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Germania: Non c’è niente da imparare dalla politica che fomenta il populismo e il razzismo

incendio-razzista-germaniadi Paola Giaculli (Berlino)
Come ormai succede sempre più spesso, fatta eccezione per la sua politica del rigore finanziario, la Germania è al centro di apprezzamenti perché, per certi versi, esemplare. Ora è la volta della politica di ospitalità e del diritto di asilo. Leggiamo delle reazioni in Italia alle visite dell’establishment politico tedesco nei centri di soggiorno dei migranti e trasecoliamo: commenti entusiasti, su Huffington Post si sostiene addirittura che dalla Germania verrebbe una lezione di grandezza politica contro il razzismo e il populismo.

Si fa il confronto con l’Italia dove l’arredo degli appartamenti destinati ai rifugiati viene dato alle fiamme. Come mai allora nel proprio Paese la classe dirigente tedesca è giudicata fallimentare da svariati osservatori, media, per non parlare di settori della società che le si rivoltano pubblicamente contro? È mai possibile che in un’era così ricca di scambi di informazione come quella attuale, ci sia una tale ignoranza sui fatti?

Questi i fatti: In Germania vengono dati alle fiamme i centri adibiti ai rifugiati ormai a cadenza quotidiana, e si può parlare purtroppo davvero di un’estate infuocata sotto tutti i punti di vista. Gli attacchi si susseguono sistematici, e ora si formano “fasce di sicurezza” intorno a alcuni centri e i rifugiati sono sotto scorta della polizia. Di solito vengono presi di mira i centri a est del Paese ma prossimi a grandi città come Dresda, Lipsia (soprattutto Sassonia e Sassonia-Anhalt), ma ormai il fenomeno è diffuso ovunque anche a ovest, soprattutto in Baviera, Bassa Sassonia e Baden-Württenberg, ultimo caso Stoccarda. A Dresda a fine luglio durante l’allestimento di una tendopoli destinata a ospitare più di mille persone è stato addirittura aggredito il personale della Croce rossa. A Freital, cittadina di 40.000 migliaia di persone manifestano contro l’accoglienza di 500 persone da giugno. “Perché chiamarli profughi, chiede un manifestante, vengono dalla Tunisia, dal Marocco, sono luoghi di villeggiatura. Vogliono i nostri soldi e il popolo tedesco non ha voce in capitolo”. Qui come altrove anche chi dimostra solidarietà attiva subisce minacce e l’accusa di “traditore del Paese”.

Ancora in Sassonia per due notti di seguito si sono sparati dei colpi d’arma da fuoco su un centro, per fortuna senza conseguenze per le persone. Un altro centro è stato preso a sassate e i profughi aggrediti per strada. Si dà fuoco ad alloggi dove vivono famiglie con bambini piccoli. A nord-est, nel Mecklenburgo-Pomerania, due ubriachi sono entrati in un centro brandendo minacciosamente dei coltelli.

Ora tocca anche a Berlino. In periferia giorni fa è andato completamente distrutto per incendio doloso un centro pronto all’ospitalità, costringendo le autorità a cercare nuove sistemazioni, impresa tutt’altro che facile. E poi in città, a seguire, nel quartiere di Reinickendorf, nella parte ovest, è stata data alla fiamme una palestra destinata ad attività sportive per i bambini profughi, il giorno prima di una annunciata festa dei migranti.

Esponenti politici, in particolare della Linke, anche in vista come la vice-presidente del Bundestag Petra Pau, da sempre impegnata nella difesa della costituzione contro il terrore neonazista e il razzismo, vengono sistematicamente minacciati di morte nei social network e anche davanti alle proprie abitazioni da gruppi di estrema destra e neonazi, addirittura con manifestazioni regolarmente autorizzate. Anche i circoli della Linke sono bersaglio di devastazioni.

Episodi non nuovi purtroppo, ma che negli ultimi mesi hanno assunto dimensioni allarmanti. Addirittura sindaci del partito di governo di Merkel Cdu, di piccoli centri che ospitano solo qualche decina di profughi sono costantemente bersaglio di minacce, compresi i familiari, tanto nel marzo scorso uno di questi, sentendosi abbandonato a se stesso dalle autorità, ha deciso di dimettersi.

Quello di Heidenau, invece intende fronteggiare a viso aperto la nuova “peste bruna”. E´stato qui che il vicecancelliere nonché presidente Spd Sigmar Gabriel e dalla cancelliera Merkel, hanno visitato il centro che è stato preso d’assedio un intero fine settimana, ed è stato teatro di scontri tra estremisti di destra, incitate da un’inquietante folla, famiglie comprese, che stava a guardare, e forze dell’ordine, mettendo in luce la totale inadeguatezza di queste ultime.

Le statistiche lanciano segnali davvero preoccupanti: nella prima metà del 2015 il numero degli attacchi ai centri migranti è superiore a quello del 2014 nel suo complesso (202 contro 198), ma con il triste aggiornamento di questa amara estate il bilancio sarà ben più amaro.
Il clima ostile a profughi e migranti si è particolarmente aggravato nel giro di anno a partire con le numerose marce contro la cosiddetta “islamizzazione” con decine di migliaia di manifestanti a prova del successo di partiti a carattere decisamente xenofobo e antisociale come AfD, scissosi però di recente.

Il risvolto politico di questi movimenti non sembra avere un percorso lineare, dato che in seguito alla dipartita del suo leader fondatore Lucke in dissenso con la maggioranza apertamente xenofoba, l’AfD è di nuovo sotto la soglia del 5 percento. Più preoccupante è invece la presa di argomenti xenofobi sui “comuni” cittadini, che si definiscono “cittadini preoccupati” e che ormai vengono allo scoperto con nome e cognome, mentre in precedenza su comportamenti e linguaggio xenofobi avevano la meglio certe remore sociali, che purtroppo sono venute meno.

D’altra parte, a contrastare l’ondata di odio e violenza razzista intervengono l’imponente prova di solidarietà spontanea da parte di migliaia di cittadini, mobilitatisi ben prima della politica ufficiale. Ne hanno smascherato l’indifferenza e quindi la totale inadeguatezza nell’affrontare il dramma dei profughi, disvelato l’inefficienza e l’assurdità della burocrazia che ricade sulle amministrazioni comunali in gran parte in crisi cronica per il Patto di stabilità.Queste denunciano il ritardo dei Länder e dello Stato federale nella valutazione delle dimensioni assunte dal fenomeno facilmente prevedibili, per cui ci si poteva attrezzare per tempo.

Intanto, come annuncia il ministero degli interni, si attendono per quest’anno 800.000 persone. L’intervento dei volontari è stato salvifico quando nulla o poco hanno potuto le autorità. Significativo è il caso intorno all’Ufficio sanitario e sociale di Berlino, che si fa carico delle pratiche di registrazione. Con temperature vicine ai 40 gradi nel piazzale davanti all’ufficio si sono formate file di centinaia di persone in attesa del proprio turno, accampate con famiglie giunte per lunghi tratti addirittura a piedi dalla Grecia bisognose di tutto, in preda a malore, senza acqua né viveri.

Senza l’aiuto delle decine di volontari che hanno fatto provviste a proprie spese, tra cui personale medico, (che è tenuto ad assistere solo chi si è già registrato o è gravemente malato!) la situazione sarebbe stata molto più critica, insostenibile come all’inizio di agosto e come spesso lo è in molti casi, per assistenza sanitaria e servizi igienici insufficienti.

È stata questa gente, quella che si offre spontaneamente di ospitare i profughi a casa propria, e personalità dello spettacolo e dell’informazione che hanno dato una grande lezione alla politica. Ha fatto scalpore l’intervento in tivù di un popolarissimo attore, Til Schweiger, già impegnato nella raccolta di fondi per creare un centro di soggiorno e una fondazione per bambini traumatizzati, e vittima di un’ondata minacce e insulti su facebook su cui aveva espresso la propria repulsione nei confronti dei razzisti: in un talk-show ha attaccato duramente il segretario generale della Csu Andreas Scheuer chiamando in causa la politica per aver creato ad arte il clima xenofobo e populista e denunciandone l’indifferenza nei confronti delle violenze, invitandoli esplicitamente a rendersi conto di persona delle condizioni di vita dei profughi ospitati e a offrire possibilità condrete di lavoro e inserimento.

Alla buon’ora, le élites politiche si sono finalmente degnate, scosse dallo sdegno di molta parte dell’opinione pubblica, che ora definisce le visite ai centri “una politica dei simboli” che nasconde in realtà un grande vuoto di iniziativa concreta e proposta.

Le critiche arrivano anche dal presidente della Conferenza episcopale tedesca, Reinhard Marx che denuncia la politica per la sua inazione a differenza della prontezza dimostrata nella risoluzione della crisi finanziaria, insomma, “quando ci vanno di mezzo i quattrini”.

Certo, finora, la politica era impegnata a bacchettare i greci, e quindi non c’è stato tempo di dedicarsi più di tanto all’emergenza migranti. “Per salvare le banche i soldi c’erano” sbotta l’attore Schweiger in trasmissione. Per placare gli animi anziché aizzarli, la classe dirigente “dovrebbe dire che la Germania è un paese forte e ricco e che può accogliere le persone”, continua l’attore irritato dai continui distinguo tra profughi di guerra e migranti per motivi economici.

Troppo tardivo, troppo vago e non convincente quindi appare il proposito espresso da Merkel di non voler tollerare in nessun caso chi “viola la dignità umana”. Intanto le manifestazioni a favore dei migranti a Heidenau e a Dresda, non sono state in un primo tempo autorizzate per “insufficienza di capacità” da parte delle forze dell’ordine, dando così l’impressione che invece sia l’opposizione democratica al razzismo a non essere tollerata. Una decisione che, per le forti proteste di Linke, Verdi e movimenti, è stata revocata, dato che il tribunale amministrativo di Dresda la giudica “con tutta evidenza contraria al diritto”. Merkel ha promesso rinforzi alla polizia locale.

Concrete sono le responsabilità della politica per il rigurgito razzista purtroppo non circoscrivibile a quattro facinorosi dalla testa rasata. Come ricorda anche Merkel “è vergognoso” che questi gruppi siano sostenuti anche da famiglie con bambini. Già, ma a istigare questo odio, che non nasce spontaneo come un fungo, è proprio il suo governo composto da Cdu, dal partito fratello della Baviera Csu, e dalla Spd, che si accorge solo ora del problema e corre ai ripari chiamando “la feccia” fuori dall’ordinamento democratico.

Eppure anche il caso greco doveva far suonare qualche campanello d’allarme: per cinque lunghi anni non si è fatto che – con l’uso di media compiacenti e l’arma culturale del debito – gettare discredito sui popoli dell’Europa del sud tacciandoli di buoni a nulla, cattivi amministratori e sanguisughe dei tedeschi. Su questa china si era lanciato anche Gabriel, dichiarando in giugno che i lavoratori tedeschi e le loro famiglie non si sarebbero fatte ricattare da un governo (quello greco) in parte comunista. In perfetto stile prima Repubblica federale agitando anticomunismo, populismo e razzismo. Non è un caso che durante i primi dieci anni del 2000 la rete del terrore neonazista Nsu abbia potuto agire indisturbata, macchiandosi di efferati delitti e attentati di chiara matrice xenofoba, che le indagini hanno voluto, nonostante le evidenze, ignorare, accusando invece di connivenze mafiose le stesse famiglie delle vittime, in prevalenza cittadini di origine turca.

Le indagini rivelano invece pesanti connivenze tra l’organizzazione terroristica e i servizi segreti che vi hanno inserito e sostenuto una serie di informatori estremisti di destra che non potevano non essere a conoscenza del suo operato.

L’ex ministro degli interni Friedrich parlò per primo nel 2013 di turismo sociale, accusando i lavoratori in particolare rumeni e bulgari di sfruttare il “vantaggioso” stato sociale tedesco, innescando un dibattito sulla titolarità del diritto di ricevere assegni familiari se le famiglie vivono nei rispettivi Paesi di provenienza. “Non siamo l’ufficio sociale del mondo”, è un’affermazione di cui si fregia il presidente della Baviera e della Csu Seehofer.

Ci si dimentica però che di solito sono invece le imprese a non essere in regola con sicurezza, contributi e retribuzioni quando si tratta di far lavorare gli “stranieri” che con scarse conoscenze linguistiche possono essere facilmente raggirati.

Questa condanna “dell’abuso illecito” del sistema sociale fa il paio con quella “l’abuso del diritto di asilo”, denunciato dalla destra di governo. Allora bisogna differenziare tra i profughi che “hanno veramente bisogno” (Merkel) da quelli che vengono in Germania “solo per ragioni economiche”. Con i primi si intende i profughi di guerra.

In Italia si dice: brava la Germania, che sospende la procedura di Dublino per i siriani – già, peccato che sono ben 100.000 i siriani che sono giunti in Germania negli ultimi anni rischiando la loro vita attraversando vari paesi e il Mediterraneo contro i 37.000 che hanno avuto regolare accesso tramite programmi di accoglienza pianificati.

Ancora non si vuol intendere che l’unico modo per evitare il dramma dei migranti alle frontiere è di permettere un regolare accesso per vie legali. Molti profughi siriani e del Medio oriente hanno parenti soprattutto in Germania e in Svezia, è logico che vogliano recarsi qui piuttosto che altrove.

La logica di “equa ripartizione” tra stati dovrebbe tenere in considerazione anche questi bisogni. Secondo la logica tedesca ed europea, quelli che fuggono per necessità economiche dovrebbero essere invece rimandati indietro il più presto possibile: questo il senso dell’incontro tra Merkel e Hollande. L’Ue dovrebbe instaurare un sistema di registrazione (nei centri hotspot nei paesi di arrivo come Italia e Germania) efficace per cacciare velocemente chi “non ha diritto di restare” sulla base dell’individuazione e classificazione dei cosiddetti “paesi sicuri”, come già prevede la legge tedesca dal 1993. La loro lista tende a estendersi a dismisura. Ma anche la fame, insieme alla guerra, alla violenza, non genera forse insicurezza?

“È dura, ma non possiamo far restare tutti”, rispose inflessibile Merkel anche alla ragazzina palestinese, che in perfetto tedesco le aveva riportato la precarietà del suo caso, la paura di dover tornare in un campo profughi nel Libano, e il suo desiderio di continuare gli studi e rimanere in Germania.

Comunque, “anche chi viene respinto domani, oggi deve essere trattato con umanità”, è il singolare messaggio di solidarietà del ministro degli interni De Maizière, mentre prospetta addirittura di ridurre le prestazioni come deterrente nei confronti dei migranti, sospettati di voler stabilirsi in Germania per la sua “generosità”.

In seguito alla devastazione socio-economica e criminale dei Balcani si sono intensificati nel corso degli anni i flussi provenienti dalla regione con scarse possibilità di permanenza nella “terra promessa”. Anche questi migranti sono ora nel mirino delle politiche restrittive. Macedonia, Serbia e Bosnia-Erzegovina sono stati dichiarati nel novembre scorso “paesi sicuri”, ignorando le difficili condizioni per Rom e Sinti.

Del resto si ricorderà come la direttiva Ue sui respingimenti del 2008, cosiddetta “della vergogna”, contro la migrazione “clandestina” rifletteva il forte condizionamento tedesco tanto che Manfred Weber (Csu), attuale capogruppo dei Popolari al Parlamento europeo, allora relatore del dossier, constatò compiaciuto l’assunzione della politica tedesca da parte dell’Ue.

In Germania sono in molti infatti a vivere da anni sotto la minaccia del “rimpatrio”, anche ragazzi nati in Germania, qui scolarizzati fino alle soglie dell’università, e privi di riferimenti familiari o culturali nel paese di origine dei genitori.

Tra l’altro il diritto d’asilo venne radicalmente riformato nel 1993 dal governo Kohl, in risposta alle violenze xenofobe di quegli anni. Chi ha lo status di persona “tollerata” (geduldet) o in attesa di asilo non può essere assunta, né, a parte qualche eccezione come nel Brandeburgo, Berlino, Brema e Bassa Sassonia, cambiare luogo di residenza.

La Germania è stata tra i Paesi ispiratori delle politiche europee, e anche se qui dal 1989 non esistono muri, non sembra curarsi dell’assurdità e della violenza nell’erigere barriere intorno all’Ue, causa della tragica perdita di migliaia di vite umane.

Il totale fallimento di queste politiche si riflette nel rifiuto di sanare una crisi globale, non interrogandosi sulle ragioni dell’esodo di massa: conflitti, desertificazioni, espropri, politiche economiche antisociali di cui l’Ue e i suoi stati membri si sono resi più o meno direttamente responsabili.

Può essere utile ricordare che la Germania è il terzo paese esportatore di armi e che Gabriel, da ministro dell’economia, ha autorizzato esportazioni anche in paesi estremamente critici come l’Arabia saudita. Ben il 77 percento va in paesi non membri della Nato. Un paese che si arricchisce alle spalle delle crisi altrui, come rivela ancora una volta il caso della Grecia, a cui da una parte si imponeva il rigore, dall’altra si incoraggiava l’acquisto spropositato di armi tedesche.

Il fatto più grave che emerge dai recenti e inquietanti sviluppi pare essere il ritorno alla mentalità della “vittima” che ricorda momenti drammatici e bui della storia tedesca ed europea. È l’idea di un popolo che tira la cinghia, “risparmiatore e operoso” in cui si fa strada la convinzione che questo vada a vantaggio di un “altro” popolo, etnia, profugo, migrante, insomma “straniero” che voglia appropriarsi indebitamente di quanto faticosamente costruito.

Questo è alla base del clima incendiario che le politiche dell’austerità hanno contribuito a creare in tutta Europa e la Germania, promotrice in primo luogo di questa mentalità, non può purtroppo fare eccezione. Si tratta di un’onda lunga, mai sopita, ora scoppiata con una virulenza inedita. Speriamo che, nonostante la politica, l’ondata di nuova solidarietà riesca a spegnere i focolai prima che si trasformino in roghi. E che non sia già troppo tardi.

 

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