alleanza nazionale in blocco: la nuova destra ucraina (2007-2008). L’alleanza ebbe vita breve e le manifestazioni si trasformarono presto in scontri violenti e brutali contro le forze dell’ordine, come a Kiev (18 ottobre 2008), dove furono arrestati 147 neonazisti e 8 condannati per violenza, resistenza alle forze di ordine e atti vandalici. Ma il progetto di alleanza è proseguito, con la formazione di un’Assemblea Social-Nazionale (SNA), formata dal movimento dei Patriots of Ukraine, dall’Alternativa Ucraina e dal Sich (un battaglione neonazista si è formato con questo nome nel 2014).

Percosse, tentativi di omicidio e violenze estreme. Il movimento ha proseguito su questa strada, manifestazioni “patriottiche” che celebravano gli “Eroi” dell’Ucraina, irruzioni nei campus (in particolare Kiev, Kharkov o Lvov), percosse di attivisti di estrema sinistra, comunisti, denunce contro lo svolgimento del 9 maggio Giorno della Vittoria contro la Germania nazista come festa anti-ucraina e irrispettosa della memoria degli “eroi” ucraini.

Il picco di violenza è arrivato poco prima del secondo Maidan, quando tre membri del gruppo sono stati processati a Kharkov per un tentativo di omicidio contro il giornalista Sergei Kolesnik, o un altro attivista condannato per le percosse di attivisti o giornalista Alexei Kornev. Passando al terrorismo, altri tre membri sono stati arrestati dalla polizia (11 gennaio 2014) per aver preparato una bomba fatta in casa che doveva esplodere tra la folla, durante la celebrazione del Giorno dell’Indipendenza dell’Ucraina. Questi uomini furono condannati a soli 6 anni di carcere, ma furono presto concessi l’amnistia e considerati eroi dal nuovo potere ucraino dopo il successo della Rivoluzione americana (febbraio-marzo 2014).

Durante le sanguinose vicende del Maidan (inverno 2013-2014), i giovani dei Patrioti dell’Ucraina costituirono una massa malleabile, che venne a rinforzare i vecchi militanti neonazisti e banderisti nelle compagnie di autodifesa del Maidan. Sono stati loro a compiere i primi omicidi di poliziotti, attivisti anti-Maidan e, naturalmente, le prime repressioni a Kharkov, Zaporozhye e il massacro di Odessa. La violenza del gruppo e l’estrema russofobia lo hanno portato a essere bandito in Crimea dal Parlamento autonomo della Crimea (11 marzo 2014), insieme ad altre organizzazioni neonaziste e banderiste.

A Kharkov sono stati attaccati nei loro uffici da filo-russi non armati di armi da fuoco, che furono accolti con armi automatiche e pistole (2 morti, 5 feriti, notte tra il 14 e il 15 marzo 2014). Alcuni degli attivisti filorussi catturati sono stati portati via con la complicità della polizia, nessuno li ha più visti. Il movimento si unì presto ai ranghi del partito neonazista Pravy Sektor fondato da Yarosh (22 marzo 2014).

Il movimento, avendo raggiunto i suoi obiettivi, si è gradualmente disintegrato. La stragrande maggioranza dei membri di questa “sana gioventù” si è arruolata nei ranghi dei battaglioni di rappresaglia nel Donbass, e ovviamente ad Azov (primavera-estate 2014). Il loro comportamento nell’Est dell’Ucraina è stato terribile. Hanno crimini di guerra, massacri di villaggi, saccheggi, stupri, abusi vari, umiliazioni, assassinii di personalità.

I militanti di Patrioty Ukrayiny si sono dispersi in numerose unità, anche nell’esercito ucraino. Il Movimento dei Patrioti dell’Ucraina si è ben presto trasformato in una nuova entità più o meno mimetizzata dietro il battaglione Azov: il Corpo Civile (o Civico) Azov che nasce nella primavera del 2015. L’idea era quella di integrarsi in una vasta organizzazione da dietro, non solo giovani, ma anche donne, cittadini di tutte le età e classi sociali, stranieri, ucraini della diaspora nel mondo, al fine di diffondere la nuova ideologia nazista nel Paese.

Oggi il culto degli “Eroi”, una delle componenti principali, è un’istituzione diffusa in Ucraina sotto il motto «Gloria agli Eroi dell’Ucraina” che è quotidianamente diffuso in Italia dall’Ambasciata Ucraina con foto di soldati ucraini che altro non sono che i miliziani nazisti di Azov e del Sole Nero. Ben consolidato è anche il mito della “Nazione ucraina”. Anche la “capriola mediatica” di camuffare il movimento neonazista in un rispettabile movimento patriottico ha avuto un grande successo, con il potente aiuto dei media ucraini, ma soprattutto occidentali. Anche in Israele ora ci sono persone che difendono “gli Eroi” e i “Patrioti” dell’Ucraina. Le bugie dei giornalisti occidentali hanno convinto centinaia di migliaia di cittadini europei che non ci sono pochissimi nazisti in Ucraina.

FONTE: https://www.farodiroma.it/perche-non-si-deve-parlare-della-hitlerjugend-in-auge-a-kiev-la-censura-dei-media-occidentali-sul-neonazismo-ucraino-vladimir-volcic/

Angela Merkel ricorda ai leader occidentali le ragioni della Russia

di Giuseppe Salamone

Le parole della Merkel rilasciate al Die Zeit qualche giorno fa non sono altro che un riconoscimento pubblico delle ragioni della Russia.
Fino ad adesso, ciò che ha affermato la Merkel era uscito solo dalla bocca di Poroshenko, ex Presidente dell’Ucraina. Non a caso, da quella uscita lì, Poroshenko non ha più aperto bocca. Chissà come mai…

Quando la Merkel afferma che “Gli accordi di Minsk del 2014 sono stati un tentativo di far guadagnare tempo all’Ucraina”, e che “l’Ucraina ha usato questo tempo per diventare più forte”, sta riconoscendo pubblicamente l’inaffidabilità, la pericolosità e la malafede dell’Ucraina e dei paesi occidentali che l’hanno sostenuta negli anni trascorsi da prima del 2014 fino ad oggi.

Bisogna prestare attenzione quando apre bocca la Merkel e stare attenti nell’interpretare ogni singola sua dichiarazione perché la Signora in questione non è una sprovveduta, parla con cognizione di causa e mai a sproposito, ed è stata una delle leader Europee più importanti ed autorevoli almeno dalla seconda guerra mondiale in poi.

Si può dire tutto sulla Merkel, ma non le si può imputare scarsa autonomia politica tantomeno additarla come serva di Washington, cose che invece non si possono dire di altri leader, i quali sono stati e continuano ad essere i cani da guardia della Casa Bianca.

Nessuno ha avuto il coraggio di dire ciò che ha detto la Merkel; e non lo ha fatto perché non “si fida di Putin” come hanno scritto i giornaloni, bensì è esattamente il contrario.

La Merkel si è sempre fidata di Putin e della Russia, ci ha costruito il Nord Stream 2 e lo ha fatto dopo il 2014. Ha costruito il benessere dei Tedeschi ed in parte anche dell’Europa attraverso la collaborazione energetica con la Russia; collaborazione che è stata spezzata dagli USA ricorrendo in ultima istanza anche ad una guerra per procura preparata da decenni che rischia di essere distruttiva per l’intero pianeta.

Esattamente nel 2015, si sono intensificate le collaborazioni tra Russia e Germania per finire quanto prima il nord Stream 2 che avrebbe dovuto giovare tantissimo all’industria e di conseguenza all’economia Tedesca ed Europea. Se fosse vero ciò che scrivono i giornaloni, questo gasdotto per aumentare la cooperazione tra Europa e Russia, non sarebbe stato nemmeno pensato. La Merkel, a differenza di ciò che dicono i giornaloni, si fida di Putin, e le sue parole relative agli accordi di Minsk sopra riportate lo dimostrano.

Se realmente la storia fosse per come ce la racconta la propaganda occidentale, la Merkel non avrebbe mai e poi mai dovuto pronunciare queste frasi proprio perché, accreditano enormemente le ragioni della Russia e accresce ancora di più la popolarità di Putin all’interno della sua opinione pubblica. Se la Merkel avesse voluto “colpire” Putin con queste dichiarazioni, l’unica cosa che avrebbe dovuto fare sarebbe stata quella di tapparsi la bocca, tacere come hanno fatto tutti gli altri leader occidentali su questo punto e non rilasciare questa versione così roboante.

Mentre la grande stampa cerca goffamente di camuffare le parole dell’ex Cancelliera, la stessa mette in mostra chi sono gli Ucraini, chi sono gli occidentali e “riabilita” le ragioni Russe che venivano spacciate come complotti o propaganda. Il messaggio che la Merkel sta lanciando credo sia abbastanza chiaro: dice a quei leader occidentali di abbassare la cresta perché lei le cose le sa, le ricorda tutte, e le potrebbe esternare pubblicamente in qualsiasi momento. E fa anche anche capire nell’intervista che lei la sua carriera politica l’ha finita; e che quindi non ha nulla da perdere nel rivelare le circostanze in cui è stata protagonista.
Qualcun altro che invece gira tra i tappeti rossi Europei invece si, qualcosa da perdere ce l’ha ancora.

Comunque, chi ha voluto intendere, ha inteso. Tra questi intenditori ovviamente non c’è la grande stampa che puntualmente distorce il tutto per servire il padrone. Tanto alla fine, chi li legge, il cervello glielo ha già consegnato.

Pian piano ci stiamo accorgendo che l’Occidente è una bolla in cui sistematicamente i diritti vengono subdolamente violati, soprattutto il diritto ad una corretta informazione.

FONTE: http://www.osservatoriosullalegalita.org/22/acom/12/12salapace.htm

Leggi anche:

Per Angela Merkel gli Accordi di Minsk furono un tentativo di dare tempo all’Ucraina

Special operation should have started earlier, but Russia still hoped for Minsk-2 — Putin

VIDEO: dichiarazioni di Putin (sottotitoli in Italiano)

Oskar Lafontaine, su guerra in Ucraina, Usa, Germania, Europa: “L’Europa paga il prezzo della codardia dei suoi stessi leader”

di Moritz Enders (da Deutsche Wirtschaftsnachrichten)

Interista esclusiva di Deutsche Wirtschaftsnachrichten ad Oscar Lafontaine

Oskar Lafontaine sul declino economico della Germania e sulla guerra per procura tra Nato e Russia in Ucraina. (Foto: dpa)

Deutsche Wirtschaftsnachrichten parla con Oskar Lafontaine del declino economico della Germania, della guerra per procura tra Russia e Nato in Ucraina e del perché chiede il ritiro delle truppe americane dalla Germania.

Deutsche Wirtschaftsnachrichten: Cosa succede ora che i gasdotti Nordstream 1 e Nordstream 2 sono stati fatti saltare?

Oskar Lafontaine: L’esplosione dei due gasdotti è una dichiarazione di guerra alla Germania ed è patetico e vile che il governo tedesco voglia nascondere l’incidente sotto il tappeto. Dice di sapere qualcosa, ma non può dirlo per motivi di sicurezza nazionale. I passeri lo fischiano dai tetti da molto tempo: Gli Stati Uniti hanno eseguito direttamente l’attacco o almeno hanno dato il via libera. Senza la conoscenza e l’approvazione di Washington, non sarebbe stato possibile distruggere gli oleodotti, che costituiscono un attacco al nostro Paese, colpiscono la nostra economia nel profondo e vanno contro i nostri interessi geostrategici. È stato un atto ostile contro la Repubblica Federale – non solo contro di essa, ma anche – che chiarisce ancora una volta che dobbiamo liberarci dalla tutela degli americani.

Deutsche Wirtschaftsnachrichten: Nel suo nuovo libro “Ami, è ora di andare!” lei chiede il ritiro delle truppe americane dalla Germania. Non è irrealistico?

Oskar Lafontaine: Naturalmente non accadrà da un giorno all’altro, ma l’obiettivo deve essere chiaro: Il ritiro di tutte le strutture militari e delle armi nucleari statunitensi dalla Germania e la chiusura della base aerea di Ramstein. Dobbiamo lavorare con costanza verso questo obiettivo e allo stesso tempo costruire un’architettura di sicurezza europea, perché la NATO, guidata dagli Stati Uniti, è obsoleta, come ha riconosciuto nel frattempo anche il Presidente francese Emmanuel Macron. Questo perché la NATO ha smesso da tempo di essere un’alleanza difensiva, ma piuttosto uno strumento per rafforzare la pretesa degli Stati Uniti di rimanere l’unica potenza mondiale. In ogni caso, dovremmo formulare i nostri interessi, che non sono affatto congruenti con quelli degli Stati Uniti.

Deutsche Wirtschaftsnachrichten: Lei dice che gli americani sono responsabili dell’esplosione degli oleodotti. Crede davvero che rinuncerebbero alla Germania senza combattere?

Oskar Lafontaine: No, sarà un po’ complicato, ma non vedo alternative. Se noi e gli altri Paesi europei resteremo sotto la tutela degli Stati Uniti, questi ci spingeranno verso il precipizio per proteggere i loro interessi. Dobbiamo quindi ampliare progressivamente il nostro raggio d’azione, preferibilmente insieme alla Francia. Come Peter Scholl-Latour, molti anni fa ho invocato un’alleanza franco-tedesca. A quel punto anche la difesa dei due Stati potrebbe essere integrata, come nucleo di un’Europa indipendente. Per usare un’espressione ormai trita e ritrita: stiamo vivendo le doglie della fase di transizione da un ordine mondiale unipolare a uno multipolare. E qui si pone la questione se prenderemo un posto indipendente in questo nuovo ordine mondiale o se ci lasceremo trascinare nei conflitti di Washington con Mosca e Pechino, come vassalli degli Stati Uniti. In questo processo possiamo solo perdere.

Deutsche Wirtschaftsnachrichten: È necessario approfondire l’argomento. L’influenza americana sulla politica e sui media tedeschi è immensa. Come pensate di guadagnare spazio di manovra?

Oskar Lafontaine: Ha funzionato sotto cancellieri come Willy Brandt, Helmut Schmidt, Helmut Kohl e Gerhard Schröder. Almeno in alcuni conflitti avevano in mente gli interessi tedeschi e non li hanno gettati in mare per anticipata obbedienza. Quando si è a capo di un Paese, occorre anche una spina dorsale. L’immagine del Cancelliere Scholz in piedi come uno scolaretto accanto al Presidente degli Stati Uniti Biden quando ha annunciato che il Nordstream 2 non sarebbe stato realizzato è stata un’umiliazione. E a ciò si aggiungono il Ministro degli Esteri tedesco, che fa da pappagallo alla propaganda statunitense, e il Ministro dell’Economia, che vuole essere “la guida dei servitori”. Non si può essere più compiacenti di così.

Deutsche Wirtschaftsnachrichten: A che tipo di gioco giocano Baerbock e Habeck?

Oskar Lafontaine: Per quanto riguarda la signora Baerbock, vorrei intervenire in sua difesa. Non sta giocando. Probabilmente è davvero così sempliciotta. E Habeck ricopre un ruolo completamente fuori della sua portata.

Deutsche Wirtschaftsnachrichten: Nel suo libro cita Machiavelli: “Non è colui che per primo prende le armi ad essere l’istigatore del disastro, ma colui che lo costringe”.  Si riferisce al conflitto in Ucraina?

Oskar Lafontaine: Naturalmente, mi riferisco anche al conflitto ucraino, iniziato con il colpo di stato del Maidan di Kiev nel 2014. Da allora, gli Stati Uniti e i loro vassalli occidentali armano l’Ucraina e la preparano sistematicamente alla guerra contro la Russia. In questo modo, l’Ucraina è diventata un membro de facto della NATO, anche se non de jure. Questa storia è stata deliberatamente ignorata dai politici occidentali e dai media mainstream.

Tuttavia, l’invasione dell’Ucraina da parte dell’esercito russo è stata una violazione imperdonabile del diritto internazionale. Le persone muoiono ogni giorno e tutti, Mosca, Kiev o Washington, sono fortemente responsabili del fatto che non c’è ancora un cessate il fuoco. Per oltre 100 anni, l’obiettivo dichiarato della politica statunitense è stato quello di impedire a tutti i costi che l’industria e la tecnologia tedesche si fondessero con le materie prime russe. È assolutamente chiaro che abbiamo a che fare con una guerra per procura degli Stati Uniti contro la Russia, preparata da tempo. È imperdonabile che la SPD, in particolare, abbia tradito in questo modo l’eredità di Willy Brandt e la sua politica di distensione e non abbia nemmeno insistito seriamente sul rispetto dell’accordo di Minsk.

Deutsche Wirtschaftsnachrichten: Quindi? Gli Stati Uniti hanno raggiunto i loro obiettivi di guerra?

Oskar Lafontaine: Sì e no. Per quanto riguarda il contenimento delle relazioni tra la Federazione Russa e l’UE, esse hanno avuto un grande successo. Sono anche riusciti a mettere fuori gioco, per il momento, l’UE e la Germania come potenziali rivali geostrategici ed economici. Ancor più che prima del conflitto ucraino, ora determinano le politiche degli Stati dell’UE, anche grazie ai politici compiacenti di Berlino e Bruxelles. Possono vendere il loro sporco gas da fracking e l’industria degli armamenti statunitense fa affari con le bombe.

D’altra parte, non sono riusciti a “rovinare la Russia”, come ha detto la signora Baerbock, uno dei loro portavoce, rovesciando Putin e installando un governo fantoccio a Mosca per ottenere un migliore accesso alle materie prime russe come ai tempi di Eltsin. E ho l’impressione che gli Stati Uniti si rendano conto che stanno mordendo il granito. Nonostante le massicce forniture di armi all’Ucraina e l’invio di numerosi “consiglieri militari”, la Russia, una potenza nucleare, non può essere sconfitta militarmente. Inoltre, le sanzioni occidentali si stanno rivelando un boomerang: stanno danneggiando gli Stati occidentali più della Russia e porteranno alla deindustrializzazione, alla disoccupazione e alla povertà. La popolazione attiva in Europa sta pagando il prezzo delle ambizioni di potere mondiale di un’élite impazzita di Washington e della codardia dei leader europei.

Deutsche Wirtschaftsnachrichten: Quindi da qui in poi è tutto in discesa?

Oskar Lafontaine: Dobbiamo urgentemente garantire la fine del conflitto in Ucraina. E questo sarà possibile solo se gli Stati Uniti abbandoneranno il loro piano di mettere in ginocchio la Russia, prima di affrontare la Cina. Per questo è necessaria un’iniziativa europea, che deve partire da Francia e Germania.

Se non lo faremo, e se non troveremo presto un accordo con la Russia sulle importazioni di materie prime ed energia, l’economia della Germania e dell’Europa andrà a rotoli e i partiti di destra diventeranno sempre più forti in Europa.

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Oskar Lafontaine, nato a Saarlouis nel 1943, nella sua vita politica è stato sindaco di Saarbrücken, primo ministro del Saarland, presidente della SPD, candidato alla carica di cancelliere e ministro delle Finanze federale. Nel marzo 1999 si è dimesso da tutti i suoi precedenti incarichi politici nell’SPD a causa delle critiche espresse nei confronti della linea di governo di Gerhard Schröder. È stato il presidente fondatore del partito DIE LINKE, nato su sua iniziativa da PDS e Wahlalternative Arbeit & soziale Gerechtigkeit (WASG), presidente del gruppo parlamentare di sinistra nel Bundestag tedesco e candidato di punta nelle campagne elettorali per il parlamento del Saarland nel 2009, 2012 e 2017. Fino alle sue dimissioni dal partito nel marzo 2022, ha guidato il gruppo parlamentare di Die LINKE nel parlamento del Saarland dal 2009.

(Traduzione: cambiailmondo.org)


Oskar Lafontaine: „Europa zahlt den Preis für die Feigheit der eigenen Staatenlenker“

Die Deutschen Wirtschaftsnachrichten im Gespräch mit Oskar Lafontaine über den wirtschaftlichen Niedergang Deutschlands, den Stellvertreterkrieg zwischen Russland und der Nato in der Ukraine – und warum er den Abzug der amerikanischen Truppen aus Deutschland fordert.

di Moritz Enders

Deutsche Wirtschaftsnachrichten: Wie geht es weiter nach der Sprengung der Gaspipelines Nordstream 1 und Nordstream 2?

Oskar Lafontaine: Die Sprengung der beiden Gaspipelines ist eine Kriegserklärung an Deutschland und es ist erbärmlich und feige, dass die Bundesregierung den Vorfall unter den Teppich kehren will. Sie sagt, sie wisse zwar etwas, könne dies aber aus Gründen der nationalen Sicherheit nicht sagen. Die Spatzen pfeifen es doch auch längst schon von den Dächern: Die USA haben den Anschlag entweder direkt durchgeführt oder sie haben zumindest grünes Licht dafür gegeben. Ohne das Wissen und die Zustimmung Washingtons wäre die Zerstörung der Pipelines, die einen Angriff auf unser Land darstellen, unsere Wirtschaft ins Mark treffen und unseren geostrategischen Interessen zuwiderlaufen, nicht möglich gewesen. Es war ein feindseliger Akt gegen die Bundesrepublik – nicht nur gegen sie, aber auch – der einmal mehr deutlich macht, dass wir uns vor der Vormundschaft der Amerikaner befreien müssen.

Deutsche Wirtschaftsnachrichten: In Ihrem neuen Buch „Ami, it´s time to go!“ fordern Sie den Abzug amerikanischer Truppen aus Deutschland. Ist das nicht unrealistisch?

Oskar Lafontaine: Natürlich geht das nicht von heute auf morgen, aber das Ziel sollte klar sein: Der Abzug sämtlicher militärischen Einrichtungen und Atomwaffen der USA aus Deutschland und die Schließung der Ramstein Airbase. Darauf müssen wir beharrlich hinarbeiten und gleichzeitig eine europäische Sicherheitsarchitektur aufbauen, weil die von den Vereinigten Staaten geführte NATO, wie ja auch der französische Präsident Emmanuel Macron zwischenzeitlich richtig erkannt hatte, obsolet ist. Das liegt daran, dass die NATO schon längst kein Verteidigungsbündnis mehr ist, sondern ein Werkzeug zur Durchsetzung des Anspruchs der USA, die einzige Weltmacht zu bleiben. Wir sollten aber unserer eigenen Interessen formulieren und die sind mit denen der USA beileibe nicht deckungsgleich.

Deutsche Wirtschaftsnachrichten: Sie sagen, die Amerikaner seien für die Sprengung der Pipelines verantwortlich. Glauben Sie da im Ernst, dass sie Deutschland kampflos aufgeben würden?

Oskar Lafontaine: Nein, das wird haarig, aber ich sehe dazu keine Alternative. Bleiben wir und die übrigen europäischen Länder weiter unter der Vormundschaft der USA, dann werden die uns über die Klippe schieben, um ihre eigenen Interessen zu wahren. Wir müssen also langsam unseren Spielraum erweitern, am besten zusammen mit Frankreich. Wie Peter Scholl-Latour habe ich schon vor vielen Jahren einen deutsch-französischen Bund gefordert. Dann könnte auch die Verteidigung der beiden Staaten integriert werden, als Keimzelle eines unabhängigen Europas. Um einen inzwischen abgedroschenen Ausdruck zu bemühen: Wir erleben die Geburtswehen der Übergangsphase von einer uni- zu einer multipolaren Weltordnung. Und hier erhebt sich die Frage, ob wir in dieser neuen Weltordnung einen eigenständigen Platz einnehmen oder uns als Vasallen der USA in die Konflikte Washingtons mit Moskau und Peking hineinziehen lassen. Wir können dabei nur verlieren.

Deutsche Wirtschaftsnachrichten: Da müssen wir noch mal nachhaken. Der amerikanische Einfluss auf die deutsche Politik und die Medien ist doch unendlich groß. Wie wollen Sie sich da Spielraum erarbeiten?

Oskar Lafontaine: Unter Kanzlern wie Willy Brandt, Helmut Schmidt, Helmut Kohl und Gerhard Schröder ging es doch auch. Die hatten zumindest in einigen Konflikten die deutschen Interessen im Blick und haben sie nicht in vorauseilendem Gehorsam über Bord geworfen. Man braucht eben auch Rückgrat, wenn man an der Spitze eines Landes steht. Das Bild von Bundeskanzler Scholz, der wie ein Schuljunge neben US- Präsident Biden stand, als dieser verkündete, aus Nordstream 2 werde nichts, war eine Demütigung. Und dazu noch die deutsche Außenministerin, die die US- Propaganda nachplappert und der Wirtschaftsminister, der „führend dienen“ will. Mehr Anbiederung geht nicht.

Deutsche Wirtschaftsnachrichten: Was für ein Spiel spielen Baerbock und Habeck?

Oskar Lafontaine: Was Frau Baerbock anbelangt, so möchte ich sie in Schutz nehmen. Die spielt kein Spiel. Die ist vermutlich wirklich so einfältig. Und Habeck ist in seinem Amt komplett überfordert.

Deutsche Wirtschaftsnachrichten: In Ihrem Buch zitieren Sie Machiavelli: „Nicht wer zuerst zu den Waffen greift, ist Anstifter des Unheils, sondern wer dazu nötigt.“ Beziehen Sie das auf den Ukraine-Konflikt?

Oskar Lafontaine: Natürlich meine ich damit auch und vor allem den Ukraine-Konflikt, der spätestens mit dem Putsch auf dem Kiewer Maidan im Jahr 2014 begonnen hat. Die USA und ihre westlichen Vasallen haben seitdem die Ukraine aufgerüstet und sie auf einen Krieg gegen Russland systematisch vorbereitet. So wurde die Ukraine zwar nicht de jure, aber de facto ein NATO- Mitglied. Diese Vorgeschichte wird von den westlichen Politikern und Mainstreammedien geflissentlich ignoriert.

Gleichwohl war es ein unverzeihlicher Bruch des Völkerrechts, dass die russische Armee in die Ukraine einmarschiert ist. Täglich sterben Menschen und alle, ob Moskau, Kiew oder Washington, die Verantwortung dafür tragen, dass es noch keinen Waffenstillstand gibt, laden schwere Schuld auf sich. Seit über 100 Jahren ist es das erklärte Ziel der US- Politik, ein Zusammengehen der deutschen Wirtschaft und Technik mit den russischen Rohstoffen um jeden Preis zu verhindern. Es ist vollkommen klar, dass wir es hier, wenn man die Vorgeschichte mit einbezieht, mit einem Stellvertreterkrieg der USA gegen Russland zu tun haben, der von langer Hand vorbereitet worden ist. Dass gerade die SPD das Erbe Willy Brandts und seiner Entspannungspolitik derartig verraten und nicht einmal auf der Einhaltung des Minsker Abkommen ernsthaft bestanden hat, ist unverzeihlich.

Deutsche Wirtschaftsnachrichten: Und? Haben die USA ihre Kriegsziele erreicht?

Oskar Lafontaine: Ja und nein. Was die Kappung der Beziehungen zwischen der Russischen Föderation und der EU anbelangt, waren sie äußerst erfolgreich. Auch ist es ihnen gelungen, die EU und Deutschland als ihre potentiellen geostrategischen und wirtschaftlichen Rivalen vorerst aus dem Spiel zu nehmen. Noch mehr als vor dem Ukraine-Konflikt bestimmen sie jetzt die Politik der EU-Staaten, auch dank willfähriger Politiker in Berlin und Brüssel. Sie können ihr dreckiges Fracking-Gas verkaufen und die US- Rüstungsindustrie macht Bombengeschäfte.

Auf der anderen Seite ist es ihnen nicht gelungen, „Russland zu ruinieren“, wie es Frau Baerbock als eines ihrer Sprachrohre formuliert hat, Putin zu stürzen und in Moskau eine Marionettenregierung einzusetzen, um wie zu Zeiten Jelzins besser an die russischen Rohstoffe heranzukommen. Und ich habe den Eindruck, dass die USA inzwischen einsehen, dass sie hier auf Granit beißen. Trotz massiver Waffenlieferungen an die Ukraine, die Entsendung zahlreicher „Militär-Berater“, ist die Atommacht Russland militärisch nicht zu bezwingen. Zudem erweisen sich die westlichen Sanktionen als Bumerang, sie schaden den westlichen Staaten mehr als Russland und werden zu De-Industrialisierung, Arbeitslosigkeit und Armut führen. Die arbeitende Bevölkerung in Europa zahlt den Preis für die Weltmachtambitionen einer durchgeknallten Elite in Washington und die Feigheit der europäischen Staatenlenker.

Deutsche Wirtschaftsnachrichten: Ab jetzt geht es also abwärts?

Oskar Lafontaine: Wir müssen dringend dafür Sorge tragen, dass der Ukraine-Konflikt beendet wird. Und das wird nur gehen, wenn die USA ihren Plan, Russland in die Knie zu zwingen – bevor sie sich China zur Brust nehmen – aufgeben. Hierfür brauchen wir eine europäische Initiative und die muss von Frankreich und Deutschland ausgehen.

Tun wir es nicht, und kommen wir nicht bald zu einem Arrangement mit Russland bezüglich unserer Rohstoff-und Energieimporte, dann wird die Wirtschaft in Deutschland und Europa den Bach runtergehen und rechte Parteien werden in Europa immer stärker.

Info zur Person:

Oskar Lafontaine, Jahrgang 1943 in Saarlouis geboren, war Im Verlauf seines politischen Lebens Oberbürgermeister in Saarbrücken, Ministerpräsident des Saarlandes, Vorsitzender der SPD, Kanzlerkandidat und Bundesfinanzminister. Im März 1999 legte er alle seine bisherigen politischen Ämter in der SPD aus Kritik am Regierungskurs von Gerhard Schröder nieder. Er war Gründungsvorsitzender der Partei DIE LINKE, die auf seine Initiative hin aus PDS und Wahlalternative Arbeit & soziale Gerechtigkeit (WASG) entstanden ist, Vorsitzender der Linksfraktion im Deutschen Bundestag und Spitzenkandidat bei den saarländischen Landtagswahlkämpfen 2009, 2012 und 2017. Bis zu seinem Parteiaustritt im März 2022 führte er seit 2009 die Fraktion der Linken im saarländischen Landtag.

FONTE: https://deutsche-wirtschafts-nachrichten.de/701200/DWN-EXKLUSIV-Oskar-Lafontaine-Europa-zahlt-den-Preis-fuer-die-Weltmachtambitionen-Washingtons-und-die-Feigheit-der-eigenen-Staatenlenker

Libia, migranti, navi: chi detiene la verità ?

Venerdì scorso 25 novembre, la penultima serata del XIV° Festival del Cinema dei Diritti Umani di Napoli è stata interrotta da un gruppo di rappresentanti di alcune Ong italiane che hanno bloccato la proiezione di un documentario sulla Libia; “L’urlo”, questo il titolo del film, realizzato da Michelangelo Severgnini, sembra aver scosso e indignato parte della platea che ha protestato in modo scomposto e imposto al resto degli spettatori il blocco della proiezione al 20simo minuto.

Nei report che sono girati in rete si ascoltano accuse di antisemitismo e si definisce il documento una porcheria, una schifezza, ecc. ecc.

Tra coloro che intervengono a giustificare la sospensione (che altri vorrebbero continuare a seguire) troviamo Beppe Caccia e Valentina Brinis che dicono di parlare in rappresentanza rispettivamente di Mediterranea e Open Arms due delle navi che soccorrono da diversi anni i naufraghi provenienti prevalentemente dalla Libia.

Non si intendono, nell’alterco, i motivi specifici di questa indignazione che sembrerebbe essere derivata da alcune interviste a migranti africani in Libia che esprimono valutazioni non troppo conformi a quelle attese.

Il fatto è di una certa gravità; come previsto dal programma si poteva discutere del film alla sua conclusione; invece qualcuno si è sentito nella condizione di imporre con metodi sbrigativi e discutibili, degni di altra tradizione, l’interruzione della visione.

Noi non abbiamo visto il film perché a quanto pare la sua diffusione non è consentita da alcuni dei soggetti promotori e, da quanto sostiene il regista, l’unica possibilità di vederlo è quello di presentazioni limitate in sua presenza in quanto autore.

Non sappiamo quindi quali orridi contenuti o abissi morali contenga.

Una ragione in più per trovare un’occasione per vederlo.

Non ci accodiamo neanche alla polemica emersa nel fine settimana su alcuni blog. O almeno, riteniamo che il fatto che il film fosse stato proposto, fuori concorso, all’interno del Festival mostri l’interesse e l’imparzialità del team organizzatore al quale ciò va riconosciuto.

Quello che invece possiamo a ragione sostenere sulla base del materiale a disposizione è che sulla genesi, sulle condizioni e vicende dei migranti in generale e su quelli provenienti dalla Libia in particolare, non c’è Ong che abbia qualche sorta di primato interpretativo. E se c’è qualche occasione di ascoltare cosa pensano i migranti in prima persona della loro stessa condizione, dei loro paesi, dell’Europa, ecc. si tratta di un’occasione d’oro.

Le Ong dovrebbero fare al meglio il loro meritorio lavoro in mare e in terra. Sul resto, trattandosi di temi pubblici che riguardano tutti, tutti debbono potersi liberamente esprimere, soprattutto quando le vicende di cui si parla derivano da una guerra di aggressione dell’occidente in territorio africano che dura da oltre un decennio e che non accenna a concludersi. Cosa che sembra dimenticata da molti operatori.

In ogni caso, in attesa di vedere il film o leggere il libro-dossier che porta lo stesso titolo, proponiamo di seguito il racconto e le tesi dell’autore, che per dirla tutta, non ci sembrano lontane dalla verità, salvo le opportune verifiche su fatti e contesti specifici citati.

A dicembre del 2018 la FIEI organizzò un evento di una intera giornata a Roma assieme ad una Ong inglese, la Oxfam, in occasione del suo rapporto sull’Africa dell’anno precedente, con molti interventi dall’Italia e da diversi paesi africani. Si intitolava “I migranti, l’Africa, le nostre responsabilità”. Quanto sostiene Michelangelo Severgnini nel video che segue ci sembra confermare la sostanza di quanto ascoltammo in quell’occasione.

Rodolfo Ricci (FIEI)

Sul Convegno citato leggi anche: Africa, smettiamola di rapinarli a casa loro

Video integrale del Convegno FIEI: “I migranti, l’Africa, le nostre responsabilità”


Leggi anche:

Il docufilm “L’Urlo” fa saltare i nervi alle Ong. La destra ne approfitta

Voci dalla Libia – Speciale Fortezza Italia con Michelangelo Severgnini

Di seguito il trailer del film “L’urlo” e l’intervento di Michelangelo Severgnini alla presentazione del film (e del libro) al Goethe Institut di Palermo nell’ambito del Festival delle Letterature migranti, del 15 ottobre scorso.

Alcune riflessioni sulla Matrix della Grande Menzogna

di Alberto Bradanini

Catlin Johnstone, una giornalista australiana eterodossa, in una sua angosciata analisi[1] afferma che la terza guerra mondiale è oggi una prospettiva che i media mainstream – e dunque i loro padroni su per li rami della piramide – ritengono possibile, come fosse un’opzione come un’altra. L’oligarchia occidentale e il suo megafono mediatico sono così usciti dal solco della logica e del buon senso, dando un lugubre contributo alla locomotiva che potrebbe condurre il mondo alla catastrofe.

Secondo un nugolo di cosiddetti esperti, alcuni qui di seguito menzionati, gli Stati Uniti devono aumentare subito e di molto le spese militari, perché occorre prepararsi a un inevitabile conflitto mondiale.

Questa patologica esegesi della scena internazionale viene presentata senza alcuna prova e con la veste di una necessità ontologica, come un incendio destinato a scoppiare per autocombustione. Il menu viene poi arricchito con l’elencazione dei nemici pronti a invadere l’Occidente, fortunatamente protetto dalla pacifica nazione americana, la sola in grado di difendere le nostre democratiche libertà.

Il funesto allargamento della guerra in Ucraina – che, coinvolgendo nazioni in possesso dell’arma nucleare, porterebbe allo sterminio della razza umana – sarebbe dunque l’esito di una congiunzione astrale come la gravitazione della luna sulle onde del mare. Essa non dipenderebbe – come invece pensano miliardi di persone al mondo, del tutto ignorate, ça va sans dire – dalla patologia di dominio e di estrazione di ricchezze altrui da parte di quella superpotenza che decide fatti e misfatti del governo ucraino e che dispone del potere di porre fine alle ostilità in qualsiasi momento, se solo rinunciasse alla sua irrealistica strategia di dominio unipolare del pianeta (una valutazione questa condivisa da numerose personalità e studiosi statunitensi, anch’essi ignorati).

Ai cosiddetti esperti e ai compilatori del pensiero imposto non passa per la mente che un cambio di postura da parte dell’unica nazione indispensabile al mondo (secondo il lessico malato di B. Clinton, 1999) metterebbe finalmente fine alle giustificate inquietudini del rischio atomico.

In un articolo dal titolo ‘L’America potrebbe vincere una nuova guerra mondiale? Di cosa abbiamo bisogno per sconfiggere Cina e Russia pubblicato su Foreign Affairs – rivista controllata dal Council on Foreign Relations, a sua volta megafono mediatico del Pentagono – si afferma che, ‘sebbene la prospettiva possa infastidire qualcuno, Stati Uniti e alleati devono seguire una strategia che conduca alla vittoria simultanea in Asia e in Europa, poiché’, continua l’autore, Thomas G Mahnken, ‘Stati Uniti e alleati dovrebbero sfruttare il loro attuale vantaggio strategico combattendo su entrambi i continenti’. Mahnken non è uno sprovveduto e si rende conto che una guerra simultanea contro Russia e Cina non sarebbe una passeggiata. Sorvolando su un mondo di dettagli, la sua riflessione si sofferma su un punto: ‘per vincere una guerra del genere gli Stati Uniti devono aumentare, subito e di molto, la spesa militare’, poi si vedrà. Ciò comporta, precisa Mahnken, la necessità di accrescere la produzione militare incrementando i turni di lavoro degli operai, espandendo le fabbriche e aprendo nuove linee produttive. Il Congresso deve stanziare maggiori risorse e al più presto, poiché la spesa attuale per la difesa è inadeguata! A costui importa un fico se nel solo 2021, il bilancio Usa della difesa aveva già superato i 722 miliardi di dollari (cresciuto ancora del 10% nel 2022) equivalenti alla somma dei budget delle dieci nazioni che seguono in graduatoria, Russia e Cina incluse[2]. Nella logica di codesto esperto, ‘per aumentare produzione militare e scorte di armamenti gli Stati Uniti devono anche mobilitare i paesi amici, poiché ‘se la Cina avviasse un’operazione militare su Taiwan, Stati Uniti e alleati sarebbero costretti a intervenire’. E quando menziona gli alleati, egli si riferisce beninteso alle colonie europee che la retorica chiama partner della Nato, un’organizzazione militare questa guidata da generali americani ora diventata globale senza che governi e parlamenti degli stati membri ne abbiamo mai discusso (basta scorrere i comunicati dei vertici di Bruxelles, giugno 2021, e Madrid, giugno 2022), ma solo perché la strategia e gli interessi imperiali lo esigono.

Ad avviso di codesto signore, occorrerebbe distruggere il mondo per difendere un’isola vicino alla terraferma cinese, chiamata Repubblica di Cina. Di grazia, con l’occasione costui potrebbe forse spiegarci il perché. È invero una benedizione che i governi di Taiwan e Pechino mantengono la testa sulle spalle, diversamente da qualcun’altro in Europa, per impedire che il sogno segreto statunitense diventi realtà, scatenando un conflitto devastante.

Non solo, l’articolo menzionato continua: ‘mentre gli Stati Uniti sono impantanati nel labirinto cinese, al governo di Mosca si presenterebbe una preziosa occasione per invadere l’Europa’, corroborando in tal modo il bizzarro paradosso propagandistico secondo il quale Putin starebbe perdendo la guerra in Ucraina, ma avrebbe tuttavia la capacità di invadere i paesi Nato!

In un altro scritto dal titolo ‘Gli scettici hanno torto: gli Stati Uniti possono affrontare sia la Cina che la Russia’, Josh Rogin, editorialista del pacifista Washington Post, punta il dito sia contro i democratici, perché si limitano a un conflitto indiretto contro la Russia, sia contro i repubblicani che invece punterebbero a farlo (anch’esso indiretto) contro la Cina, sostenendo: ‘perché no tutti e due’?

Robert Farley (19FortyFive) nel suo elaborato dal titolo ‘L’esercito americano potrebbe combattere la Russia e la Cina allo stesso tempo?’, scrive che ‘l’immensa potenza di fuoco delle forze armate statunitensi non avrebbe difficoltà a combattere con successo su entrambi i fronti’, concludendo che ‘gli Stati Uniti sono in grado di affrontare Russia e Cina contemporaneamente … di certo per un po’, e con l’aiuto di qualche alleato’, in verità senza troppo entrare nel merito.

A sua volta, Hal Brands (Bloomberg), in “Possono gli Stati Uniti affrontare Cina, Iran e Russia contemporaneamente?’, pur riconoscendo che tale ipotesi sarebbe oggettivamente difficile da governare, raccomanda di intensificare le attività in Ucraina e Taiwan (sempre sul suolo e col sangue altrui), con l’occasione vendendo a Israele armi ancor più sofisticate per fronteggiare l’Iran, e indirettamente Russia e Cina.

In ‘La teoria delle relazioni internazionali suggerisce che la guerra tra grandi potenze sta arrivando, Matthew Kroenig (Consiglio Atlantico) scrive su Foreign Policy che sarebbe all’orizzonte una resa dei conti globale tra democrazie e autocrazie: ‘Stati Uniti e alleati Nato, più Giappone, Corea del Sud e Australia da un lato, e autocrazie revisioniste Cina, Russia e Iran dall’altro, e che gli esperti di politica estera dovrebbero adeguarsi di conseguenza’, senza precisare bene in cosa consisterebbe tale adeguamento, se non – e si tratterebbe di un buon consiglio – che il mondo è sempre più policentrico e multipolare, fortunatamente deve aggiungersi, e dunque l’Occidente si rassegni.

Alcuni di tali analisti indipendenti negano la tesi che la Terza Guerra Mondiale sia in arrivo, scoprendo d’altra parte l’acqua calda, vale a dire che un conflitto tra Grandi Potenze è già in atto – con specifiche caratteristiche, è ben chiaro (New Yorker di ottobre: ‘E se stessimo già combattendo la terza guerra mondiale con la Russia?’).

Le pontificazioni elencate costituiscono l’evidenza che l’esercito della Grande Menzogna è pericolosamente uscito di senno. Il suo verbo obbedisce alla narrativa degli strateghi occulti che valutano l’ipotesi di un conflitto globale non solo possibile, ma persino naturale, e che nessuno può evitare. Nell’era dell’arma nucleare dovrebbe invece prevalere il principio di massima cautela, moltiplicando gli sforzi a favore del dialogo e del compromesso, della de-escalation e della distensione.

I governi assennati dovrebbero mettere al bando anche solo l’idea che un conflitto nucleare si può vincere, ascoltando la saggia e inascoltata voce della maggioranza dei popoli, tutelando così davvero quella democrazia che pretendono di rappresentare. L’umanità non può rassegnarsi a un destino di distruzioni e violenza orchestrato da oligarchie senza scrupoli.

Coloro che sostengono dialogo e compromesso sono invece demonizzati come sostenitori del sopruso e della debolezza davanti al nemico.

Secondo il vangelo della patologia atlantista, le nazioni autocratiche (il Regno del Male) costituiscono una minaccia per le democrazie occidentali (il Regno del Bene). Sorge spontaneo chiedersi come sia possibile indulgere in tale aberrante distorsione della logica fattuale.

In verità, chiunque opponga resistenza alla pseudocultura della sottomissione imperiale è destinato ad essere aggredito politicamente, economicamente e se del caso anche militarmente (purché non possieda l’arma nucleare, beninteso, perché non si sa mai).

Lo storico Andrea Graziosi, riferendosi al cosiddetto dibattito italiano sull’Ucraina, ma non solo, rileva la risibile conoscenza di temi di politica estera che prevale nel nostro Paese. A suo giudizio, la cultura politica italiana è irrilevante e provinciale, concentrata su aspetti periferici in una logica capovolta rispetto alle priorità e agli stessi interessi dell’Italia, un paese desovranizzato, marginale e asservito agli interessi altrui. I media rifuggono dall’analisi e dal rigore del ragionamento, mentre i pochi intellettuali coraggiosi vengono sommersi dai cosiddetti esperti, sempre di altro, mai dei contesti di cui si parla (solitamente giornalisti o politici improvvisati).

A sua volta, in un pregevole volume (Il virus dell’idiozia) lo studioso di filosofia della scienza, Giovanni Boniolo, ricorda un concetto dato per scontato, secondo cui la libertà di espressione viene confusa con la libertà di ignoranza, rendendo superflui i dati di fatto e innecessaria la loro conoscenza.

La preferenza del criterio binario (bene/male, bianco/nero, giorno/notte), utile talora per semplificare il discorso, s’impone in forma inconscia e universale assumendo le sembianze dell’evidenza, distorcendo la realtà e impedendo l’analisi critica e la presa di distanza dalle menzogne. All’individuo non restano che due opzioni: rinunciare alla comprensione, che viene delegata ai falsi esperti, o appagarsi con un’umiliante alterazione della percezione del mondo.

L’uso acritico degli stereotipi genera un ragionare piatto, che conduce a un’unica conclusione ammissibile, quella digeribile dal sistema.

Un’esemplificazione eloquente è costituita dai tre stereotipi della demonizzazione atlantista della Repubblica Popolare, trasformati in dogmi di fede incontestabili: 1) la Cina punta a dominare il mondo; 2) la Cina è un regime totalitario; 3) la Cina è un paese comunista, dove lo Stato controlla ogni aspetto della società, dell’economia e della vita degli individui.

Il ragionare non binario – che aiuta a non confondere la libertà di parola con quella di dire sciocchezze – suggerisce invece che: 1) non vi sono prove che la Cina intenda dominare il mondo; come ogni altra nazione cerca solo il suo legittimo spazio; 2) la Repubblica Popolare è un paese (da tempo) non totalitario e la sua dirigenza, con tutti i suoi limiti, gode di ampio consenso (nel 2019, 150 milioni di cinesi si sono recati all’estero e nessuno di essi ha fatto domanda di asilo politico in uno dei paesi visitati); 3) la società cinese non è il paradiso in terra, ma come ovunque un mondo complesso e talora contraddittorio, dove i poveri e una crescente classe media convivono con i ricchi, forse troppi, ma in proporzione non più che in Occidente. Le praterie della riflessione sarebbero a questo punto infinite, ma reputo che il punto sia sufficientemente chiaro. Premeva ricordare che ‘la propaganda è un’arte che nulla ha a che vedere con la verità’ (Gianluca Magi: Goebbels, 11 tattiche di manipolazione oscura), che ogni giorno il potere fabbrica di sana pianta calunnie e mistificazioni e che occorre tenere gli occhi aperti. Il conformismo rassicura, l’obbedienza deresponsabilizza. Il risultato è la regressione a livelli minimi di alfabetizzazione valoriale, politica e sociale, che si vuole refrattaria all’analisi critica, ma partigiana di sentimenti primitivi e facilmente manipolabili.

Ma il nostro destino non deve essere la sottomissione, prima di tutto dell’intelletto. Contrariamente a quanto si possa pensare, la sociopatia al potere ha bisogno di consenso, o quanto meno di silenzio, che è poi lo stesso. Non dobbiamo camminare come sonnambuli in un pianeta immerso nella distopia, divenendo complici inconsapevoli. Noi siamo ben più numerosi, e più umani. Possiamo costruire un mondo diverso, occorre solo coraggio e pazienza.


Note
[1] http://www.informationclearinghouse.info/57311.htm
[2] https://www.wired.it/article/nato-spesa-militare-paesi-dati/#:~:text=Quest’anno%20Washington%20spender%C3%A0%20qualcosa,canto%20suo%2C%20spender%C3%A0%2029%20miliardi.

FONTE: https://www.lafionda.org/2022/11/21/alcune-riflessioni-sulla-matrix-della-grande-menzogna/

Crisi ucraina: un primo bilancio delle sanzioni contro la Russia

di Andrea Vento (*)

Il 6 ottobre scorso l’Unione Europea ha varato l’ottavo pacchetto di misure sanzionatorie contro Mosca1 con il dichiarato fine di fiaccare l’economia russa e indurre Putin ad un accordo di pace da posizioni di debolezza o, addirittura, costringere le truppe impegnate nell’Operazione Militare Speciale alla sconfitta militare, grazie anche alle ingenti forniture militari di Usa e Ue ormai giunte ad oggi a 100 miliardi di dollari. Massiccio sostegno che, sommato al supporto di intelligence degli Usa e del Regno Unito, stanno mettendo in difficoltà sul campo le forze militari russe.

Rispetto alle previsioni dei governi occidentali che hanno accompagnato il varo del primo pacchetto di sanzioni introdotte dalla Ue e dagli Usa il 23 febbraio scorso, a seguito del riconoscimento delle Repubbliche Popolari del Donbass che ha preceduto di un giorno l’Operazione Militare Speciale, quale risulta l’effettiva entità dell’impatto delle sanzioni sull’economia russa e sulle sue relazioni internazionali?

La recessione che avrebbero causato alla Russia dalla previsione del Fmi ad aprile di un pesante -8,5% per il 2022, si è più che dimezzata a -3,5% nel World Economic Outlook di ottobre della stessa istituzione, passando per il -6,0 di luglio, a testimonianza della capacità di tenuta e di resilienza dell’economia russa (tab. 1). Mentre a livello internazionale, seppur oggetto di condanna da parte di una Risoluzione dell’Assemblea Generale dell’Onu del 3 marzo per l’invasione dell’Ucraina votata da 141 Paesi su 193, la Russia, appare tutt’altro che isolata appurato che solo 37 Paesi (pari al 19% del totale) dopo 7 settimane dal 24 febbraio2, avevano aderito alle sanzioni promosse dagli Stati Uniti e imposte da questi ultimi anche all’Ue (carta 1). Anzi, la Russia, isolata verso occidente, ha ridisegnato la propria carta geopolitica approfondendo le relazioni economiche, commerciali e politiche non solo con le potenze emergenti (Cina e India) e regionali asiatiche (Pakistan e Turchia), ma anche con i Paesi africani e latinoamericani, contrari all’adozione delle sanzioni (carta 2).

Tabella 1: Previsioni economiche del Fmi per il 2022 degli World Economic Outllook di ottobre 2021 e gennaio, aprile, luglio, ottobre 2022


Previsioni economiche Fmi per il 2022

Ottobre 2021Gennaio 2022Aprile 2022Luglio 2022Ottobre 2022
Economia mondiale4,94,43,63,23,2
Italia
4,23,82,33,03,2
Russia
2,92,8-8.5-6,0-3,4

Come in occasione delle sanzioni introdotte nel 2014 contro la Russia a seguito dell’annessione della Crimea3, anche nel caso di quelle comminate durante l’anno in corso come Gruppo Insegnanti di Geografia Autorganizzati ci siamo interrogati su quali fossero gli effetti sulle economie dei Paesi dell’Unione Europea, “costretta” a seguire l’alleato statunitense sulla stessa strada in virtù della cieca fedeltà atlantista.

L’entità dei flussi commerciali Ue – Russia e Usa – Russia

L’interscambio commerciale annuo fra l’Ue e la Russia dai 439 miliardi di $ del 2012, pur riducendosi, in conseguenza della prima ondata di sanzioni del 2014, ad una media annua di 240 miliardi di $ nel periodo 2015-2019, resta tuttavia, nello stesso quinquennio, oltre 9 volte più elevato (25 miliardi di $) di quello fra Stati Uniti e Russia (tab. 2). Le economie dell’Ue e della Russia, pertanto, risultavano fino a febbraio 2022 ancora saldamente integrate, principalmente, in virtù degli investimenti delle imprese comunitarie in Russia e del considerevole interscambio commerciale e finanziario fra le parti. Alla luce di questi dati, risulta evidente come le ricadute sull’economia del soggetto proponente, gli Usa, non potevano non avere rilevanza nettamente inferiore rispetto a quelle sull’Unione Europea, soprattutto per quanto riguarda le forniture energetiche russe a costi contenuti dei quali ha beneficiato fino a pochi mesi fa.

Tabella 2: valore medio annuo dell’interscambio commerciale Ue-Russia, Usa-Russia, Ue-Cina, Usa-Cina del quinquennio 2015-19 in miliardi di $. Fonte: database Onu Comtrade


Interscambio commerciale di beni media 2015-2019
Ue – Russia
240
Usa – Russia
25
Ue – Cina
645
Usa – Cina
626

Le relazioni commerciali ed economiche fra Italia e Russia

Per quanto riguarda le relazioni commerciali fra l’Italia e la Russia, nel 2019, ultimo anno prima della crisi pandemica, registravano un valore di 22,2 miliardi di euro di interscambio di merci che, al cambio medio dell’anno in questione di 1,12 dollari per euro, corrisponde a 24,87 miliardi di $, praticamente la stessa entità di quello fra Washington e Mosca, ma con una incidenza sul totale nettamente diversa. Infatti, nel 2019, l’interscambio commerciale totale di beni degli Usa ammontava a ben 4.172,1 mld di dollari4, pari a 3.671 mld di euro5, mentre il nostro a 904 miliardi euro6, con un rapporto di 4 : 1 a favore dei primi.

L’interscambio fra Italia e Russia, oltre ad avere una rilevanza percentuale nettamente superiore rispetto a quelle fra Washington e Mosca, evidenzia una composizione merceologica tipica delle aree ad elevata integrazione geoeconomica: da un lato, infatti, si esportano materie prime energetiche e minerarie e semilavorati dell’industria pesante, mentre, dall’altro tecnologia e prodotti industriali di livello medio-alto. Le principali voci dell’import italiano nel primo semestre 2022 risultano, infatti, il gas naturale, il petrolio greggio, i prodotti della siderurgia e della raffinazione del petrolio e minerali ferrosi e non che coprono ben il 96,7 del totale delle merci provenienti da Mosca. Il nostro Paese esporta, invece, in Russia un paniere ben più ampio di merci, dai macchinari industriali ai prodotti manufatturieri all’ampia gamma del cosiddetto made in Italy7, tant’è che le principali sei voci coprono il solo 42,8 dell’export verso Mosca.

Anche gli investimenti diretti, vale a dire e scopo produttivo, totali (detti stock) fra i due Paesi risultavano, a fine 2021 di buon livello e nettamente a favore dell’Italia con 11,3 miliardi di euro, contro 0,85 miliardi di Mosca, secondo l’annuario Istat e l’Agenzia Ice8, e nel dettaglio riguardavano in base ai dati più aggiornati, quelli al 31 dicembre 2017, 660 imprese operanti principalmente nei settori energetico, automobilistico, agroalimentare e telecomunicazioni impiegando 39.233 addetti con un fatturato complessivo di 8,8 miliardi di euro, secondo i dati della Banca Dati Reprint9.

Gli effetti delle sanzioni sul mercato dell’energia dei Paesi Ue

Le sanzioni hanno dunque inferto colpi letali all’interconnessione fra l’economia russa e quella comunitaria che si era sviluppata negli ultimi 3 decenni dopo la caduta dell’Urss. In particolare, le forniture di gas via conduttura con contratti pluriennali a prezzi contenuti hanno consentito alle principali 2 manifatture europee, Germania e Italia, di mantenere un elevato grado di competitività sui mercati internazionali anche di fronte all’emergere di nuovi agguerriti concorrenti.

In considerazione di ciò, la decisione degli Stati europei di rinunciare al carbone, al petrolio, a seguito delle sanzioni e, soprattutto, al gas russo tramite il piano comunitario REPowerEu10 varato, dalla Commissione il 18 maggio scorso, con l’obiettivo di “ridurre rapidamente la nostra dipendenza dai combustibili fossili russi” sembra non aver tenuto conto di alcuni fondamentali elementi per il proprio approvvigionamento energetico.

Il primo, già patrimonio dell’opinione pubblica nazionale, risulta l’impennata del costo delle materie prime, soprattutto quelle energetiche, in corso ormai da circa un anno dal momento dell’approvazione, quindi ben prima di febbraio 2022. In particolare, sul mercato del gas olandese Ttf (Title Transfer Facility) dove la quotazione media mensile delle negoziazioni da 20,50 euro a megawattora di aprile 2021, era salito a 87,47 euro ad ottobre, per arrivare a 125,42 euro a marzo 2022 all’indomani delle prime tranche di sanzioni, causata soprattutto dagli effetti dell’attività speculativa tramite la finanza derivata, e del fatto che le stesse sanzioni, innescando una carenza di offerta sui mercati dei Paesi Ue, non potevano che alimentare ulteriormente la compravendita di contratti a termine (detti future) a fini speculativi.

Altro fondamentale elemento che non poteva sfuggire ai politici nazionali e comunitari riguarda la diversificazione degli approvvigionamenti, opera assai complessa e non realizzabile nel breve periodo, in quanto gli altri gasdotti europei di approvvigionamento non sono in grado di sostituire in toto le forniture russe e che il Gas Naturale Liquefatto (Gnl) trasportato via mare, necessita di una congrua dotazione di rigassificatori che, ahinoi, non abbiamo a disposizione. In particolare, il Gnl statunitense del quale l’amministrazione Biden ha fornito garanzie di approvvigionamento ai poco avveduti Paesi europei, presenta problematiche non indifferenti visto che l’estrazione avviene con la tecnica del fracking (fratturazione idraulica delle rocce), devastante dal punto di vista geologico e ambientale, non in grado di offrire garanzie di continuità di forniture per il rapido esaurimento dei giacimenti e con costi di complessivi per l’acquirente decisamente superiori rispetto a quello russo. Su quest’ultimo aspetto iniziano a serpeggiare sempre meno velati malumori in seno all’Ue rispetto al vantaggio di competitività, oltre che commerciale, per le aziende statunitensi, il cui costo del gas risulta nettamente inferiore rispetto a quelle europee, tanto da aver indotto il Ministro francese, Bruno Le Maire, a dichiarare il 12 ottobre scorso all’Assemblea Nazionale di Parigi che “non possiamo accettare che il nostro partner americano ci venda il suo Gnl ad un prezzo 4 volte superiore a quello al quale vende agli industriali suoi connazionali“. Aggiungendo amaramente che “la guerra in Ucraina non deve sfociare in una dominazione economica americana e in un indebolimento dell’Unione Europea“.

La transizione energetica, infine, benché ad essa il governo Draghi avesse dedicato apposito Dicastero, il ministro incaricato, Roberto Cingolani, oltre ad aver brillato per inerzia si è anche contraddistinto per alcune anacronistiche proposte come il nucleare, a suo dire “pulito”, e la riapertura delle centrali a carbone ormai dismesse.

L’impatto delle sanzioni sulla Russia e sui Paesi Ue

Nell’intento di valutare l’effettiva ricaduta delle sanzioni rispetto al fine di sfiancare l’economia russa da parte dei Paesi che le hanno introdotte, risulta fondamentale, fra le varie, confrontare la variazione dell’interscambio commerciale con Mosca del primo semestre 2021 con quello del corrispondente periodo del 2022, quest’ultimo influenzato dai provvedimenti restrittivi.

Per quanto riguarda il nostro Paese nel periodo gennaio-giugno 2021, in condizioni di ristabilita normalità economica dopo la crisi del 2020, abbiamo esportato merci in Russia per un controvalore di 4,4 miliardi di euro, mentre ne abbiamo importati 8,1 miliardi con un saldo per noi negativo di circa 3,7 miliardi di euro, sostanzialmente in linea con i dati del 2019 (tab. 3). Nel primo semestre dell’anno in corso, invece, a seguito delle sanzioni e il piano REPowerEU, tramite i quali ci siamo preclusi attività economiche significative con Mosca, il nostro export è diminuito del 21% sotto i 3,5 miliardi di euro, mentre il valore del nostro import ha subito un aumento del 136,9%, da 8,1 miliardi di euro a 19,1, che ha affossato in tal modo il saldo negativo a 15,7 miliardi di euro, con un aggravio del disavanzo di oltre 12 miliardi.

Tabella 3: valore in miliardi di euro dell’interscambio commerciale Italia-Russia fra 2019 e 2021 e confronto fra 1° semestre 2021 e 2022. Fonte: infomercati esteri su dati Istituto del Commercio Estero (Ice)11

Export italiano verso la Russia2019202020211° semestre 20211° semestre 2022
Totale (mld. €)7,8827,1017,6964,4203,490
Variazione periodo precedente (%)+4,2-9,9+8,8
-21,0

Import italiano dalla Russia
2019202020211° semestre 20211° semestre 2022
Totale (mld. €)14,3249,32913,9848,10119,190
Variazione (%)-4,3-34,9+54,5
+136,9
Totale interscambio (mld. €)22,20616,43021,68012,52122,680
Saldo commerciale Italia (mld. €)-6,442-2,228-6,288-3,681-15,700

Trend decisamente negativo del nostro Paese che, peraltro, ha continuato ad aggravarsi nel mese di agosto, durante il quale, secondo i dati dell’Istat, il valore del saldo commerciale complessivo è sceso a -9,5 miliardi di euro, rispetto a un surplus di 1 miliardo del corrispondente mese dello scorso anno. Un pesante disavanzo sul quale hanno inciso sia il passivo della bilancia energetica, salito addirittura di 12 miliardi, sia la diminuzione del 16,7% dell’export verso la Russia12. Il vertiginoso aumento dei costi del gas e dell’energia elettrica, secondo lo stesso report, hanno influito sul gravoso deficit commerciale totale e ulteriormente sospinto il rialzo dell’inflazione sia nel nostro Paese, arrivato ormai su base annua all’11,9% ad ottobre13, che nell’Eurozona. Concomitanti fattori che, sommati al rialzo dei tassi della Bce (ormai giunti al 2% con il terzo rialzo consecutivo del 27 ottobre14), stanno creando un sensibile rallentamento delle economie occidentali come ci conferma l’ultimo report del Fmi del 18 ottobre, nel cui contesto il responsabile del Dipartimento europeo dell’Istituto di Washington, Alfred Kammer, vi afferma che “questo inverno più della metà dei Paesi nell’area dell’euro sperimenterà una recessione tecnica, con almeno due trimestri consecutivi” di variazione negativa del Pil con situazione particolarmente critica di Germania e Italia. Queste ultime, non casualmente, due fra i Paesi maggiormente dipendenti dal gas russo15, per i quali il report indica tre trimestri consecutivi di contrazione, tant’è che erano già previsti in recessione nel 2023, nel già citato Outlook di ottobre dello stesso Istituto, rispettivamente a -0,3% e -0,2%, e la Russia -2,3%, mentre l’Eurozona subirà un sensibile rallentamento a +0,5% e gli Usa una crescita modesta dell’ +1%.

Tabella 4: previsioni variazione Pil per il 2023. Fonte: World Economic Outlook Fmi ottobre 2022


GermaniaItaliaRussiaEurozonaUsaCina
Previsioni variazione Pil 2023
-0,3%

-0,2%

-2,3%

+0,5%

+1,0%

+4,4%

Le decisioni assunte, su pressioni di Washington, dai Paesi europei e dall’Unione Europea verso Mosca, alla luce dei dati mostrano un impatto negativo, seppur dimezzato rispetto alle prime previsioni, sull’andamento dell’economia russa, sortendo, invece, un effetto opposto sul saldo delle partite correnti che, secondo Boomberg16, è più che triplicato sfiorando di 167 miliardi di dollari fra gennaio e giugno 2022, rispetto ai 50 del corrispondente periodo del 2021, a seguito dell’aumento dei ricavi dell’export dell’energia e delle materie prime, alla diminuzione delle importazioni a causa delle sanzioni e all’apertura di nuovi mercati di sbocco asiatici che hanno compensato l’impatto delle sanzioni.

Se i provvedimenti restrittivi occidentali sembrano aver raggiunto solo parzialmente gli obiettivi prefissati ai danni della Russia, di altra entità risultano, invece, gli impatti negativi causati alle proprie economie che stanno registrando pesanti effetti in termini di deficit commerciale, elevata inflazione, alti tassi di interesse non che rallentamento economico con serie prospettive di recessione tecnica, come indicato dal Fmi.

Le otto tranche di sanzioni comminate, sino a questo momento, dagli Stati europei sembrano, dunque, assumere, sulla scorta dei dati e delle previsioni economiche, connotato di boomerang ancor più clamoroso rispetto a quelle del 2014.

I vertici politici comunitari e nazionali, fra cui il neogoverno Meloni, non possono, a nostro avviso esimersi, dal rendere conto all’opinione pubblica sia della propria consapevolezza rispetto alla loro scarsa efficacia sulla destinataria, che dei costi sociali che saranno causati dal rallentamento economico e dalla probabile recessione che sta insabbiando la ripresa post-covid. Costi che inevitabilmente verranno a ricadere in maniera più gravosa sui ceti popolari e sui lavoratori a causa: della chiusura di aziende che non sosterranno l’aumento dei costi energetici, dell’aumento della disoccupazione e della perdita di potere d’acquisto dei salari e degli stipendi innescata dell’impennata inflazionistica con conseguente, inevitabile, aumento della povertà, che nel nostro Paese già opprime 5,6 milioni di persone.

Come uscire dalla spirale guerra – sanzioni – crisi economica e sociale?

Nella complessità e nella gravità della situazione che si sta, giorno dopo giorno, delineando, riteniamo che solo una massiccia mobilitazione popolare possa indurre, il nostro e gli altri governi europei, ad una seria riflessione sui nefasti effetti interni delle proprie politiche internazionali e a prendere atto che la strada della totale subalternità agli interessi Washington sta spingendo l’economia comunitaria nel baratro e non sta generando alcun effetto fra quelli preventivati rispetto alla risoluzione del conflitto in corso.

E’ necessario che il grande assente di questi di primi 8 mesi di guerra, il movimento internazionale per la pace, prenda coscienza, si organizzi ed apra un fronte di lotta duraturo che spinga i soggetti, direttamente e indirettamente, coinvolti al cessate il fuoco, all’apertura di un concreto negoziato sotto l’egida dell’Onu, riprendendo la piattaforma degli accordi di Minsk I e II (che se fossero stati rispettati non avrebbe portato al disastro in corso) che porti ad un pace equa che consideri i diritti e le necessità di tutti gli attori coinvolti, al fine di evitare un’ulteriore pericolosa escalation del conflitto e una nuova grave crisi economica e sociale a soli due anni da quella pandemica.

Andrea Vento – 3 novembre 2022 – (*) Gruppo insegnanti di Geografia Autorganizzati

Carta 1: votazione dell’Assemblea Generale dell’Onu di condanna dell’invasione russa del 3 marzo 2022

Carta 2: gli stati applicano (in rosso) e che non applicano (in celeste) le sanzioni alla Russia

NOTE:

1 Per una panoramica dettagliata delle 8 tranche di sanzioni dell’Ue alla Russia consultare: https://www.confindustria.it/home/crisi-ucraina/sanzioni

2 https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/tutti-i-buchi-delle-sanzioni-alla-russia-34533

3 “Crisi ucraina: il boomerang delle sanzioni europee” di Andrea Vento – Giga autoproduzioni 2014

4 https://www.infomercatiesteri.it/highlights_dettagli.php?id_highlights=16608

5 Calcolo effettuato allo stesso tasso di cambio medio annuo del 2019 che fra Usd/Eur era pari a 0,88

6 https://www.infomercatiesteri.it/public/osservatorio/interscambio-commerciale-mondo/Tabella%201%20-%20Interscambio%20commerciale%20dell’Italia_1666092101.pdf

7Principali prodotti del Made in Italy esportati in Russia: abbigliamento 244 mld (8,2%), mobili 122,7 mld (4,1%), calzature 99,7 mld (3,3%)

8 https://www.infomercatiesteri.it/public/osservatorio/schede-sintesi/federazione-russa_88.pdf

9 https://www.infomercatiesteri.it/public/osservatorio/schede-sintesi/federazione-russa_88.pdf

10 https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/?uri=COM%3A2022%3A230%3AFIN&qid=1653033742483

11 https://www.infomercatiesteri.it/scambi_commerciali.php?id_paesi=88#

12 https://www.istat.it/it/archivio/276078

13 https://www.istat.it/it/archivio/276683

14 https://www.ecb.europa.eu/press/pr/date/2022/html/ecb.mp221027~df1d778b84.it.html

15 Secondo i dati dell’Agenzia dell’Ue per la cooperazione tra i regolatori dell’energia, al 24 febbraio, la Germania importava il 49% del gas dalla Russia e l’Italia il 46%.

16 https://www.bloomberg.com/news/articles/2022-08-09/russia-more-than-triples-current-account-surplus-to-167-billion

La posizione della Germania nel Nuovo Ordine Mondiale americano

di Michael Hudson

La Germania è diventata un satellite economico della Nuova Guerra Fredda americana contro la Russia, la Cina e il resto dell’Eurasia. Alla Germania e ad altri Paesi della NATO è stato detto di imporre sanzioni commerciali e sugli investimenti che dureranno più a lungo dell’attuale guerra per procura in Ucraina. Il Presidente degli Stati Uniti Biden e i suoi portavoce del Dipartimento di Stato hanno spiegato che l’Ucraina è solo l’arena di apertura di una dinamica molto più ampia che sta dividendo il mondo in due serie opposte di alleanze economiche. Questa frattura globale promette di essere una lotta di dieci o vent’anni per determinare se l’economia mondiale sarà un’economia unipolare incentrata sui dollari degli Stati Uniti o un mondo multipolare e multivalutario incentrato sul cuore dell’Eurasia con economie miste pubbliche/private.

Il Presidente Biden ha caratterizzato questa divisione come una divisione tra democrazie e autocrazie. La terminologia è un tipico doppio senso orwelliano. Per “democrazie” intende gli Stati Uniti e le oligarchie finanziarie occidentali alleate. Il loro obiettivo è spostare la pianificazione economica dalle mani dei governi eletti a Wall Street e ad altri centri finanziari sotto il controllo degli Stati Uniti. I diplomatici statunitensi utilizzano il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale per chiedere la privatizzazione delle infrastrutture mondiali e la dipendenza dalla tecnologia, dal petrolio e dalle esportazioni alimentari statunitensi.

Per “autocrazia”, Biden intende i Paesi che resistono a questa finanziarizzazione e privatizzazione. In pratica, la retorica statunitense accusa la Cina di essere autocratica nel regolare la propria economia per promuovere la propria crescita economica e il proprio tenore di vita, soprattutto mantenendo la finanza e le banche come servizi pubblici per promuovere l’economia tangibile di produzione e consumo. In sostanza, si tratta di decidere se le economie saranno pianificate dai centri bancari per creare ricchezza finanziaria – privatizzando le infrastrutture di base, i servizi pubblici e i servizi sociali come l’assistenza sanitaria in monopoli – o di aumentare gli standard di vita e la prosperità mantenendo le banche e la creazione di denaro, la sanità pubblica, l’istruzione, i trasporti e le comunicazioni in mani pubbliche.

Il Paese che ha subito il maggior numero di “danni collaterali” in questa frattura globale è la Germania. In quanto economia industriale più avanzata d’Europa, l’acciaio, i prodotti chimici, i macchinari, le automobili e gli altri beni di consumo tedeschi sono i più dipendenti dalle importazioni di gas, petrolio e metalli russi, dall’alluminio al titanio e al palladio. Eppure, nonostante i due gasdotti Nord Stream costruiti per fornire alla Germania energia a basso prezzo, alla Germania è stato detto di tagliarsi fuori dal gas russo e di deindustrializzarsi. Questo significa la fine della sua preminenza economica. La chiave della crescita del PIL in Germania, come in altri Paesi, è il consumo di energia per lavoratore.

Queste sanzioni anti-russo rendono l’attuale Nuova Guerra Fredda intrinsecamente anti-tedesca. Il Segretario di Stato americano Anthony Blinken ha dichiarato che la Germania dovrebbe sostituire il gas russo a basso prezzo dei gasdotti con il gas GNL statunitense ad alto prezzo. Per importare questo gas, la Germania dovrà spendere rapidamente più di 5 miliardi di dollari per costruire una capacità portuale in grado di gestire le navi cisterna di GNL. L’effetto sarà quello di rendere l’industria tedesca non competitiva. I fallimenti si diffonderanno, l’occupazione diminuirà e i leader tedeschi favorevoli alla NATO imporranno una depressione cronica e un calo del tenore di vita.

La maggior parte della teoria politica presuppone che le nazioni agiscano nel proprio interesse personale. Altrimenti sono Paesi satellite, non in grado di controllare il proprio destino. La Germania sta subordinando la propria industria e il proprio tenore di vita ai dettami della diplomazia statunitense e all’interesse personale del settore petrolifero e del gas americano. Lo fa volontariamente, non grazie alla forza militare, ma per la convinzione ideologica che l’economia mondiale debba essere gestita dai pianificatori statunitensi della Guerra Fredda.

A volte è più facile comprendere le dinamiche odierne allontanandosi dalla propria situazione immediata per guardare agli esempi storici del tipo di diplomazia politica che si vede dividere il mondo di oggi. Il parallelo più vicino che riesco a trovare è la lotta dell’Europa medievale da parte del papato romano contro i re tedeschi – i Sacri Romani Imperatori – nel XIII secolo. Quel conflitto divise l’Europa lungo linee molto simili a quelle odierne. Una serie di papi scomunicò Federico II e altri re tedeschi e mobilitò gli alleati per combattere contro la Germania e il suo controllo dell’Italia meridionale e della Sicilia.

L’antagonismo occidentale contro l’Oriente fu incitato dalle Crociate (1095-1291), proprio come l’odierna Guerra Fredda è una crociata contro le economie che minacciano il dominio degli Stati Uniti sul mondo. La guerra medievale contro la Germania verteva su chi dovesse controllare l’Europa cristiana: il papato, con i papi che diventavano imperatori mondani, o i governanti secolari dei singoli regni, rivendicando il potere di legittimarli e accettarli moralmente.

L’evento principale dell’Europa medievale analogo alla Nuova Guerra Fredda americana contro Cina e Russia fu il Grande Scisma del 1054. Pretendendo un controllo unipolare sulla cristianità, Leone IX scomunicò la Chiesa ortodossa con sede a Costantinopoli e l’intera popolazione cristiana che vi apparteneva. Un unico vescovato, Roma, si isolò dall’intero mondo cristiano dell’epoca, compresi gli antichi patriarcati di Alessandria, Antiochia, Costantinopoli e Gerusalemme.

Questa separazione creò un problema politico per la diplomazia romana: Come tenere sotto il proprio controllo tutti i regni dell’Europa occidentale e rivendicare il diritto di ricevere da essi sussidi finanziari. Questo obiettivo richiedeva la subordinazione dei re secolari all’autorità religiosa papale. Nel 1074, Gregorio VII, Ildebrando, annunciò 27 dettati papali che delineavano la strategia amministrativa con cui Roma avrebbe potuto consolidare il suo potere sull’Europa.

Queste richieste papali sono sorprendentemente parallele all’odierna diplomazia statunitense. In entrambi i casi gli interessi militari e mondani richiedono una sublimazione sotto forma di spirito di crociata ideologica per cementare il senso di solidarietà che ogni sistema di dominio imperiale richiede. La logica è universale e senza tempo.

I Dettati papali furono radicali principalmente in due sensi. Innanzitutto, elevarono il vescovo di Roma al di sopra di tutti gli altri vescovati, creando il papato moderno. La clausola 3 stabiliva che solo il Papa aveva il potere di investitura per nominare i vescovi o per deporli o reintegrarli. A conferma di ciò, la clausola 25 attribuiva il diritto di nominare (o deporre) i vescovi al Papa e non ai governanti locali. La clausola 12 conferiva al Papa il diritto di deporre gli imperatori, seguendo la clausola 9 che obbligava “tutti i principi a baciare i piedi del solo Papa” per essere considerati legittimi governanti.

Allo stesso modo oggi i diplomatici statunitensi si arrogano il diritto di nominare chi debba essere riconosciuto come capo di Stato di una nazione. Nel 1953 hanno rovesciato il leader eletto dell’Iran e lo hanno sostituito con la dittatura militare dello Scià. Questo principio dà ai diplomatici statunitensi il diritto di sponsorizzare “rivoluzioni colorate” per il cambio di regime, come la sponsorizzazione di dittature militari latinoamericane che creano oligarchie clienti per servire gli interessi aziendali e finanziari degli Stati Uniti. Il colpo di Stato del 2014 in Ucraina è solo l’ultimo esercizio di questo diritto degli Stati Uniti di nominare e deporre i leader.

Più di recente, i diplomatici statunitensi hanno nominato Juan Guaidó come capo di Stato del Venezuela al posto del suo presidente eletto e gli hanno consegnato le riserve auree del Paese. Il presidente Biden ha insistito sul fatto che la Russia deve rimuovere Putin e mettere al suo posto un leader più favorevole agli Stati Uniti. Questo “diritto” di scegliere i capi di Stato è stato una costante della politica degli Stati Uniti nel corso della loro lunga storia di ingerenza politica negli affari politici europei a partire dalla Seconda Guerra Mondiale.

La seconda caratteristica radicale dei Dettati papali era l’esclusione di ogni ideologia e politica che divergesse dall’autorità papale. La clausola 2 affermava che solo il Papa poteva essere definito “Universale”. Qualsiasi disaccordo era, per definizione, eretico. La clausola 17 affermava che nessun capitolo o libro poteva essere considerato canonico senza l’autorità papale.

Una richiesta simile a quella avanzata dall’ideologia odierna, sponsorizzata dagli Stati Uniti, del “libero mercato” finanziarizzato e privatizzato, che significa la deregolamentazione del potere governativo di plasmare le economie secondo interessi diversi da quelli delle élite finanziarie e aziendali centrate sugli Stati Uniti.

La richiesta di universalità nella nuova guerra fredda di oggi è ammantata dal linguaggio della “democrazia”. Ma la definizione di democrazia nella Nuova Guerra Fredda di oggi è semplicemente “a favore degli Stati Uniti”, e in particolare della privatizzazione neoliberale come nuova religione economica sponsorizzata dagli Stati Uniti. Quest’etica è considerata “scienza”, come nel quasi Premio Nobel per le Scienze Economiche. Questo è l’eufemismo moderno per l’economia spazzatura neoliberista della Scuola di Chicago, i programmi di austerità del FMI e il favoritismo fiscale per i ricchi.

I Dettati Pontifici delineavano una strategia per mantenere il controllo unipolare sui regni secolari. Essi affermavano la precedenza del papato sui re del mondo, soprattutto sui Sacri Romani Imperatori tedeschi. La clausola 26 dava ai papi l’autorità di scomunicare chiunque non fosse “in pace con la Chiesa romana”. Questo principio implicava la clausola conclusiva 27, che permetteva al papa di “sollevare i sudditi dalla loro fedeltà a uomini malvagi”. Ciò incoraggiò la versione medievale delle “rivoluzioni colorate” per ottenere un cambiamento di regime.

Ciò che univa i Paesi in questa solidarietà era l’antagonismo verso le società non soggette al controllo papale centralizzato: gli infedeli musulmani che detenevano Gerusalemme, i catari francesi e chiunque altro fosse considerato eretico. Soprattutto c’era ostilità verso le regioni abbastanza forti da resistere alle richieste papali di tributi finanziari.

La controparte odierna di questo potere ideologico di scomunicare gli eretici che resistono alle richieste di obbedienza e tributo sarebbe l’Organizzazione Mondiale del Commercio, la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale che dettano le pratiche economiche e stabiliscono le “condizionalità” che tutti i governi membri devono seguire, pena l’applicazione di sanzioni da parte degli Stati Uniti – la versione moderna della scomunica dei Paesi che non accettano la sovranità degli Stati Uniti. La clausola 19 dei Dettati stabiliva che il Papa non poteva essere giudicato da nessuno – proprio come oggi gli Stati Uniti si rifiutano di sottoporre le proprie azioni alle sentenze della Corte Mondiale. Allo stesso modo, oggi, ci si aspetta che i satelliti statunitensi seguano senza discutere i dettami degli Stati Uniti attraverso la NATO e altre armi (come il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale). Come disse Margaret Thatcher a proposito della privatizzazione neoliberale che distrusse il settore pubblico britannico, There Is No Alternative (TINA).

Il mio intento è quello di sottolineare l’analogia con le odierne sanzioni statunitensi contro tutti i Paesi che non seguono le proprie richieste diplomatiche. Le sanzioni commerciali sono una forma di scomunica. Invertono il principio del Trattato di Westfalia del 1648 che rendeva ogni Paese e i suoi governanti indipendenti dalle ingerenze straniere. Il Presidente Biden caratterizza l’interferenza statunitense come garanzia della sua nuova antitesi tra “democrazia” e “autocrazia”. Per democrazia intende un’oligarchia clientelare sotto il controllo degli Stati Uniti, che crea ricchezza finanziaria riducendo gli standard di vita dei lavoratori, in contrapposizione alle economie miste pubblico-private che mirano a promuovere gli standard di vita e la solidarietà sociale.

Come ho già detto, scomunicando la Chiesa ortodossa di Costantinopoli e la sua popolazione cristiana, il Grande Scisma ha creato la fatidica linea di demarcazione religiosa che ha diviso “l’Occidente” dall’Oriente negli ultimi millenni. Questa divisione è stata così importante che Vladimir Putin l’ha citata nel suo discorso del 30 settembre 2022, descrivendo l’odierno distacco dalle economie occidentali centrate sugli Stati Uniti e sulla NATO.

I secoli XII e XIII videro i conquistatori normanni di Inghilterra, Francia e altri Paesi, insieme ai re tedeschi, protestare ripetutamente, essere scomunicati ripetutamente, ma alla fine soccombere alle richieste papali. Ci è voluto fino al XVI secolo perché Martin Lutero, Zwingli ed Enrico VIII creassero finalmente un’alternativa protestante a Roma, rendendo la cristianità occidentale multipolare.

Perché ci è voluto così tanto? La risposta è che le Crociate hanno fornito una forza di gravità ideologica. Era l’analogia medievale della nuova guerra fredda di oggi tra Oriente e Occidente. Le Crociate hanno creato un fulcro spirituale di “riforma morale” mobilitando l’odio contro “l’altro” – l’Oriente musulmano, e sempre più spesso gli ebrei e i cristiani europei dissidenti rispetto al controllo romano. Questa è l’analogia medievale con le odierne dottrine neoliberiste del “libero mercato” dell’oligarchia finanziaria americana e la sua ostilità nei confronti di Cina, Russia e altre nazioni che non seguono questa ideologia. Nella nuova guerra fredda di oggi, l’ideologia neoliberista dell’Occidente mobilita la paura e l’odio verso “l’altro”, demonizzando le nazioni che seguono un percorso indipendente come “regimi autocratici”. Il razzismo vero e proprio è promosso nei confronti di interi popoli, come è evidente nella russofobia e nella cultura di cancellazione che sta attraversando l’Occidente.

Proprio come la transizione multipolare della cristianità occidentale ha richiesto l’alternativa protestante del XVI secolo, la rottura del cuore dell’Eurasia dall’Occidente NATO centrato sulle banche deve essere consolidata da un’ideologia alternativa su come organizzare le economie miste pubbliche/private e le loro infrastrutture finanziarie.

Le chiese medievali in Occidente furono svuotate delle loro elemosine e delle loro dotazioni per contribuire con la moneta di Pietro e altri sussidi al papato per le guerre che combatteva contro i governanti che resistevano alle richieste papali. L’Inghilterra svolse il ruolo di vittima principale che oggi svolge la Germania. Le enormi tasse inglesi, apparentemente destinate a finanziare le Crociate, furono dirottate per combattere Federico II, Corrado e Manfredi in Sicilia. Questa sottrazione fu finanziata dai banchieri papali dell’Italia settentrionale (Longobardi e Cahorsin) e si trasformò in debiti reali trasferiti a tutta l’economia. I baroni inglesi scatenarono una guerra civile contro Enrico II nel 1260, ponendo fine alla sua complicità nel sacrificare l’economia alle richieste papali.

Ciò che pose fine al potere del papato sugli altri Paesi fu la fine della sua guerra contro l’Oriente. Quando i crociati persero San Giovanni d’Acri, la capitale di Gerusalemme, nel 1291, il papato perse il suo controllo sulla cristianità. Non c’era più “il male” da combattere e il “bene” aveva perso il suo centro di gravità e la sua coerenza. Nel 1307, il re di Francia Filippo IV (“il Bello”) si impadronì delle ricchezze del grande ordine bancario militare della Chiesa, quello dei Templari nel Tempio di Parigi. Anche altri governanti nazionalizzarono i Templari e i sistemi monetari furono tolti dalle mani della Chiesa. Senza un nemico comune definito e mobilitato da Roma, il papato perse il suo potere ideologico unipolare sull’Europa occidentale.

L’equivalente moderno del rifiuto dei Templari e della finanza papale sarebbe il ritiro dei Paesi dalla Nuova Guerra Fredda americana. Ciò sta avvenendo in quanto un numero sempre maggiore di Paesi vede la Russia e la Cina non come avversari, ma come grandi opportunità di reciproco vantaggio economico.

La promessa non mantenuta di un vantaggio reciproco tra Germania e Russia

La dissoluzione dell’Unione Sovietica nel 1991 aveva annunciato la fine della Guerra Fredda. Il Patto di Varsavia fu sciolto, la Germania fu riunificata e i diplomatici americani promisero la fine della NATO, perché non esisteva più una minaccia militare sovietica. I leader russi si sono lasciati andare alla speranza che, come ha detto il Presidente Putin, si sarebbe creata una nuova economia paneuropea da Lisbona a Vladivostok. La Germania, in particolare, avrebbe dovuto prendere l’iniziativa di investire in Russia e ristrutturare la sua industria secondo linee più efficienti. La Russia avrebbe pagato per questo trasferimento di tecnologia fornendo gas e petrolio, oltre a nichel, alluminio, titanio e palladio.

Non si prevedeva che la NATO sarebbe stata ampliata fino a minacciare una nuova guerra fredda, né tanto meno che avrebbe appoggiato l’Ucraina, riconosciuta come la cleptocrazia più corrotta d’Europa, che sarebbe stata guidata da partiti estremisti che si identificano con le insegne naziste tedesche.

Come spiegare perché il potenziale apparentemente logico di guadagno reciproco tra l’Europa occidentale e le economie ex sovietiche si sia trasformato in una sponsorizzazione di cleptocrazie oligarchiche. La distruzione del gasdotto Nord Stream riassume in poche parole la dinamica. Per quasi un decennio gli Stati Uniti hanno chiesto costantemente alla Germania di non dipendere più dall’energia russa. A queste richieste si sono opposti Gerhardt Schroeder, Angela Merkel e i leader economici tedeschi. Essi hanno sottolineato l’ovvia logica economica del reciproco scambio di manufatti tedeschi con le materie prime russe.

Il problema degli Stati Uniti era come impedire alla Germania di approvare il gasdotto Nord Stream 2. Victoria Nuland, il Presidente Biden e altri diplomatici statunitensi hanno dimostrato che il miglior modo per farlo era incitare all’odio verso la Russia. La nuova guerra fredda è stata inquadrata come una nuova crociata. In questo modo George W. Bush aveva presentato l’attacco americano all’Iraq per impadronirsi dei suoi pozzi di petrolio. Il colpo di Stato del 2014, sponsorizzato dagli Stati Uniti, ha creato un regime ucraino fantoccio che ha passato otto anni a bombardare le province orientali russofone. La NATO ha quindi incitato una risposta militare russa. L’incitamento ha avuto successo e la risposta russa desiderata è stata debitamente etichettata come un’atrocità non immotivata. La sua protezione dei civili è stata descritta dai media sponsorizzati dalla NATO come così sproporzionata da meritare le sanzioni commerciali e sugli investimenti imposte da febbraio. Questo è il significato di crociata.

Il risultato è che il mondo si sta dividendo in due campi: la NATO incentrata sugli Stati Uniti e l’emergente coalizione eurasiatica. Una conseguenza di questa dinamica è stata l’impossibilità per la Germania di perseguire una politica economica di relazioni commerciali e di investimento reciprocamente vantaggiose con la Russia (e forse anche con la Cina). Questa settimana il cancelliere tedesco Olaf Sholz si recherà in Cina per chiedere che il Paese smantelli il settore pubblico e smetta di sovvenzionare la sua economia, altrimenti la Germania e l’Europa imporranno sanzioni sul commercio con la Cina. Non c’è modo che la Cina possa soddisfare questa ridicola richiesta, così come gli Stati Uniti o qualsiasi altra economia industriale non smetterebbero di sovvenzionare i propri computer-chip e altri settori chiave.[1]

Il Consiglio Tedesco per le Relazioni Estere è un braccio neoliberale “libertario” della NATO che chiede la deindustrializzazione della Germania e la sua dipendenza dagli Stati Uniti per il commercio, escludendo Cina, Russia e i loro alleati. Questo si preannuncia come l’ultimo chiodo della bara economica della Germania.

Un altro sottoprodotto della Nuova Guerra Fredda americana è stato quello di porre fine a qualsiasi piano internazionale per arginare il riscaldamento globale. Una delle chiavi di volta della diplomazia economica statunitense è il controllo da parte delle sue compagnie petrolifere e di quelle dei suoi alleati della NATO delle forniture mondiali di petrolio e di gas, ovvero l’opposizione ai tentativi di ridurre la dipendenza dai combustibili a base di carbonio. La guerra della NATO in Iraq, Libia, Siria, Afghanistan e Ucraina riguardava gli Stati Uniti (e i loro alleati francesi, britannici e olandesi) per mantenere il controllo del petrolio. Non si tratta di una questione astratta come “democrazie contro autocrazie”. Si tratta della capacità degli Stati Uniti di danneggiare altri Paesi interrompendo il loro accesso all’energia e ad altri bisogni primari.

Senza la narrativa della Nuova Guerra Fredda “bene contro male”, le sanzioni statunitensi perderebbero la loro ragion d’essere in questo attacco degli Stati Uniti alla protezione dell’ambiente e al commercio reciproco tra Europa occidentale, Russia e Cina. Questo è il contesto della lotta odierna in Ucraina, che dovrà essere solo il primo passo della prevista lotta ventennale degli Stati Uniti per impedire che il mondo diventi multipolare. Questo processo imprigionerà la Germania e l’Europa nella dipendenza dalle forniture statunitensi di GNL.

Il trucco è cercare di convincere la Germania che dipende dagli Stati Uniti per la sua sicurezza militare. Ciò da cui la Germania ha veramente necessità di essere protetta è la guerra degli Stati Uniti contro la Cina e la Russia, che sta emarginando e “ucrainizzando” l’Europa.

I governi occidentali non hanno lanciato appelli per una fine negoziata di questa guerra, perché in Ucraina non è stata dichiarata alcuna guerra. Gli Stati Uniti non dichiarano guerra da nessuna parte, perché ciò richiederebbe una dichiarazione del Congresso secondo la Costituzione degli Stati Uniti. Quindi gli eserciti statunitensi e della NATO bombardano, organizzano rivoluzioni colorate, si intromettono nella politica interna (rendendo obsoleti gli accordi di Westfalia del 1648) e impongono le sanzioni che stanno facendo a pezzi la Germania e i suoi vicini europei.

Come possono i negoziati “porre fine” a una guerra che non ha una dichiarazione di guerra e che è una strategia a lungo termine di totale dominio unipolare del mondo?

La risposta è che non si può porre fine a questa guerra finché non si sostituisce un’alternativa all’attuale insieme di istituzioni internazionali incentrate sugli Stati Uniti. Ciò richiede la creazione di nuove istituzioni che riflettano un’alternativa alla visione neoliberista incentrata sulle banche, secondo cui le economie dovrebbero essere privatizzate con una pianificazione centrale da parte dei centri finanziari privati. Rosa Luxemburg ha descritto la scelta tra socialismo e barbarie. Ho delineato le dinamiche politiche di un’alternativa nel mio recente libro Il destino della civiltà.

NOTE:

[1] Si veda Guntram Wolff, “Sholz dovrebbe inviare un messaggio esplicito nella sua visita a Pechino”, Financial Times, 31 ottobre 2022. Wolff è direttore e CE del Consiglio tedesco per le relazioni estere.

(Questo articolo è stato presentato il 1° novembre 2022 sul sito web tedesco Brave New Europe.

https://braveneweurope.com/michael-hudson-germanys-position-in-americas-new-world-order

Il video del mio intervento sarà disponibile su YouTube tra una decina di giorni.)

Traduzione: Cambiailmondo.org

FONTE: https://www.unz.com/mhudson/germanys-position-in-americas-new-world-order/

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